Saperi

Confagricoltura ieri e oggi

Come ha influenzato il mondo della campagne italiane questa organizzazione di rappresentanza e interessi? Che bilancio possiamo trarne? Cosa la differenzia da Coldiretti? E perché, rispetto a quest’ultima, non cerca popolarità a buon mercato in cambio di ingenti risorse pubbliche? E, soprattutto, perché non cede a slogan come Campagna Amica e altre amenità simili?

Alfonso Pascale

Confagricoltura ieri e oggi

Nella storia delle campagne italiane, Confagricoltura si colloca tra i primi organismi a svolgere funzioni di rappresentanza. Un modello asfittico e contraddittorio nei primi decenni postunitari, osteggiato solo da Bettino Ricasoli e pochi altri, quando prevale un legame molto forte della proprietà agraria con il ministero dell’Agricoltura. Un modello che evolve poi in quello di vera organizzazione di interessi nel 1920, quando si costituisce con l’attuale denominazione, in Campidoglio, nella sala degli Orazi e dei Curiazi. Ma è già tardi per svolgere una funzione di interfaccia del forte movimento dei lavoratori agricoli diretto con sagacia e sensibilità da Argentina Altobelli. Il fascismo rapidamente assorbe queste organizzazioni nel suo modello corporativo e totalitario.

Dopo la seconda guerra mondiale, a insediare Confagricoltura nell’Italia democratica ci pensa Attilio Sansoni, un avvocato romano di tendenze repubblicane che, in qualità di consigliere comunale, aveva sostenuto l’amministrazione laica di Ernesto Nathan e che non aveva mai aderito al fascismo. Dopo di lui, guidano Confagricoltura Marino Rodinò e Alfonso Gaetani, legati ad una visione dell’agricoltura più attenta agli interessi della proprietà fondiaria che a un’evoluzione imprenditoriale delle campagne.

Bisognerà attendere la presidenza del giovane Alfredo Diana per scorgere un’inversione di tendenza. Anche a seguito degli aspri conflitti sociali nelle campagne degli anni ’60, sfociati nell’eccidio di Avola e negli scontri di Fondi e Battipaglia, egli inaugura una fase di ripensamento nell’organizzazione degli imprenditori agricoli, facendo emergere una visione più aperta ai temi dell’impresa e dello sviluppo economico e al dialogo sociale.

Con Coldiretti permane un’intesa che nessuno mette in discussione: Confagricoltura riconosce a Paolo Bonomi il primato nelle campagne e in cambio ottiene che propri rappresentanti siedano nei consigli di amministrazione di Federconsorzi e casse rurali.
L’equilibrio si rompe con il fallimento del colosso economico e finanziario agricolo agli inizi degli anni ’90. La Coldiretti diventerà un’agenzia di servizi sostenuta da una comunicazione che strumentalizza un’immagine bucolica dell’agricoltura. Una comunicazione costruita su dati falsi per dare visibilità ad un ceto politico trasversale alla ricerca di popolarità a buon mercato e disposto a dirottare, in cambio, ingenti risorse pubbliche al fine di mantenere “scatole vuote”, come Campagna Amica e altre amenità simili.

Confagricoltura si trova così a svolgere la propria funzione di rappresentanza senza più l’opprimente presenza della sorella maggiore. Incomincia a dare più spazio alla propria Federazione delle imprese familiari, tenuta da sempre in una posizione marginale per non infastidire Coldiretti. E a guardare con rinnovata attenzione ai temi del territorio, dello sviluppo rurale e della multifunzionalità. Non perché in passato non se ne sia occupata. Anzi, va dato atto a Confagricoltura di essere stata la prima ad organizzare i pionieri dell’agriturismo e del biologico in sintonia con analoghe iniziative in altri Paesi europei, come la Frania e l’Inghilterra. Agriturist nasce nel 1965, per iniziativa di Simone Velluti Zati, e viene riconosciuta con decreto ministeriale come associazione ambientalista nel 1987.

Confagricoltura ha, dunque, nel proprio Dna quanto basta per proporsi come un’organizzazione che guarda schiettamente alla nuova ruralità e cerca di amalgamarne gli interessi con altre forme di agricoltura. Non c’è da meravigliarsi se negli ultimi anni questa organizzazione ha incominciato ad occuparsi – con continuità e passione – dell’agricoltura sociale. Lo fa con discrezione e premura, mettendo a disposizione della Rete Fattorie Sociali le proprie strutture tecniche centrali e territoriali, inventando iniziative simpatiche come il Premio “Coltiviamo agricoltura sociale” e contribuendo con Confindustria e Confprofessioni ad alimentare la cultura del welfare aziendale.

Anche in queste cose si possono intravedere i profondi cambiamenti avvenuti nella società italiana; cambiamenti che dovrebbero indurre tutti, indipendentemente dalle storie da cui proveniamo, a guardare al futuro con nuovi occhi e soprattutto coltivando un’attitudine all’ascolto e al rispetto reciproco.

Foto di Francesco Buccarelli, VHS

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