Saperi

Il mio olio è onesto

Non sangue, ma olio nelle vene. Il primo incontro di Boris Pangerc con l’olivo e l’olio è stato traumatico, ma poi, dopo molti anni, si è tramutato in passione sfrenata. Al punto da trasformare anche la sua personalità, oltre che la sua stessa vita. La fulminazione sulla via dell’olio ha preso corpo nel 2001

Olio Officina

Il mio olio è onesto

Boris Pangerc è nato a Dolina, in provoncia di Trieste, il 3 agosto 1952. Dopo aver frequentato la scuola dell’obbligo nel paese d’origine, nel 1972 si è diplomato al liceo scientifico “France Prešere” di Trieste e, nel 1978, ha conseguito la laurea in lingua e letteratura slovena all’Università di Lubiana, in Slovenia. Dal 1983 è insegnante di ruolo presso la scuola media statale “Simon Gregorčič” di Dolina – San Dorligo della Valle.

Nella sua attività professionale, politica e culturale ha ricoperto diversi incarichi di rilievo. E’ sttao presidente della società slavistica di Trieste-Udine-Gorizia, mentre nel 1989 è satto eletto primo presidente dello Združenje književnikov Primorske, ovvero l’Unione degli scrittori del Litorale, mentre negli anni 1994-95 è stato presidente dell’Unione dei circoli culturali sloveni di Trieste, e nel 1995 è stato eletto sindaco del Comune di San Dorligo della Valle – Občina Dolina, riconfermato nella carica per il secondo mandato alle elezioni del 1999 fino al 2004. Infine, dal 2006 al 2011 ha ricoperto la carica di presidente del Consiglio provinciale di Trieste.

Dal 2002 al 2011 ha curato il calendario “Pod oljkami v Bregu-Sotto gli ulivi della Valle del Breg”. Inoltre, per meriti nella divulgazione dell’olivicoltura nel Friuli Venezia Giulia, è stato insignito nel 2002 dal Comune di Cicerale (Salerno) del premio “Sindaco Agricoltore d’Italia”. Nel marzo 2005 gli è stato conferito il premio letterario “Vstajenje” (Ressurrezione) per la raccolta di poesie “Odžejališče” (Dissetatoio).

Boris Pangerc ha scritto, tradotto, redatto o curato una trentina di libri di poesia, prosa e di pubblicistica di vari argomenti. Parecchie delle sue poesie sono state musicate, molte dal maestro compositore e compaesano Ignazio Ota (1931-2001).

Boris Pangerc scrive anche in lingua italiana e in dialetto triestino, di cui testimoniano la raccolta di poesie “L’incendio Bianco” (Edizioni Loufried – Trieste 1990) e “Lasseme dir” (Edizioni Antony – Trieste 2003).

Quali sono i tratti migliori della sua personalità?
L’onestà, la generosità, il senso del dovere e della giustizia, la caparbietà, la sensibilità. L’amore smisurato per la verità, anche quando fa male.

E le virtù che coltiva abitualmente?
L’amicizia, l’ospitalità, il rispetto verso il prossimo, la poesia.

Quali sono invece i suoi limiti, le pecche maggiori, gli impulsi più incontrollati del carattere?
A volte se qualcosa mi innervosisce divento irascibile, ma questo lato del mio carattere è quasi sempre riservato al contesto familiare ed è condizionato dall’affetto, quindi viene subito preso con ironia e sdrammatizzato. Sono testardo, ma tutto sommato anche la mia cocciutaggine si è plasmata con gli anni.

I vizi invece ai quali non intende rinunciare per niente al mondo o, pur volendo, non riesce a rinunciare?
Per quanto riguarda i vizi “classici”, ho fumato per più di quarant’anni e ho smesso tredici anni fa – ancora oggi ostento questo traguardo con orgoglio. Per concedermi ad altri vizi non ho tempo, sono troppo preso dalla vita e dalle mie attività.

