Olivo Matto

Oggi le comiche, arriva il Piq dell’olio

Luigi Caricato

Siamo alla pura follia, ora ci si inventa anche il Piq. Il mondo dell’olio ha bisogno di essere credibile, ma non ci riesce. Purtroppo in Italia si continua a fare una pessima comunicazione. Da un lato si insiste con messaggi negativi, in cui emergono i soli temi relativi a frodi e sofisticazioni, esagerandone la portata; oppure si affacciano i sentimenti di paura, per via del troppo olio importato dall’estero. Dall’altro lato, quando si fa comunicazione positiva, ci si inventa invece l’impossibile, come in questo caso: il Piq, Prodotto interno qualità. Una sciocchezza. Ancora non sappiamo con certezza quanto olio lampante, quanto vergine, quanto extra vergine si produca, ma soprattutto non sappiamo nemmeno quanto olio 100% italiano vi sia, visto che solo da qualche anno a questa parte stanno emergendo i veri numeri, piuttosto esigui, della produzione, insufficienti per soddisfare la domanda interna e l’export. Stabilire la percentuale della qualità e distinguerla con margini certi è un’impresa che può avvenire solo nei comunicati stampa di regime. Mi sembra con tutta onestà un’operazione puramente propagandistica. Sono le classiche invenzioni che organizzazioni di categoria come Coldiretti e Unaprol, insieme con i loro satelliti, impongono costantemente ai media, ma sono pure fantasie, magari anche ingenue, che poggiano su basi incerte e poco credibili. Mi spiace essere così tranchant, ma l’Italia dell’olio merita ben altri soggetti. La storia del Piq è solo una narazione di basso profilo. La verità è che l’Italia ha paura della Spagna e anche degi altri Paesi produttori.

Ecco, per vostro divertimento, i dispacci di Unaprol dello scorso 18 giugno.

L’olio extravergine italiano? Il 40% della produzione è qualitativamente superiore

Presentato da Symbola e CRA con la collaborazione di Coldiretti e Unaprol il Piq-Prodotto interno qualità dell’olio

A battesimo il primo set di indicatori per misurare la qualità, e prevenire il rischio frodi

Olio questo sconosciuto, lo dice il web: scarsa la conoscenza di uno dei protagonisti del made in Italy

Milano – Il 40% dell’olio extra vergine di oliva italiano è qualitativamente superiore rispetto al resto della produzione nazionale. “Di qualità”, secondo la definizione di Symbola e CRA – Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’economia agraria – non significa solo qualità organolettica, ma soprattutto frutto di una filiera che, in tutti i suoi passaggi – dalla terra, alla molitura, alla distribuzione – riserva le giuste attenzioni verso l’ambiente, il capitale umano, la gestione delle risorse e dei rifiuti, che riduce i fitofarmaci, adotta certificazioni, rispetta i parametri di qualità salutistica.

Lo dice il primo PIQ – Prodotto interno qualità sulla filiera oleicola, realizzato da Fondazione Symbola e CRA in collaborazione con Coldiretti e Unaprol, presentato nel padiglione Coldiretti all’Expo di Milano, alla presenza del Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali Maurizio Martina. Il rapporto è stato presentato nel corso di un convegno dal titolo “L’olio italiano e la sfida della qualità – Il PIQ della filiera oleica: per identificare, misurare, difendere”, con l’intento di descrivere la produzione di olio in Italia, divisa tra eccellenze e grandi problematiche.

Per misurare la qualità della filiera, Symbola e CRA hanno messo insieme 102 indicatori che rappresentano il più completo set informativo sulle diverse fasi produttive dell’olio. Alcuni dimostrando tendenze positive – come il contenimento dei costi di consumo dell’acqua, la certificazione biologica, la quota di olio recuperato sul totale distribuito – che vengono soppesati con segnali d’allarme quando nella filiera qualcosa non torna.

Se, ad esempio, nella fase agricola, i costi per fitofarmaci e fertilizzanti aumentano, incidendo sui margini aziendali, e contemporaneamente calano i prezzi alla vendita delle olive, come registrato negli ultimi anni, le aziende risultano sotto stress a discapito della qualità e, in casi estremi, ricorrono a soluzioni non in regola.

