Saperi

Il teorico tedesco della rivoluzione agraria

I grandi agronomi della storia. La menzione della correlazione tra la filosofia inglese, tra il Seicento e il Settecento, e quella tedesca nel crepuscolo del secondo secolo, è la premessa più funzionale all'esame dell'opera del maggiore agronomo dell'alba dell'Ottocento, Albrecht Thaer. Dalle cento esperienze degli agronomi inglesi dei decenni precedenti ricava gli elementi per una costruzione scientifica e tecnologica di ammirevole coesione e razionalità, raccolti nei quattro volumi dei Principi della scienza razionale della coltivazione che vedono la luce a Berlino tra il 1809 e il 1812

Antonio Saltini

Il teorico tedesco della rivoluzione agraria

Dall’Inghilterra alla Germania

La scienza moderna nasce, sulle soglie del Seicento, sulle fondamenta della riflessione di Galileo, di Cartesio e di Bacone. I suoi primi cimenti non producono, però, grandi risultati applicativi, fino alla metà dell’Ottocento. Durante il lungo intervallo in cui il metodo scientifico matura le proprie basi teoriche la tecnica procede, infatti, autonoma, e spesso precede la scienza, che solo successivamente saprà formulare matematicamente i principi che gli inventori hanno già applicato congegnando macchine e procedimenti chimici, efficaci seppure se ne ignori il dinamismo.

Nella costruzione dell’edifico della scienza moderna un ruolo di primo piano svolge l’Inghilterra, un paese che si distingue presto da quelli del Continente per lo spirito empirico della sua cultura, ed il grande interesse per la scienza e la tecnica del suo ceto dirigente. Tra le scienze cui gli uomini di governo rivolgono, a Londra, un interesse precipuo, c’è l’agronomia, oggetto, fino dal Seicento, di una messe di pubblicazioni che non conosce eguali in nessun paese diverso: dopo la fioritura del Cinquecento, che ha visto capolavori agronomici pubblicati in italiano, in francese e in tedesco, nel secolo successivo gli studi agrari sono caduti in un torpore profondo. Insieme alla precoce fioritura delle conoscenze dal cui possesso possano ritrarsi benefici economici, la cultura inglese alimenta una rigogliosa stagione di studi filosofici: con i propri trattati Jon Locke, George Berkeley e David Hume scrivono un capitolo essenziale della storia del pensiero occidentale.

Chi scorra quei trattati vi ritrova, peraltro, in coerenza al culto del dato sensoriale di cui sono espressione, un’inesauribile ricchezza di rilievi e di intuizioni significative, dispersi in un contesto di organicità incerta: l’empirismo è nemico della sistematicità, ma senza sistematicità la filosofia non può costruire i propri edifici teorici. Assolve al compito di trasformare le intuizioni disordinate dei filosofi inglesi in apparato organico, alla fine del Settecento, un pensatore tedesco, Immanuel Kant, che usando con maestria le doti ordinatrici della cultura della sua terra edifica un sistema filosofico tale da confrontarsi con le grandi costruzioni dell’intelletto umano, prima tra tutte la costruzione speculativa di Aristotele.

La menzione della correlazione tra la filosofia inglese, tra il Seicento e il Settecento, e quella tedesca nel crepuscolo del secondo secolo, è la premessa più funzionale all’esame dell’opera del maggiore agronomo dell’alba dell’Ottocento, Albrecht Thaer, lo studioso tedesco che dalle cento esperienze degli agronomi inglesi dei decenni precedenti ricava gli elementi per una costruzione scientifica e tecnologica di ammirevole coesione e razionalità, i quattro volumi dei Principi della scienza razionale della coltivazione che vedono la luce a Berlino tra il 1809 e il 1812.

Thaer è medico di corte presso il principe di Braunschweig Luenenburg, legato da vincoli di parentela alla casa di Hannover che regna a Londra. Quando abbandona la medicina sospinto dalla più prepotente passione per l’agricoltura padroneggia l’inglese, ed è membro della Società d’agricoltura d’Inghilterra. Conosce, quindi tutta la letteratura agraria inglese, negli ultimi decenni del Settecento matrice di un profluvio incontenibile di opere, le più illustri suggellate da Arthur Young, l’eccentrico agronomo e viaggiatore che ha svolto, nelle proprie cento opere, il confronto tra le consuetudini agrarie delle contee diverse dell’Inghilterra, che ha comparato, quindi, l’agricoltura inglese a quella dell’Irlanda, della Fancia e dell’Italia. Tema precipuo delle osservazioni di Young, e della schera dei suoi emuli, costi e vantaggi della sostituzione delle antiche rotazioni fondate sul riposo, quel maggese che, secondo le regioni, l’agricoltura medievale praticava ogni due, tre o quattro anni, con rotazioni nuove, che ai cereali alternino i foraggi: leguminose o brassicacee. Dove si è pienamente realizzata, la sostituzione ha mutato gli scenari agrari, creando tra cerealicoltura e allevamento un connubio dai cento effetti benefici, ma in più di una regione le prime esperienze hanno prodotto gravi insuccessi, che hanno dissuaso gli agricoltori dal ripeterle.