Un ricordo della sua infanzia che ancora le torna in mente?
Quando andavo con mio papà in campagna; ero come il suo cagnolino, scorrazzavo per i prati e i sentieri, tra le vigne e nei boschi di acacie (di ulivi quella volta ne vedevo pochi) e di tanto in tanto tornavo da papà – che era curvo a zappare sotto i filari o intento a raccogliere gli ortaggi, o comunque ben saldo coi piedi nella terra, indaffarato con gli arnesi da contadino – per farmi accarezzare, sentirmi dire qualcosa riguardo al lavoro che faceva o farmi spiegare qualche parola del grande vocabolario della natura con la quale eravamo in stretto contatto. Ma il ricordo più prezioso e più coinvolgente che custodisco nel cuore è di quel fine novembre – avrò avuto nove o dieci anni – freddo, gonfio di bora tagliente, che mi spazzolava le guance rosse, il gelo che mordeva le punte delle dita e papà mi costringeva con sonore sgridate a raccogliere le olive da uno degli unici due alberi che possedevamo per un caso fortuito e che non erano né curati né coltivati, ma solo sfruttati per quello che potevano dare di loro spontanea volontà. Papà era sull’olivo e io sotto, piagnucolante e tremante, ma non osavo andarmene; soffrivo, odiavo quei frutti per metà neri e per metà raggrinziti e maledicevo l’ora del raccolto.
Quell’olivo esiste ancora, l’ho fotografato, si erge a fianco del municipio di Dolina, dove ho trascorso nove anni da sindaco e di tanto in tanto, nei giorni di bora, andavo a scrutarlo e accarezzarlo con gli occhi e col pensiero, e vedevo ancora mio padre attorcigliato fra i rami a trafugare nella bisaccia i suoi miseri frutti.
Era il mio primo incontro – traumatico – con l’olivo e l’olio. Un trauma che molti anni dopo si tramutò in passione, dedizione, amore sfrenato, tanto da riuscire a trasformare anche la mia personalità e la mia vita. Sicché nelle mie vene non scorre più sangue ma olio extravergine di oliva.

Ora si passa al lavoro. Da quanto, e perché, si occupa di olio?
Nel 1993 trasformai, senza grandi ambizioni, in uliveto la vigna di Valca (Vàlza), terreno nella fertile vallata di Dolina, ereditato da mio padre. Lo coltivai per alcuni anni senza onore e senza infamia. La fulminazione sulla via dell’olio arrivò nel 2001, quando per alcune fortuite casualità deliberammo come Comune di entrare nell’Associazione Nazionale Città dell’Olio e neanche un mese dopo partecipai alla prima edizione delle Giornate Mediterranee dell’olio d’oliva a Jesi. Fu il “colpo di grazia”. Impazzii per l’olivo, per l’olio, per l’olivicoltura.
Sempre in quel periodo, per una fortunata coincidenza, mi associai all’amico Gioacchino Fior Rosso e presi in affitto dall’Ente zona industriale di Trieste un ettaro e mezzo di terreno a Portouca (Pòrtouza), una collina nei pressi della frazione Frankovec – Francovez, nel Comune di Dolina. Vi piantai cinquecento ulivi, 85% dei quali della nostra varietà autoctona belica/bianchera (belìza). Allora cominciarono i sacrifici, quelli veri. Affiancare ai doveri istituzionali la mia attività di olivicoltore – credetemi – non era una passeggiata. Intanto dovevamo trasformare una zona abbandonata e degradata in terreno coltivabile. Ma noi facemmo di più. Trasformammo quella zona in un paradiso terrestre, del quale godono i benefici tutti gli abitanti vicini, compresi quelli che all’inizio erano contrari e non vedevano di buon occhio quelle enormi trasformazioni. Dodici anni dopo quella piantagione di olivi si è trasformata in un bosco di piante di olivo curate, coltivate e coccolate, con una splendida vista sul mare, con sentieri da passeggio, con tanta quiete, dove ognuno può trovarvi pace e rinfrancare lo spirito. In più, produciamo un olio eccellente, apprezzato e anche premiato.