Attualmente si osserva dunque una polarizzazione del marcato: da una parte troviamo le imprese che scelgono la qualità, e fanno crescere il valore del loro prodotto; dall’altra ci sono quelle che, in difficoltà, tagliano sulla qualità puntando alla quantità. E’ così che si giunge ad un ampliamento della forbice tra la produzione di qualità, ferma appunto al 39,2%, e una di basso livello, pari addirittura al 60,5% di quella nazionale. Sebbene il nostro Paese copra infatti da solo ben il 20% della produzione comunitaria – laddove l’Unione Europea detiene il primato mondiale – nel 2014 si è registrato un allarmante aumento del 38% di olio di importazione, contestuale al calo di oltre il 35% dei raccolti nazionali.

Tali dati, con qualche anno di anticipo, avevano colto le difficoltà del settore, oggi rivelate, ad esempio, dai sequestri di olii e grassi da parte dei Carabinieri dei NAS, aumentati dal 2007 al 2014 del 483%, raggiungendo solo lo scorso anno il valore di 7,5 milioni di euro.

L’obiettivo che ci si pone è invece quello di stimolare il paradigma dell’economia della qualità, secondo cui a minor quantità corrisponde un maggior valore dei prodotti: questo è accaduto ai produttori di vino che, travolti nello scandalo del metanolo, hanno cambiato rotta, passando dalla quantità a basso prezzo alla qualità del legame con il territorio, con vitigni pregiati e recupero di una tradizione antica come quella di greci, etruschi, cartaginesi e romani. Tanto che oggi produciamo il 50% di vino in meno, ma il suo valore è cresciuto di sei, sette volte e nel 2014 abbiamo esportato vino per circa 5 miliardi di euro.

La definizione del PIQ olio rappresenta dunque il primo database attraverso cui valutare gli olii in commercio: uno strumento di trasparenza e informazione per le istituzioni deputate al controllo di produzione e prodotto, un vademecum per le imprese del settore, ma anche un sussidiario fondamentale per i consumatori, che si rilevano poco informati.

Che differenza passa allora tra una bottiglia d’olio extravergine di oliva da 3 euro e una da 9? La diversità sta nel sapore, ovviamente, e anche in parametri importanti come i polifenoli, lo squalene, il rapporto acido oleico/linoleico sui quali i diversi olii hanno valori che possono essere variare anche molto.

Come dimostrano i dati rilevati da Voice from the Blogs per PIQ Olio sulle conversazioni via internet a livello globale, analizzando quasi 2 milioni di post tra quelli in inglese e quelli in italiano (tra blog, news, forum, social network, su tutto il 2013), nei confronti dell’olio prevale un atteggiamento positivo (80% dei post in inglese, 94% in quelli in italiano). Ma dietro questo approccio c’è una scarsissima consapevolezza e informazione. Dai post italiani risulta, ad esempio, che il 12,8% degli utenti rivela l’abitudine a impiegare un “olio qualsiasi”. A confermare la scarsa informazione, è l’uso fatto in cucina. Risulta bassissimo (3,7%) l’accostamento tra extravergine e frittura: quando invece proprio l’extravergine è ideale allo scopo. Anche l’analisi del blocco a sentiment negativo rivela una scarsa conoscenza dell’olio: in più del 30% dei casi la percezione negativa è giustificata sostenendo che l’extravergine di oliva “non è sano e fa ingrassare”.

L’incontro di Milano è stato organizzato per fornire un’osservazione scientifica del PIQ dell’olio, per comprendere punti di forza e trovare soluzioni alle difficoltà riscontrate negli ultimi anni, guardando al rispetto e alla tutela dei consumatori la cui accresciuta conoscenza del prodotto potrà agevolare una domanda più consapevole stimolando di conseguenza un’offerta di qualità superiore dei nostri migliori oli extra vergine di oliva made in Italy.

