Saperi

I tanti pregi di Facebook, e i tanti difetti (di cui uno terribile)

È una piattaforma straordinaria, occorre riconoscerlo, ma si rivela quasi una trappola. Non ci si rende conto della perdita della capacità di interagire con quanti non la pensano come noi. Gli insulti abbondano, l'odio lo si percepisce in modo chiaro e plateale, con commenti carichi di insulti. Non ci saremmo mai aspettati di sperimentare una polarizzazione così estrema, su qualsiasi argomento, anche con persone conosciute. Quale rapporto c’è tra le società di gestione dei social e gli utenti?

Alfonso Pascale

I tanti pregi di Facebook, e i tanti difetti (di cui uno terribile)

Facebook ha tanti pregi che non sto ad elencare e che sperimentiamo ogni giorno. Ma porta con sé anche parecchi difetti. Uno in particolare è terribile. È quasi una trappola. Frequentando questa tipologia di piattaforma, con gli anni perdiamo la capacità di interagire con persone che non la pensano come noi. E quando questo accade non sappiamo spiegarcelo. Possibile che amici con cui abbiamo sempre discusso di tutto, anche da posizioni reciproche del tutto confliggenti, ora ci appaiono maleducati, prevaricatori, oltranzisti? Eppure, è così.

Le espressioni usate nei commenti sotto i nostri post ci sembrano insulti, cariche d’odio. Le rileggiamo più volte e niente, siamo costretti ad ammettere che è proprio così. E la sensazione che proviamo è di amarezza e frustrazione. Non ci saremmo mai aspettati di sperimentare una polarizzazione così estrema, su qualsiasi argomento scottante, con persone con cui ci sono sempre stati legami di reciproca stima e amicizia. Allora fermiamoci a riflettere e vediamo meglio come stanno le cose. Dobbiamo sapere che Facebook è una di quelle piattaforme che manipolano e radicalizzano tanti di noi senza che ce ne accorgiamo. Ci rendono indisponibili alle mediazioni e ai compromessi. E questo accade perché i gestori dei social traggono profitto dal segmentare la nostra individualità e dal fornirci contenuti personalizzati che convalidano e sfruttano i nostri pregiudizi.

Per tenerci impegnati sulla piattaforma il più possibile, Facebook provoca in noi forti emozioni. E spesso incentiva l’uso dei termini più incendiari e polarizzanti. Fino a spingerci a non ricercare un terreno comune coi nostri interlocutori. A convincerci che tale ricerca sia inutile e irrealizzabile. Che fare?

Sono molti ad invocare un cambiamento delle piattaforme digitali. E gli stessi gestori si professano impegnati in tale sforzo. Ma i risultati ancora non si vedono. È del tutto evidente che dovrebbero intervenire le istituzioni, non solo e non tanto nazionali, ma quelle oltre lo stato, da edificare e legittimare sul piano democratico. L’Unione Europea dovrebbe avere una piena competenza per intervenire in questa materia. Senza imporre regole chiare, senza definire la responsabilità per i danni alle persone causati da questi modelli di business e senza imporre costi reali agli effetti deleteri che stanno avendo sulla nostra salute pubblica e sulla nostra democrazia, difficilmente si produrrà un miglioramento di internet.

Quale rapporto c’è tra le società di gestione dei social e noi utenti? Queste aziende non premiano l’ascolto reciproco, non incoraggiano il dibattito civile, non proteggono le persone che vogliono sinceramente porre domande. Ad esse sembra interessare solo ottimizzare il coinvolgimento degli utenti e fare in modo che questi crescano di numero il più possibile. Non introducono alcun incentivo che ci aiuti a rallentare quando ci facciamo prendere dalla foga della polemica e a riconoscere le nostre reazioni emotive.

Finché gli obiettivi degli algoritmi che i social utilizzano sono di tenerci impegnati sulla piattaforma, scorrerà molto veleno che farà leva sui nostri peggiori istinti e debolezze. E sì, la rabbia, la sfiducia, la cultura della paura e dell’odio che permea i nazionalismi e i sovranismi.

L’ambiente informatico è cristallizzato intorno alla creazione di profili e quindi alla segmentazione in categorie sempre più ristrette di utenti al fine di perfezionare questo processo di personalizzazione. Siamo quindi bombardati da informazioni che confermano le nostre opinioni, rafforzano i nostri pregiudizi e ci fanno sentire come se appartenessimo a qualcosa.Ovviamente questa situazione non dipende solo dai social e dai loro gestori. C’è una responsabilità più generale e diffusa che riguarda tutti. Abbiamo problemi sociali profondi che dobbiamo risolvere. C’è una parte del ceto politico che si alimenta di populismo e lo pratica dispensando odio a piene mani. Ma Facebook, coi motori e gli algoritmi della sua piattaforma, amplifica a dismisura i contenuti dannosi e spinge alcuni utenti verso visioni estreme.

Chi ha consapevolezza di quanto sta accadendo non deve restare con le mani in mano. Abbiamo un modo molto semplice per reagire: ricercare persone che non la pensano come noi e tentare di interloquire con esse; rendere questo problema una priorità; costruire, con il coinvolgimento delle competenze, un approccio dell’intera società per risolvere questo problema. La democrazia si difende se affrontiamo finalmente questa grave piaga sociale.

PER APPROFONDIRE

Interessante, al riguardo, il libro di Alfonso Pascale, Cyber propaganda. Ovvero la promozione nell’era dei social, pubblicato per le edizioni Olio Officina, che consigliamo di leggere per la profondità dell’analisi da parte dell’autore

In apertura, il particolare di una illustrazione di Doriano Strologo per Olio Officina ©

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