Crede davvero nel suo lavoro? C’è ancora in lei un senso di sano di entusiasmo e passione a motivarla? O qualcosa la turba e la impensierisce?
Ci credo, fino al midollo. Trascorro anche momenti di debolezza, con la voglia di abbandonare tutto, perché la natura non ci risparmia. Le intemperie hanno tentato da subito di scoraggiarmi: appena piantati, è arrivato il 7 gennaio del 2003 un freddo boia. Sono andato in mezzo a loro, li strigevo sul petto, li accarezzavo, li incitavo: “Resistete! Resistete”! Neanche uno è morto.
Un’altra volta la siccità, nel 2012 la grandine, che il 12 giugno ha flagellato la nostra zona, distruggendo anche tutto il mio raccolto. Nel 2013 la bora mi ha spazzato via un terzo dei frutti e quest’anno ne ho regalato quasi la metà alle larve della mosca dell’olivo. Ma in quella terra, scavata dalle radici dei miei ulivi, pulsa il mio sangue, il mio sudore, la mia passione, il mio entusiasmo, il mio sacrificio, le mie ansie e le mie gioie.
La pianta d’ulivo “principessa” del mio uliveto si chiama “Gigliola” e ha una storia. Il 6 giugno 2002, io e Gioacchino piantammo ciascuno il suo primo ulivo a Portovca. All’approssimarsi del giorno della cerimonia – con tantissime autorità, amici e parenti presenti – guardavo il palo di sostegno che spuntava dal buco e mi dava tanta tristezza, non mi pareva per nulla solenne; allora tornai a casa, raccolsi un mazzo di gigli che crescevano in cortile e lo legai a quel palo. L’atmosfera cambiò in un istante, tutto parve più raggiante. Gioacchino mi prese a modello e dal suo terreno raccolse alcuni fiori da una pianta di rosa selvatica, miracolosamente preservata durante la lavorazione del terreno. Cinse con le rose il palo del suo primo ulivo, e subito la visione parve più festosa. Da quel giorno, ogni 6 giugno – pioggia, vento, sole che fosse – “Gigliola” e “Rosa” ricevono gigli, rose e la foto di rito per il loro compleanno.
Nelle giornate di sole, quando il cielo è terso, il mare è viola e il verde delle chiome è spumeggiante, finito il lavoro, alzo la testa passando con lo sguardo tra le file ondeggianti e mi pervade un’intensa emozione. La bellezza che traspira dal mio uliveto mi fa venire le lacrime agli occhi. Queste sensazioni sono più forti di qualsiasi turbamento e sovrastano ogni principio di paura.
Sì, ho paura degli uomini che a vari livelli politici, istituzionali e amministrativi decidono sulle sorti dell’agricoltura, perché non hanno la mentalità contadina che abbiamo noi, ma la mentalità burocratica che distrugge letteralmente il buon senso. E i risultati sono evidenti e alimentano la paura per il futuro.
Se dovessi riferirmi al campo professionale dove mi guadagno da vivere, la scuola (faccio l’insegnante di scuola media), direi che quegli uomini assomigliano ai ministri per l’istruzione pubblica che fanno le riforme e non hanno trascorso neanche mezz’ora in classe con i ragazzi, dove si vive la scuola realmente.

