Olivo Matto

Siamo tutti coldirettiani

Luigi Caricato

In fondo è la verità. Ogni italiano che ha a che fare con l’agricoltura è un coldirettiano, anche se non ne ha la tessera. E’ coldirettiano nell’essenza più profonda – e, forse (purtroppo, ahinoi) moriremo tutti coldirettiani. Magari non sarete d’accordo, ma, credetemi, è questa, vi piaccia o meno, la nuda e cruda verità.

L’Italia del disastro attuale è figlia legittima dell’Italia della Democrazia cristiana e delle scelte insensate di allora, pur se giustificate sempre in ragione del delicato momento storico che si viveva in quegli anni. Un puro alibi per giustificare la nostra coscienza impegnata a coltivare l’illusione degli ideali. La verità la conosciamo tutti. Siamo tutti democristiani, e di conseguenza coldirettiani, anche perché fa intimamente parte del nostro vissuto essere (senza necessariamente dichiararsi) democristiani.

Anche il PCI, sotto sotto – e non mi sembra di affermare una eresia, e nel caso qualcuno fosse di parere diverso me ne dispiaccio profondamente – era, più nei fatti che nelle intenzioni, una Democrazia cristiana al rovescio. Se ci pensate bene, è proprio così. Tranne le eccezioni, rare, di chi ha creduto fortemente nei valori – o del cattolicesimo, o del comunismo – la gran parte dei militanti (o elettori) aveva ben altri obiettivi, non certo il coltivare il bene comune. Altrimenti non vi è alcuna giustificazione razionale al fatto di ritrovarci oggi a vivere in un Paese che langue e si trova in uno stato comatoso.

Vi ricordate quando qualcuno (credo, quasi senza incertezza, Indro Montanelli) scrisse a suo tempo “moriremo tutti democristiani”? In effetti, la DC non c’è più, ma restiamo degli inguaribili democristiani fino al midollo. Anche coloro che sembrano, o si dichiarano distanti, sono intimamente democristiani, quindi coldirettiani sin nel profondo delle viscere.

Essere di Coldiretti è come sentirsi al sicuro, quasi fosse una grande madre che pensa a tutto, fino a rimboccarci le coperte prima di andare a dormire. Non tutti gradiranno, questa mia considerazione, ma siamo noi, noi italiani che ci riteniamo (ma solo a parole) liberi, a essere in realtà figli sempre della stessa mamma: la DC.

Non si offendano coloro che si illudono di collocarsi ideologicamente altrove, e comunque da tutt’altra parte. Non è così. Sono i comportamenti che ciascun agricoltore assume, anche involontariamente, a esprimere una adesione cieca, e a volte inconsapevole, alla Coldiretti. Ciò che conta, è garantirsi il pane quotidiano, avere la sicurezza a portata di mano, la pappa pronta, la tranquillità, le energie per andare avanti.

Per questo ci lamentiamo fino all’inverosimile, prendendo a volte anche le distanze – sempre a parole, mai nei fatti – anche se poi, quando alla fine si tratta di decidere per la propria libertà, a vincere è sempre la nostra vera natura: la pancia.

Il miracolo di Coldiretti, e di conseguenza della vecchia e mai defunta DC, sta nell’aver fatto breccia direttamente nel tessuto più intimo degli italiani. Non cambieremo mai, cambieranno i nomi e le circostanze, e magari prima o poi scomparirà anche la Coldiretti, come è scomparsa dalla scena pubblica la DC, ma si resterà sempre radicati nel grembo della stessa grande madre, la quale sarà per tutti e sempre la stessa madre.

Tranne i pochi che dicono e diranno “no, no e no”, i restanti, la gran parte, non si muoverà nemmeno di una virgola.
Io tuttavia no, non morirò democristiano, figuriamoci coldirettiano.
La libertà, l’indipendenza prima di tutto. Anche a costo di essere annientato. Perché, in fondo, un uomo che non è libero è solo un corpo vivente che è morto dentro.

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