Saperi

Cose dentro

Le “cose dentro” sono il mondo che nascondiamo agli occhi degli altri, che non vogliamo che qualcuno le scruti perché sono il patrimonio nascosto della nostra mente, sono parte di noi, sono quelle cose che, a volte, anche torture indicibili, frutto di quell’animalesco residuo di genetica animale che ci portiamo dentro, non riescono a strapparci

Massimo Cocchi

Cose dentro

31 Luglio 2020, giornata torrida che non si farà dimenticare, per la trentanovesima volta sono salito al piano che io chiamo “dei miracoli”, dove le regole umane impongono le distanze perché non ti infetti e ho visto un portantino mentre si asciugava il sudore dei baffi, calando la mascherina, strofinandoli con la mano guantata che poco prima, forse, aveva sentito il beneficio del disinfettante.

Mi sono veramente fatto una risata, dentro, perché non puoi esternare il giudizio sull’imbecillità, umana pena di essere giudicato il solito rompiballe…

Mi siedo a distanza programmata e osservo il mondo umano che mi sta intorno e mi sembra che quel “male terribile” colpisca per gran parte la gente umile o, forse, i “signori” vanno altrove a curare il male.

Mi soffermo su quei volti che disegnano improbabili espressioni di vita tranquilla, chi legge il giornale, chi scorre con il dito sul telefonino, chi legge un libro, chi si guarda attorno come per carpire gli altrui pensieri.

Praticamente nessuno parla con l’altro, è una vera rarità assistere a conversazioni fra i presenti, eppure molti, quello stesso giorno, sempre quelli per ciascun gruppo, si incontrano come con l’abbonamento a un appuntamento teatrale, ma non si parlano, neppure si guardano, ogni tanto succede che qualcuno non lo vedi più, ma nessuno chiede, pensano alle loro cose dentro.

Chissà, anche quando fanno finta di fare altro, cosa scorre negli anfratti meningei dei loro cervelli.

Quel male che nasce da una variabile impazzita della perfezione cellulare che tante volte ho raccontato agi studenti non conosce età, colpisce e basta, e, allora, penso alla giovane mamma che la “cosa dentro” che ha di più prezioso sono i suoi bambini, penso alla persona di mezza età che pensa che, tutto sommato, con gioie e dolori, dalla vita fai sempre fatica a staccartene, penso alle persone anziane e, in queste, faccio più fatica a capire le priorità dei loro pensieri, forse pensano, con un po’ di sano egoismo, a loro stessi.

Il loro percorso l’hanno già vissuto e, forse, pensano al conforto del cibo casalingo, del nido dove hanno raccolto i ricordi, dell’affetto o degli affetti di cui hanno impregnato le pareti che li circondano nella loro intimità quotidiana.

Sono lì, seduti nella fila di sedie che corre nel muro del corridoio, e aspettano di essere chiamati per ricevere la speranza di vita, quel sacchetto di liquido prezioso che vale più dell’oro o di qualunque elemento nobile del creato.

Di certo non scambierebbero quel prezioso sacchetto con null’altro.

Poi arriva il momento atteso spasmodicamente, l’incontro con la persona alla quale hanno affidato la loro vita, già perché è diverso il rapporto che c’è con quella persona e quello che si vive per una normale visita di controllo o per la ricetta, nella sala d’aspetto del medico di famiglia.

Varcare quella soglia rappresenta l’emozione dell’attesa di speranza, il sogno di sentire che il miracolo è possibile, e lì, mettono tutto nelle mani di chi sa ascoltare e che, forse, a volte, tace una verità sconvolgente. Non è peccato ma indulgenza.

Poi arriva il momento del sacchetto del miracolo, dove veramente si racchiude la speranza, nessuno potrà mai dire quanto vale questa speranza.

Io mi sono sorpreso più volte a non pensare, rimango seduto e cerco di capire se per la mia causa scientifica ho sacrificato e fatto tutto quello che potevo, non lo so, certo ce l’ho messa tutta, mi chiedo anche cosa possa valere quello che ho fatto, se guardo quei volti di speranza.

Quei probabili successi che ho rincorso e che, in qualche modo ho raggiunto, si piegano d’incanto di fronte a quelle figure in camice bianco, che io non ho indossato per scelta, e, forse, per vigliaccheria.

Lavorare sulle membrane cellulari è ben diverso che assistere umilmente tutta la povera gente e trovare per ciascuno le parole giuste, consapevoli che quelle parole sono, per chi le riceve, linfa vitale.

In quei momenti penso spesso, ma non gliel’ho mai detto, a mio fratello che con l’abilità delle sue mani ha salvato tanta gente, io non ho potuto/voluto farlo e ho scelto di rifugiarmi in un mondo che non ha mai fine, la mia illusione di fare qualcosa di utile francamente si ridimensiona di fronte all’umiltà di quel camice bianco che dà speranza e non illusione. C’è una bella differenza.

Non so quante altre volte mi siederò e rifletterò in quel corridoio.

La foto di apertura è di Luigi Caricato per Olio Officina ©

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