Se il comparto olio di oliva non naviga in buon acque, come è ormai evidente (avendo perso valore l’olio extra vergine di oliva, e diventando di fatto, a parte le eccezioni, un prodotto commodity), lei cosa si sente di fare per reagire allo stato di immobilismo e incertezza attuali? Ha soluzioni per cambiare il corso degli eventi?
Io continuo per la mia strada. Ho i miei clienti che apprezzano il mio olio e hanno stima di me perché sanno che il mio olio è onesto. Mi hanno dato grande prova di lealtà, quando nell’anno della grandinata ho dovuto mandarli via a mani vuote e l’anno dopo sono tornati dal primo all’ultimo.
Comunque, per rispondere alla domanda, sono troppo piccolo – nemmeno una molecola nel comparto della produzione italiana – per poter influire sullo stato attuale. Non vedo soluzioni a breve termine; sarebbe come voler spostare una diga a mani nude. Forse mi azzarderei a pronunciarmi, per esempio, sulla grande distribuzione che secondo la mia impressione imbroglia il consumatore proponendogli un prodotto scadente a prezzi irrisori al litro. I piccoli produttori dovrebbero essere, a mio avviso, più compatti e attivarsi meglio a livelli provinciali e regionali, trovare metodi più efficaci per imporre il proprio olio, quello onesto. Inoltre bisogna assolutamente incominciare a lavorare sistematicamente per alzare il livello della cultura dell’olio e bisognerebbe iniziare dalle scuole. L’olio extra vergine di oliva è un alimento fondamentale per la salute umana, a partire dall’infanzia. Nel mio piccolo, tre anni fa, ho sottoposto all’ufficio scolastico regionale un progetto per introdurre lezioni di assaggio a livello di scuole medie della provincia di Trieste. Ho chiesto alla dirigente un appuntamento in qualità di Presidente del Consiglio provinciale per illustrarle il progetto; non ho avuto udienza. Non ho ricevuto alcuna risposta e non la riceverò mai più, perché la dirigente è stata trasferita.
Quelli che sono informati sugli effetti che l’olio extra vergine di oliva può produrre sul nostro corpo, lo cercano e cercano olio di qualità. Ma la maggior parte dei cittadini, che non è informata sulle “qualità dell’olio di qualità”, cerca il prodotto a minor prezzo. Sono dell’avviso che bisognerebbe assolutamente vietare la pubblicità sugli oli a prezzi stracciati, perché in quelle bottiglie c’è tutto meno che olio extra vergine di oliva.

A proposito di olio extra vergine di oliva, cosa mette al primo posto: la qualità o l’origine?
La qualità – assolutamente. L’origine è un aspetto secondario e legato alla soggettività. L’olio di qualità è determinato da parametri che non sono legati alla provenienza. L’eccellenza è indipendente dall’origine. Si possono avere oli di pessima qualità anche da origini di grande acclamazione. Se l’olio è di qualità, ne possono trarre vantaggio anche le origini; ma se l’olio non è di qualità, le origini non possono garantire effetti benefici sulla salute.

L’olio da olive è un prodotto agricolo. Se tuttavia l’agricoltura è confinata in un ambito di marginalità, intravede una possibile occasione di riscatto per tale prodotto?
Il comparto agricolo – come ogni segmento della vita sociale – dovrebbe essere guidato da uomini e donne esperti, competenti e con chiare visioni sulle quali strutturare lo sviluppo del comparto. Con un distinguo, per altro: l’agricoltura è un comparto sensibile (come l’istruzione) perché produce alimenti, o risorse con le quali si compongono gli alimenti, e quindi in agricoltura c’è bisogno ancora di maggiore accortezza, maggiore sensibilità, maggiore senso di responsabilità e tanta competenza, condita con il buon senso. Ne va della salute di tutti i cittadini, della salute della Nazione intera. I giochi politici ai quali stiamo assistendo, (repentini cambi di governo, liti tra partiti o tra fazioni nello stesso partito e avanti di questo passo) appaiono ancora più meschini e irresponsabili. Il grano, l’olio, il miele, la carne, il vino e via dicendo non hanno tessere di partiti politici, ma hanno solo due peculiarità: o sono sani, quindi buoni, o sono cattivi e perciò nocivi!

Se ci crede nei sogni, qual è allora quello che non ha ancora realizzato e che con ostinazione e instancabile coraggio insiste nel coltivare?
Arrivare alla produzione che nelle mie condizioni e nelle mie possibilità ritengo ottimali.