Granieri: “con PIQ dell’olio calcolo valore e sua percentuale all’interno del PIL”

Milano – “L’olio è un tassello importante della quotidianità degli italiani, della cucina, della cultura nazionale ed ha un ruolo importante e crescente anche all’estero”. Lo afferma David Granieri presidente di Unaprol a Milano ad Expo presso il padiglione Coldiretti durante l’evento di presentazione del PIQ dell’olio, il prodotto interno di qualità. “Pur in tempo di crisi in controtendenza con l’andamento del complessivo del settore, in Italia – afferma Granieri -sono proprio i consumi di qualità a far registrare una crescita”. Eppure il mercato dell’olio finisce sotto la lente di ingrandimento per i continui attacchi cui è sottoposto che non distingue la qualità sullo scaffale e solo di rado l’acquisto è realmente consapevole. “Spesso – ha riferito Granieri – la qualità percepita dai consumatori non corrisponde a quella reale del prodotto”. Recenti campagne demoscopiche hanno evidenziato la scarsa informazione dei consumatori su questo prodotto: sono pochissime le persone che si pongono la questione della provenienza delle olive e degli oli e, addirittura, sono pochissime quelle a conoscenza della differenza tra olio di oliva e olio extra vergine di oliva. A questa assenza di una cultura dell’olio si somma la mancanza di meccanismi che obblighino a indicare in maniera chiara e trasparente le caratteristiche del prodotto, privando il consumatore della possibilità di effettuare una vera scelta. In assenza di informazioni trasparenti sulle differenze tra i prodotti, spesso l’unico criterio di scelta risulta essere il prezzo. Ma cosa c’è dietro i prezzi delle bottiglie esposte sugli scaffali dei supermercati, che oscillano da 2,5 a 9 euro al litro e più?

“Avviare un lavoro di definizione e sistematizzazione del concetto di qualità, aggiunge Granieri,è la premessa per comunicare in modo chiaro e accessibile questo valore, e provare a scardinare gli ostacoli che ne impediscono il pieno sviluppo”.

Il Piq dell’olio nasce proprio da questa esigenza di trasparenza e di informazione e si inserisce nel dibattito sui nuovi indicatori di qualità, orientato alla ricerca di nuovi strumenti complementari o alternativi al PIL. Il quesito al quale il Piq intende rispondere è quanta parte dell’economia del nostro Paese, e quindi del PIL, è riconducibile alla qualità e come tale può essere misurata.

L’Italia e i numeri della qualità olivicola secondo Unaprol

· 243 prodotti a qualità regolamentata, DOP, IGP, STG, la produzione mondiale di olio da olive (3 milioni di tonnellate circa) si concentra nell’Unione europea a livello europeo

· l’Italia detiene una quota pari al 20% dell’intera produzione comunitaria.

· 43 designazioni di origine nell’olio di cui 42 dop e una igp

· 900.000 aziende agricole

· 1 milione di ettari coltivati ad olivicoltura

· 1,4 miliardi di € circa il valore alla pianta delle olive

· 3 miliardi di € il valore del fatturato generato dalla fase industriale della filiera pari al

· 3% del fatturato totale dell’industria agroalimentare

· 2° produttore mondiale di olio di oliva in generale

· 673 confezionatori

· 2624 confezionatori con frantoio

· 3760 frantoi

· 350 tipi di cultivar diverse

· Italia è la banca mondiale della genetica olivicola

· 50 milioni le giornate di assunzione di manodopera agricola

· 170 mila ettari coltivati a biologico, al 12% della SAU olivicola nazionale

· 3° produttore europeo di olive da tavola

· (88mila ton. pari al 3% della produzione nazionale di olive)

· Il più rappresentativo consorzio di olivicoltori Italiano a livello europeo e mondiale

· 190 mila imprese associate in Italia rappresentate in organizzazioni economiche territoriali

· Il 44 % della rappresentanza tra le OOPP del settore con 262 mila ettari in produzione di qualità

· 700 filiere e 7000 aziende in tracciabilità

· La più grande rete di tracciabilità e monitoraggio olivicolo a livello europeo

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