Saperi

Fame e sazietà

Quali regole si prospettano a livello globale? I nuovi termini della fame e della sazietà sono ormai nell’agenda di tutte le sedi formali e informali a livello internazionale. Sta infatti crescendo la consapevolezza che tali temi si possano affrontare solo in una dimensione globale. Expo 2015 è un’occasione formidabile per discutere nuove regole e nuovi assetti dell’economia e della società

Alfonso Pascale

Fame e sazietà

L’economia civile, una leva per uscire dalla crisi

Innanzitutto, andrebbe superata la crisi economica internazionale esplosa nel 2008 e che si manifesta anche con la speculazione sulle derrate agricole. È una crisi che viene da lontano. La prima mossa ad averla innescata risale agli inizi degli anni Settanta, quando Nixon decise di sganciare il dollaro da ogni parità fissa con l’oro. La seconda viene effettuata alla fine dello stesso decennio quando gli Stati Uniti decisero un forte rialzo dei tassi d’interesse. E la terza è attuata agli inizi degli anni Ottanta con la decisione di Reagan e Thatcher di liberare la circolazione dei capitali. Un lungo processo di incubazione della crisi, dunque, che ha prodotto, nel suo svolgersi, la devastazione ulteriore dell’ambiente, l’accentuazione degli squilibri distributivi di risorse e di potere connessi alla globalizzazione, l’erosione dei beni relazionali che si era già manifestata con l’avvento della società dei consumi. Il buon funzionamento del mercato e delle istituzioni poggia, infatti, su alcune risorse indispensabili, che sono la fiducia, la collaborazione, la responsabilità, lo spirito di coesione, la solidarietà. Si tratta del capitale sociale che si costituisce sulla base di un impulso valoriale non egoistico. L’economia finanziaria che si è imposta nella società post-fordista ha prodotto un’accentuazione della spersonalizzazione dei rapporti economici come portato di un’idea riduttiva e avvilente della persona umana. Ha fatto ulteriore breccia l’opinione che vuole gli uomini mossi unicamente da auto-interesse miope e non anche dalla simpatia verso gli altri e dall’etica della responsabilità verso ogni ente. Si è voluto negare che gli esseri umani prima di cercare interessi e guadagni, sono cercatori di stima, di approvazione sociale, di relazioni. La crisi ha così creato nuove ingiustizie e nuove povertà. Ha prodotto emarginazione e solitudine.

Bisognerebbe ora costruire un nuovo sistema finanziario internazionale che stabilisca le regole e le istituzioni entro cui far convivere il capitalismo con la democrazia nel terzo millennio. Si tratta, infatti, di mettersi nelle condizioni di poter tassare le rendite finanziarie e, così, spostare risorse a sostegno dello sviluppo e di nuovi e più efficaci sistemi di welfare. Occorrerebbe diffondere un’economia attenta non solo alla massimizzazione dell’utile, ma anche alla partecipazione di tutti ai beni, al coinvolgimento dei più deboli, alla promozione dei giovani, delle donne, degli anziani, delle minoranze. Un’economia che miri alla messa in comune delle risorse, al rispetto della natura, alla partecipazione collettiva agli utili, al reinvestimento finalizzato a scopi sociali, alla responsabilità verso le generazioni future, secondo una logica di “economia civile”.

Le politiche agricole dei paesi in via di sviluppo dovrebbero privilegiare i mercati locali e regionali e incentrarsi sulle popolazioni rurali presenti sul territorio. Gli interventi internazionali sotto forma di massicci aiuti alimentari a questi paesi stravolgono i mercati locali e pregiudicano la sicurezza alimentare degli stessi produttori agricoli. Gli aiuti dovrebbero, invece, favorire le capacità delle persone e delle comunità locali di accrescere il benessere individuale e sociale. Una particolare attenzione andrebbe rivolta all’elevazione della condizione delle donne sia per valorizzare le loro capacità innovative in agricoltura, sia per correggere il tasso di fecondità. Per combattere la fame non c’è alternativa alla conoscenza e all’innovazione. L’intervento pubblico dovrebbe favorire la ricerca pubblica e rendere praticabili i costi dell’accesso all’innovazione. Non si può continuare ad ignorare che l’ingegneria genetica è ritenuta dalla comunità scientifica la frontiera tecnologica che può permetterci maggiori livelli di produttività agricola e al tempo stesso di salvaguardare meglio le risorse naturali.

