Saperi

L’aurifero crogiuolo della filosofia

Con brevi ma sugosi capitoli dedicati alla Natura, al Male, alla Morale, alla Conoscenza, al Metodo, al Tempo, al Genio, ma pure a temi più sfuggenti come l’omosessualità o l’immortalità, in accordo-disaccordo con i grandi del passato, Sossio Giametta scrive - con il libro edito da Bompiani, Grandi problemi risolti in piccoli spazi. Codicillo dell’essenzialismo - un’introduzione alla filosofia che ne è insieme anche l’epilogo

Marco Lanterna

L’aurifero crogiuolo della filosofia

Capita – ormai sempre più di rado – che un filosofo, dopo aver lungamente pensato e scritto, decida di racchiudere e schiudere il proprio sapere, le proprie scoperte, in un libro di forma agile, accessibile, scritto in una lingua piana, quasi colloquiale. Sono libri che esigono, oltre al sapere inevitabile e al talento innato, una terza qualità, estranea agli uomini e al loro vacuo potere, quella del tempo che da un lato deve operare una sorta di decantazione del pensiero, dall’altro incallire e affinare nell’arte della parola.
E’ giusto il caso dell’ultimo volume di Sossio Giametta edito da Bompiani: Grandi problemi risolti in piccoli spazi. Codicillo dell’essenzialismo. Come per il Candido di Voltaire o i Pensieri di Leopardi, la sua piccola mole non deve sviare: questo volumetto contiene più verità sode e aperçus, cioè vedute d’insieme, che molti scaffali di vetuste biblioteche. Sicché, dopo averlo letto, uno può liberar la casa da molti libri libercoli e libroni – specie di cattiva filosofia contemporanea o accademica – non perdendoci nulla, anzi guadagnando in aria e luce.

Con dei brevi ma sugosi capitoli dedicati alla Natura, al Male, alla Morale, alla Conoscenza, al Metodo, al Tempo, al Genio… (ma pure a temi più sfuggenti come l’omosessualità o l’immortalità), in accordo-disaccordo con i grandi del passato (Nietzsche, Schopenhauer, Goethe, Spinoza et alii), Giametta scrive un’introduzione alla filosofia che ne è insieme l’epilogo: introduzione perché egli prende per mano il lettore, anche digiuno di filosofia, portandolo al cuore dei suoi massimi problemi; epilogo perché di quei problemi gli offre subito la chiave ovvero una possibile soluzione. Per tali qualità di chiarezza e universalità, il Codicillo (a cui occorre aggiungere del nostro, come in un dittico, i Ritratti di dodici filosofi) può fungere benissimo da “propedeutica filosofica” ed entrare nelle scuole; ciò non è sminuente, al contrario, ma un segno di sicuro valore, di pretta classicità, giacché come insegna Vauvenargues “la chiarezza è lo smalto dei maestri, ne orna i pensieri profondi”.

Nel Codicillo, come non mai, Giametta si rivela anche uno scrittore d’eccezione, capace di risalire a una fonte antica e manco a dirlo decaduta (o intentata) della nostra letteratura, la stessa cui mirarono i conterranei Benedetto Croce, Francesco De Sanctis, Vincenzo Cuoco, e di cui l’insuperato maestro fu Machiavelli che così ne delinea la stilistica: “La quale opera io non ho ornata né ripiena di clausule ample o di parole ampullose e magnifiche o di qualunque altro lenocinio o ornamento estrinseco, con li quali molti sogliono le loro cose descrivere e ornare, perché io ho voluto o che veruna cosa l’onori o che solamente la varietà della materia e la gravità del subietto la facci grata”. Ecco, uno stile tutto cose che, pur italianissimo, pare rifarsi al romano rem tene, verba sequentur; questo si avverte nel Codicillo fin dalla succinta Nota iniziale: quasi la chiave sul pentagramma che determina tutto l’andamento del libro.

Nella storia della filosofia è esistito solo un altro Codicillo, quello di Raimondo Lullo, il sapiente catalano ammirato anche da Pico e Bruno; nel suo Codicillus seu vademecum, in una lingua mistico-alchemica, egli prometteva ai lettori il segreto della pietra filosofale e della conversione aurea; ebbene, il Codicillo di Giametta sostituisce a quel pesante metallo (in fondo pur esso un oro di Bologna), l’oro prezioso dell’essere come recita il titolo d’uno dei suoi libri più belli. Gli alchimisti cercarono invano di cavar materia bruta da un fornello, l’atanor; Giametta, dal crogiuolo della sua filosofia – l’essenzialismo – cava il senso ultimo di questa nostra vita: se non è “oro” questo!

In conclusione, bisogna dare a Sossio Giametta ciò che, tacendo, gli viene indebitamente tolto: egli è il massimo filosofo italiano d’oggi. Non sono io a dirlo, ma le cose che scrive e come le scrive, nonché i tanti lettori che ormai lo scoprono senza più lasciarlo; questo Codicillo lo mostra fin quasi ad abbacinare; gli altri – cioè i bottegai e garzoni dell’universitaria filosofia un tanto al chilo – si rassegnino (senza rosicar troppo) oppure migliorino, se ne sono capaci. Sappiano però che in Filosofia non ci s’improvvisa, ma si nasce, e Sossio come il barone Zazà “lo nacque, modestamente”.

LA FOTO DI APERTURA

La foto risale a molti anni fa. Riferisce al riguardo il filosofo Sossio Giametta: Parlavo una sera (del tradurre Nietzsche) al Teatro Parenti con Armando Torno e Carlo Sini. Come era uso lì, a tutti gli oratori veniva chiesto di mettersi in posa e di lasciare la frase di un filosofo. Il fotografo fu Armando Rotoletti, che in questi giorni ha pubblicato un libro di foto fatte in Sicilia, ampiamente recensito sul Sole 24 Ore, fu lui a farmi assumere quella posizione ieratica. La frase che rilasciai era di Schopenhauer: “La verità non è una donna facile che si getta al collo del primo che la desideri, ma una bellezza così ritrosa che neanche chi le offre le cose più preziose è sicuro di poter godere delle sue grazie”.

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