Saperi

L’addio ad Angelo Ziccardi

Coraggioso, saggio e determinato, capace di andare controcorrente pur di agire per il bene di tutti, ha vissuto un’intera vita dedicata alla “politica come impegno collettivo”. Senatore della Repubblica italiana, è stato tra l’altro l’ispiratore della rivista bimestrale “Lotte agrarie”, fondata nel 1961, di cui è stato direttore

Alfonso Pascale

L’addio ad Angelo Ziccardi

La notizia della morte di Angelo Ziccardi, avvenuta ieri a Matera, mi ha molto rattristato. Impegnato da sempre sui temi del Mezzogiorno e dell’agricoltura, Angelo era per me un punto di riferimento importante per la sua lunga esperienza di dirigente politico e sindacale e di parlamentare. Premuroso e fraterno nei rapporti politici, determinato nelle sue convinzioni ma sempre pronto a discuterne, era per tanti di noi un maestro. Aveva diretto la Federazione del Pci di Matera, l’Associazione dei contadini di Napoli, aveva fatto parte del gruppo dirigente nazionale della Federbraccianti Cgil e dell’Alleanza dei contadini. Era stato senatore per tre legislature dal 1972 al 1983. E dopo il mandato parlamentare aveva presieduto la Lega delle Autonomie Locali della Basilicata.

Non sono riuscito a vederlo il 14 dicembre scorso a Matera al convegno sul Sessantotto nelle campagne che lui aveva entusiasticamente proposto a Piero Di Siena e alla Fondazione Basilicata Futuro e che avrebbe dovuto concludere. Non stava bene e non è venuto al Museo “Domenico Ridola” dove si è svolta la giornata di studi. E così non ci siamo potuti salutare.

Angelo avrebbe dovuto compiere 91 anni il primo maggio: un’intera vita dedicata alla “politica come impegno collettivo”. Così aveva intitolato il suo libro di memorie pubblicato tre anni fa. Per lui la politica era uno strumento e non un fine. Infatti, scrive: “La politica serve a risolvere i problemi, grandi e piccoli. I diritti si conquistano con la partecipazione delle masse alla vita politica e sindacale, con le iniziative e con le lotte. Senza di queste anche i governi nazionali e locali di orientamento riformista non riescono a risolvere i problemi”.

Angelo era convinto che i fini di una società che vuole progredire fossero le esigenze di giustizia, di eguaglianza, di libertà, di accettazione dell’altro. E gli strumenti (dalla politica all’autorganizzazione sociale, dal benessere economico alla tecnica) debbano essere subordinati a questi fini. Nelle prime pagine del suo libro, egli si chiede cosa abbia determinato, giovanissimo, la sua decisione verso l’impegno politico. E risponde: “La situazione economica e sociale di estrema precarietà che si viveva allora”. Il fine era, dunque, quello di abolire la miseria che egli vedeva intorno a sé, agendo per accorciare le diseguaglianze e ampliare le libertà per il maggior numero possibile di persone.

Egli era un politico capace sempre di prendere posizione individualmente e responsabilmente. Lo faceva non per il gusto di distinguersi e attirare l’attenzione su di sé, ma indotto dall’esigenza di trovare soluzioni concrete ai problemi reali della gente. Se si prendono in esame le principali vicende politiche che lo hanno visto protagonista si nota immediatamente che in lui prevaleva sempre un senso di responsabilità individuale fino ad indurlo ad agire controcorrente: alcune volte da solo, altre volte in modo condiviso con il gruppo dirigente di cui faceva parte, ma in difformità con l’orientamento dell’insieme dell’organizzazione o dei suoi livelli superiori.

La prima azione collettiva di questo tipo fu sicuramente la conduzione delle occupazioni di terra nel 1948-49 e, successivamente, la fase attuativa della riforma agraria. La sinistra propugnava una proposta massimalista e demagogica di riforma agraria cosiddetta “generale” che faceva presa tra i braccianti senza o con poca terra del Mezzogiorno, ma impauriva i piccoli e medi proprietari. La Coldiretti civettava con il movimento per la terra perché interessata a consolidare con l’appropriazione i terreni detenuti dagli affittuari. Non a caso i coltivatori affittuari erano contro le occupazioni simboliche perché le volevano effettive: temevano, infatti, che in quei terreni potessero concorrere i braccianti senza terra. E così, a differenza di quanto avveniva in altre zone del Paese, a Matera, Angelo e gli altri compagni della Cgil provinciale erano molto attenti a tenere unito il fronte e dialogavano coi contadini affittuari della Coldiretti che partecipavano alle occupazioni di terra. Quella posizione concorse a far approvare nel 1950 la Legge Sila e la Legge Stralcio. Ma, in Parlamento, i comunisti e i socialisti inspiegabilmente votarono contro, mentre avrebbero potuto astenersi su quelle leggi. E tale orientamento influenzò negativamente il loro impegno nella gestione della riforma. Ma, andando controcorrente rispetto agli orientamenti nazionali del partito e del sindacato, solo a Matera la riforma agraria venne immediatamente rivendicata come una conquista del movimento per la terra e si passò ad organizzare gli assegnatari. Non a caso i risultati elettorali delle amministrative e, poi, delle politiche in quella provincia furono lusinghieri per il Pci e per il Psi. Non avvenne la stessa cosa in altre realtà del Mezzogiorno. In generale, la sinistra non organizzò gli assegnatari degli enti di riforma. Essa era convinta che i provvedimenti di riforma non avrebbero granché migliorato le condizioni dei contadini. E mostrò nei confronti dell’attuazione di quelle leggi un atteggiamento di attesa, di smobilitazione, di opposizione negativa e passiva. Angelo, invece, ha sempre pensato il contrario e lo ha ribadito più volte anche in scritti recenti.