La FAO ha definito le linee guida sugli investimenti riguardanti l’utilizzo dei terreni agricoli. Si tratta, in sostanza, di promuovere un accesso equo e sicuro alla terra attraverso il dialogo e la condivisione delle conoscenze e costruire un centro di monitoraggio sulle acquisizioni di terra su larga scala e sul loro impatto dal punto di vista ambientale, sociale ed economico. Andrebbe, inoltre, trovato il giusto equilibrio tra il bisogno di disporre di energia a basso costo per la ripresa economica, la necessità di uno sviluppo sostenibile, a cui le agroenergie danno un contributo straordinario, e l’esigenza di assicurare il diritto al cibo, che mal si concilia con la sottrazione di terreno fertile per finalità agroenergetiche.

Il ruolo dell’Europa

L’Europa potrebbe contribuire a risolvere il problema dell’insicurezza alimentare puntando sulla ricerca e l’innovazione, compresa quella che riguarda gli ogm, e sostenendo la capacità delle popolazioni dei Paesi in via di sviluppo ad investire nelle loro agricolture. Gli agricoltori europei non hanno bisogno di risorse elevate per sostenere i propri redditi, ma di redistribuirle in modo più equo tra grandi e piccoli produttori e tra aree forti ed aree deboli, agganciando i sussidi alla produzione di beni pubblici, ambientali e relazionali. L’agricoltura europea ha, invece, estrema necessità di adeguare la politica di sviluppo rurale perché punti effettivamente allo sviluppo territoriale, all’ammodernamento delle politiche di welfare, al miglioramento della qualità della vita nelle aree rurali, al contributo che l’agricoltura può dare per rendere vivibili le aree urbane, nonché alla costruzione di sistemi agroalimentari locali e nazionali capaci di cogliere le opportunità dei nuovi mercati nei Paesi emergenti. La PAC non va affatto in tale direzione ma resta marcatamente protezionistica e caratterizzata da misure, come gli aiuti diretti al reddito, che erodono il già carente capitale sociale delle campagne. Si sostengono, infatti, gli agricoltori individualmente, anziché incentivare forme di aggregazione nelle filiere agroalimentari e relazioni più strette con gli altri soggetti economici e sociali dei territori rurali e urbani. Il paradosso di dover liberalizzare i mercati e, nello stesso tempo, proteggere gli agricoltori si può risolvere solo in un modo: con liberalizzazioni e protezioni a geometria variabile. I Paesi più poveri dei nostri hanno bisogno, per un certo periodo, di proteggersi dalle importazioni dei nostri prodotti agricoli e puntare al proprio sviluppo autoctono. E noi dovremmo dichiararci disponibili a favorire queste legittime e irrinunciabili esigenze. I Paesi industrializzati, invece, qualora le crisi alimentari dovute ai prezzi alti del cibo colpissero le fasce povere della propria popolazione, non dovrebbero nutrirle producendo di più localmente, ma dovrebbero farvi fronte con adeguate politiche di welfare in grado di lottare effettivamente contro le povertà.

Coerenza nel regolare il commercio mondiale

Un commercio regolato è quello che integra nelle sue dinamiche decisionali ed applicative i principi e le prassi del diritto all’alimentazione. Gli Stati, le cui popolazioni soffrono una condizione di denutrizione, dovrebbero astenersi dal contrarre obblighi internazionali in contrasto con tali principi per non andare contro i loro popoli. L’Ue e gli Usa dovrebbero, da parte loro, promuovere questo approccio verso gli altri Stati membri dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), conosciuta anche con il nome inglese World Trade Organization (WTO), per fare in modo che la sicurezza alimentare diventi una vera e propria clausola di salvaguardia negli accordi internazionali.

La foto di apertura è di Luigi Caricato

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