In tutta confidenza: crede sia possibile realizzare il suo sogno, o è una pura utopia che va comunque coltivata pur di sopravvivere alle proprie aspirazioni?
No, no, non solo credo, ma sono convinto che è un sogno completamente realizzabile; spero solo di conservare per un tempo sufficientemente lungo lo stato psicofisico necessario a inseguirlo.

Ciascuno di noi ha uno o più miti ai quali si affida per un proprio personale punto di riferimento. Qual è o quali sono i suoi?
All’arte, come anche alla natura, bisogna accostarsi con umiltà. Ho sempre ascoltato con grande interesse e sete di imparare le persone che sull’olivo e sull’olio ne sanno più di me. E lo sto facendo tuttora. Il mio professore di italiano al Liceo diceva sovente: “Si può sempre migliorare!”
Non ho mai dimenticato questo suo insegnamento. Sono molte le persone del campo olivicolo che mi hanno insegnato tanto, tantissimo, in Italia, in Slovenia e in Croazia, e per loro nutro gratitudine e rispetto.

I libri (o, nel caso, il libro) che ritiene siano stati fondamentali nella sua formazione?
Quando è scoppiata in me la “pazzia” per l’olivicoltura (C’è un proverbio triestino che dice: Se no xe mati, no li volemo! – Se non sono matti, non li vogliamo) mi sono creato una vera e propria biblioteca sull’argomento, un centinaio di opere, forse anche più, e devo dire con orgoglio che le ho lette tutte. Così mi sono creato le basi. Ho frequentato anche corsi e seminari, ho acquisito l’idoneità per assaggiatore dell’olio e mi sono iscritto all’albo. Però la formazione non ha mai una fine; essa deve essere costante e permanente, poiché la scienza e la ricerca portano ogni giorno alla luce cose nuove. A me piace sapere sempre di più …

Ancora una domanda, e si chiude: si può salvare l’Italia? C’è ancora spazio per la speranza?
Io ho donato quarant’anni della mia vita alla collettività senza risparmiarmi. Mi sono impegnato per quarant’anni nella società come insegnante, come scrittore, poeta e pubblicista, come operatore culturale, come sindaco del Comune di San Dorligo della Valle – Dolina, come Presidente del Consiglio provinciale di Trieste, come corista (con il Tržaškioktet-Ottetto vocale di Trieste ho girato il mondo), come olivicoltore promuovendo iniziative, conferenze, mostre, corsi, scrivendo libri e opuscoli sull’olivicoltura locale, creando un calendario, ho inventato con Tiziana Zuccoli della Fiera di Trieste e la collaborazione di Luigi Caricato il Salone Olio Capitale di Trieste, ho una trentina di libri all’attivo e via di seguito.
Alla fine la collettività (non tutta a dire il vero) ha fatto finta di non conoscermi. Quindi ho ristretto molto il mio campo di azione; ora mi dedico in primis alla scuola, e per i miei ragazzi darei la vita, alle mie scritture, alle mie ricerche, al coro in cui milito ora, e ai miei ulivi.
Non ho la presunzione di salvare nessuno, voglio solo dedicarmi a quegli interessi che ho dovuto trascurare per tanti anni mentre mi impegnavo per il bene della collettività. È stata una mia scelta e mi sono tolto dai giochi con la coscienza pulita, anzi, limpida. Perché il mio dovere l’ho fatto fino in fondo. Se ognuno fa il proprio dovere a ogni livello, le cose funzionano.
Se l’Italia è nelle condizioni in cui si trova, significa che più di qualcuno è stato ladro, imbroglione e disonesto. Quindi se l’Italia va a fondo, non è un problema mio, anche se, alla fine, verrò inesorabilmente trascinato anch’io. Con la differenza che in ogni caso posso sempre aggrapparmi ai miei ulivi.

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