Un’altra vicenda importante in cui emerse una chiara posizione controcorrente fu la nascita della rivista bimensile “Lotte agrarie” nel 1961. L’iniziativa editoriale venne assunta dalla Federbraccianti e dalla Federmezzadri. Angelo, che ne era l’ispiratore, ricopriva il ruolo di direttore responsabile. Compito della rivista era quello di contrastare una tesi emersa nella Cgil: l’unificazione capitalistica del paese era ormai avvenuta, il salario andava ormai considerato una variabile indipendente e ogni conflitto sociale si sarebbe ridotto ad una sola contraddizione costituita dal capitale e dal lavoro. Ma quell’idea fallace – industrialista e operaista – non costituiva semplicemente un’astrazione. Aveva un impatto pratico dirompente: la cancellazione delle leghe territoriali, l’abolizione del collocamento agricolo e la marginalizzazione dei temi dell’agricoltura e del Mezzogiorno. Di qui la reazione dei due sindacati agricoli. E Angelo era alla testa di quella battaglia culturale che investiva il più grande sindacato italiano.

Un’altra vicenda che vide Angelo Ziccardi agire controcorrente riguardò il suo primo impegno assunto al Senato nel 1973 tra lo scetticismo dei suoi compagni: la proposta di legge sull’occupazione giovanile approvata nel 1977. Si trattò di un provvedimento a termine. I risultati furono notevoli. Ma non si volle proseguire su quella strada. Tranne in alcune realtà, come la Basilicata e il Lazio, quasi dappertutto i movimenti giovanili dei partiti di sinistra non s’impegnarono su questi nuovi sentieri d’iniziativa e di lotta. In quel periodo Angelo era il punto di riferimento nazionale per l’applicazione di quella legge. E s’impegnò alacremente perché proprio a Taccone – un borgo del comune di Irsina edificato con la riforma agraria – la Costituente contadina organizzasse un’iniziativa importante: riunire duemila giovani provenienti da tutte le principali città universitarie italiane per discutere di “occupazione giovanile e sviluppo dell’agricoltura”. E, in occasione del quarantennale, ha insistito perché la Cia nazionale e la sua organizzazione giovanile Agia tornassero a riflettere sullo stesso tema a Tricarico.

Altri episodi in cui Angelo è andato controcorrente sono stati l’opposizione alla fabbrica di bioproteine nel Metapontino, il ripristino della legge sui Sassi di Matera improvvisamente abrogata e l’impegno per rivitalizzare i piccoli comuni nell’ambito dello sviluppo rurale.

Se andiamo a vedere attentamente, tutte queste vicende sono legate l’una all’altra da un filo conduttore che costituisce un nodo non ancora risolto. Si tratta dell’incompiutezza e del fallimento di un impegno politico che ha condannato il Mezzogiorno e l’agricoltura meridionale a un destino assistenzialistico e periferico. E tuttavia, nonostante le sordità e i gravi ritardi accumulati dalla politica, una nuova ruralità – così come l’ha immaginata Angelo – si è andata a formare spontaneamente. E oggi costituisce, nella molteplicità dei suoi volti e delle sue motivazioni e idealità, uno degli ambiti più innovativi della nostra economia. Un ambito che potrebbe sprigionare, nel nuovo contesto mondiale e tecnologico, tutte le sue potenzialità ed estendersi in tutti i territori del Paese, se si creassero le condizioni per mobilitare le istituzioni della conoscenza e accompagnare, con nuove politiche e percorsi partecipativi, l’innovazione sociale e, al tempo stesso, tecnologica.

Adesso che Angelo non c’è più e ci mancherà il suo stimolo, dobbiamo da soli proseguire in tale impegno con coraggio e determinazione, memori del suo insegnamento e del suo esempio.

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