Una teoria delle rotazioni

Sulla conversione gli agronomi britannici hanno steso mille relazioni di mille prove, analizzando, per ogni caso, le condizioni che hanno favorito il successo, gli ostacoli che l’hanno impedito, non hanno mai saputo enucleare, però, una teoria generale delle rotazioni, che Young stesso ha reputato impossibile, convinto, per la matrice empirica della propria coltura, che i risultati ottenuti in una regione non possano avere alcun rilievo,  per le differenze del terreno, del clima, degli animali da tiro e delle specie coltivate, in una regione diversa. Animato da convincimenti radicalmente diversi, Thaer è certo che se le nuove rotazioni debbono plasmare l’agricoltura del futuro, se esse debbono dilatarsi, vincendo gli ostacoli, su tutte le regioni del Continente, sia necessario fissarne i cardini in una teoria generale, che valga a tutte le latitudini e qualunque sia il clima della regione. Solo una teoria generale potrà guidare, ritiene, l’agronomo che voglia introdurre una rotazione moderna in una regione immota nella tradizione,  alle scelte fondamentali, che assumerà contemperando i principi teorici alle variabili locali. Apprestate le prime esperienze, sarà, ancora, sulle coordinate della teoria che potrà valutarne i risultati, e correggerli, fino ad identificare i moduli più congrui per applicare la dottrina generale alle condizioni locali.

A dirigere il medico tedesco al grande impegno è, sul piano economico, la differenza essenziale tra l’agricoltura tedesca e quella inglese: mentre in Inghilterra le aziende dell’aristocrazia sono affidate ad imprenditori borghesi, gli affittuari, che difficilmente si sposterebbero dalla contea dove sono cresciuti, in Germania la nobiltà, in particolare il ceto militare degli Junker, conduce le proprie aziende direttamente, mediante direttori stipendiati, che, per la prosperità dell’agricoltura tedesca Thaer vorrebbe potessero formarsi presso poche auguste scuole, e disperdersi ad esercitare la professione in tutti i principati della nazione. Creare un ceto di agronomi capace di affrontare razionalmente, in base a principi teorici validi in ogni regione, l’amministrazione di qualunque azienda, è particolarmente urgente perchè molti patrizi, suggestionati dalla lettura delle meraviglie dell’agricoltura inglese, hanno tentato la trasformazione della propria azienda, ma si sono trovati, a metà dell’impresa, senza denaro liquido, e hanno dovuto abbandonare i propositi, spesso vendendo, per ripagare i debiti contratti, parte della proprietà. La conversione dagli ordinamenti antichi alle nuove rotazioni impone, infatti, una disponibilità ingente di denaro, che l’agronomo-direttore dovrà sapere quantificare esattamente, mettendo il committente in condizione di scegliere se affrontare la trasformazione in tempi brevi o se dilazionarla.

L’azienda come macchina biologica

Per assicurare all’agronomo i criteri capitali per commisurare i mezzi disponibili ai propositi di trasformazione Taher procede all’esame dell’azienda come di una grande macchina, le cui parti debbono essere reciprocamente funzionali: il terreno deve essere portato ad un grado di fertilità coerente alle produzioni che si attendono, per conservare quel grado di fertilità occorrerà erogare ogni anno quantità determinate di letame, per produrre il quale si dovrà mantenere un’entità specifica di bestiame, bovino o ovino, il quale richiederà, a sua volta, una massa congrua di foraggi, che il grado di fertilità che si è assunto quale obiettivo dovrà assicurare. Per il bestiame occorreranno, quindi ricoveri adeguati, e per il foraggio i fienili necessari. Al procedere del miglioramento della fertilità l’azienda dovrà accrescere, quindi, la dotazione di bestiame, ed ampliare stalle e fienili: si potrà realizzare l’obiettivo tanto investendovi denaro di altra provenienza, quanto reinvestendo i proventi annuali, ma nel secondo caso il direttore dovrà avere informato con chiarezza il proprietario che la trasformazione assorbirà ogni rendita per un lungo numero di anni.

Ma se le variabili più significative coinvolte nella trasfomazione possono essere quantificate esattamente, peso e numero di vacche e pecore, volume del letame e del foraggio, per una grandezza capitale nell’equazione complessiva, la fertilità, non esiste, all’alba dell’Ottocento, prima che la chimica abbia identificato gli elementi che della fertilità sono la matrice, alcuna misura. Con grande lucidità, per includere anche la fertilità nei propri computi, Thaer immagina un metro di misura convenzionale corrispondente ad una graduatoria. Sia dato, ad esempio, un campo di un giornale di superficie la cui fertilità possa definirsi di 40 gradi: se, reputandola inferiore alle esigenze produttive, vi si aggiungano 5 carrate di letame, essa salirà a 90 gradi. Il campo potrà sostenere, allora, una produzione 8 scheffels di grano, che asporteranno 52 gradi di fertilità, riducendo le potenzialità a 38 gradi, che potranno essere elevati, ad esempio, da una coltura di trifoglio, che in due anni aggiungerà al suolo 26 gradi di fertilità, portandola a 64. Il nostro campo sarà in grado, allora, di una produzione di 5,3 scheffels di segala, che asporteranno 26,4 gradi di fertilità. Fissati i parametri di base, un esercizio algebrico consentirà di prevedere il fluttuare della fertilità qualunque rotazione si preveda di realizzare.

La graduatoria immaginata consente all’agronomo tedesco di includere nei propri computi tutte le variabili della macchina-azienda, e di procedere all’anatomia di aziende che pratichino sistemi di successione di intensità diversa, dall’antico sistema triennale alle rotazioni che attuano la più intensa integrazione tra cerealicoltura e allevamento. Con l’analisi dei sistemi diversi che effettua completa, sul piano della più alta razionalità scientifica, la rivoluzione agraria iniziata, empiricamente, dagli affittuari inglesi, predispone le coordinate teoriche secondo le quali l’agronomia sarà sospinta, dalle scoperte della chimica dell’Ottocento, verso traguardi sempre più ambiziosi. Lascierà alla storia delle scienze agrarie, alla stessa storia delle conoscenze umane, un legato imperituro, una costruzione agronomica di levatura pari a quelle del grande Columella, dell’arabo Ibn al Awam, di Olivier de Serres, il signore provenzale che ha scritto le pagine supreme della scienza agraria nel crepuscolo della Rinascenza.

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