Saperi

Il volto umano dell’olio

Secondo l'antropologa e saggista Daniela Marcheschi, l'olivo e l'olio sono non soltanto “frutti” della terra, ma, su un piano più elevato, un simbolo meditato in millenni di storia umana di ciò che accompagna la vita in tutti i suoi aspetti

Daniela Marcheschi

Il volto umano dell’olio

Una differenza va fatta fra coltivazione e agricoltura.
Coltivazione è il semplice accudire alcune specie vegetali, prendersene cura e riprodurle. È una attività, un lavoro agricolo, che non necessariamente comporta la presenza di una economia di tipo agricolo. Secondo gli antropologi, la coltivazione ha preceduto la domesticazione, ovvero il processo di adattamento genetico (e l’uso di animali domestici, produzione di ceramica, tecnologia della pietra levigata…), che si sviluppò nell’età neolitica. Agricoltura, che prevede l’uso dell’aratro e degli animali, è invece il sistema economico organizzato in cui si produce cibo grazie alle piante coltivate dall’uomo. Sia grazie alla coltivazione sia grazie all’agricoltura si è instaurato un rapporto nuovo con l’ambiente ecologico, modificando il paesaggio culturale.

La coltivazione ha contribuito a sviluppare non solo tutta una serie di rituali propiziatori, religiosi, per garantirne il successo, cioè la prosperità dei raccolti, ma anche una divisione del lavoro, la ripartizione dei ruoli in rapporto al sesso, che ha avuto conseguenze importanti nelle società interessate [Dizionario di Antropologia, a cura di U. Fabietti e F. Remotti, Bologna, Zanichelli, 1997, ss.vv.].

La cura dell’olivo (che permette il passaggio dall’olivo selvatico all’olivo coltivato o, appunto, domestico) e la produzione dell’olio che caratterizzano tutta l’area mediterranea, è forse l’esempio degli esempi di tali intersecazioni fondamentali e complesse sul piano dei saperi per lo sviluppo della cultura umana. Appunto “il volto umano” dell’attività che porta a grandi conquiste scientifiche, materiali e morali, senza danni, e produce beni collettivi in armonia con la natura per lungo tempo (l’olivo può vivere molti secoli, del resto). Per i musulmani, non a caso, l’olivo è l’asse del mondo, è l’albero “benedetto” del Corano, sede del Paradiso che accoglie fedeli e martiri.

Proprio per essere pianta che produce alimentazione, ma anche altri beni – la luce, alimentata dall’olio nelle lampade; il beneficio del corpo (l’elasticità muscolare, la purificazione intestinale con l’olio), il miglioramento delle prestazioni di congegni vari unti – l’olivo è stato visto a ragione come l’albero di Atena dai Greci (per loro il primo olivo sarebbe nato dal litigio fra Atena e Poseidon) e di Giove e Minerva dai Romani. In ogni caso nella Grecia antica si arrivava a punire con pene molto severe chi danneggiava in qualche maniera gli olivi (nella piana di Eleusi…).

Atena era la dea della sapienza e della saggezza; i suoi simboli sono perciò la civetta e l’olivo. Uno dei suoi epiteti infatti è Pallade – difensora – perché era la dea della guerra fatta soltanto per difendersi giustamente. Da ciò l’olivo che annuncia la pace, come ribadirà anche Dante: come a messagger che porta ulivo [Purgatorio, II, v.70].

L’olivo era così simbolo di misericordia, pietà e luce, perché simbolo operoso di pace e perché la ragione illumina con la sua forza tutto ciò che è oscuro, anche le forze che scatenano la guerra.

Nei miti intorno alla Guerra di Troia, ci appaiono così più trasparenti le valenze e la drammaticità della figura di Ulisse: l’uomo che si finge pazzo per evitare di andare in guerra, che cerca in ogni modo di tornare alla sua patria e si ricongiunge alla sposa Penelope, alla fine dell’Odissea, nella camera da letto costruita dallo stesso eroe, in legno di olivo.

Nella Bibbia, la colomba che porta l’olivo annuncia la pace di Dio, la fine del Diluvio, il perdono e la rinascita.
L’olio – il più antico prodotto alimentare, o fra i più antichi – accompagna l’Uomo e la sua storia da millenni, e ha così potuto acquisire valori simbolici plurivalenti: di prosperità, fraternità, ma anche della immensa potenza di Dio e di purificazione, come l’acqua primigenia, indifferenziata, in cui sta il Tutto prima di articolarsi in cose ed esseri distinti.

L’olio serve per il rito dell’unzione (lo si faceva con i re – David, i sacerdoti – lo si fa nella Cresima), unzione che consacra l’uomo a un compito sacro: “sacro” nel senso che inserisce l’individuo in una dimensione più alta, fra cielo e terra, e in cui trovano posto lui come singolo, gli altri come collettività, la Natura e la Storia intesa come passato, presente e futuro da creare, e le relazioni che si stabiliscono fra tutti questi elementi.

L’olio affida l’essere umano anche alla morte – appunto nel segno della misericordia e del perdono, della purificazione dai peccati, nel rito cristiano.
Gesù è il “Messia” (dall’ebraico Mashiach), cioè l’unto del Signore, perché ha ricevuto il battesimo da san Giovanni, che gli apre una nuova vita in ogni senso, e perché ha una missione da compiere. “Lo Spirito del Signore è sopra me” – dice in Luca, 4: 18. La sua croce è una insegna, significativamente fatta di olivo e cedro, secondo la leggenda: emblema della missione divina che ha ricevuto e che affida agli uomini nella resurrezione. Esempio della potenza di Dio, Dio stesso, figlio di Dio, Gesù è l’uomo mondo dai peccati e che monda grazie al suo sacrificio: l’Agnus Dei qui tollit peccata mundi. Proprio per questo è sul Monte degli Olivi (o Monte Oliveto), a Gerusalemme, nell’orto del Getsèmani o l’orto degli olivi, che Gesù si recò a pregare, e dove fu arrestato cominciando la sua passione.

Si pensi anche al rito che nella tradizione cattolica lo annuncia, nella Domenica delle Palme: la benedizione dell’olivo o il cosiddetto “olivo benedetto”. Appunto annuncio di rinascita e resurrezione, potenza che vincerà la morte.

L’olivo e l’olio sono dunque non solo “frutti” della terra, ma, su un piano più elevato, un simbolo meditato in millenni di storia umana di ciò che accompagna la vita in tutti i suoi aspetti. E non credenti o credenti che siamo, se l’essere umano si priva della speranza di far rigermogliare – ognuno nei modi che gli sono più congeniali – il destino proprio e degli altri, di risollevarsi e risollevarli dopo una tragedia, si priva della possibilità di vincere ogni tipo di morte, di rinascere e costruire una vita nuova.

L’articolo riprende integralmente quanto Daniela Marcheschi ha pubblicato su “Olio Officina Almanacco” 2013. La foto di apertura è di Luigi Caricato.

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