Saperi

L’Italia vince se biodiversa

Amarcord. Cosa dicevamo dieci anni fa riguardo al nostro Paese? Su "Enotria", lo storico annuario pubblicato dall'Unione italiana vini, sono stati accolti anche i pareri di chi si occupava di olivi e di olio. Vi proponiamo l'intervista ad Antonio Cimato

Luigi Caricato

L’Italia vince se biodiversa

Leggere ciò che eravamo ci fa riflettere sul presente. Per l’Unione italiana vini ho seguito ininterrotamente, dal 1999 al 2009, fino a che non la pubblicazione non ha poi assunto un’altra veste editoriale, espressamente dal taglio tecnico e riferito solo al vino, l’annuario “Enotria”, all’epoca sotto la direzione di Marco Mancini. Sono stati degli anni bellissimi.

Il tema che trattai nella mia monografia dell’edizione 2005 di “Enotria” aveva per titolo “Mercato oliandolo. Italia e nuovi competitors: una sfida tra extra vergini“. Per l’occasione intervistai Antonio Cimato una delle figure più evocative e capaci, in materia di germoplasma olivicolo. Riporto a beneficio dei lettori di Olio Officina Magazine, non l’intervista pubblicata, nella versione più ridotta, per esigenze di gestione degli spazi, ma nella versione più estesa che mi ritrovo tra i documenti. Leggetela, è un bell’amarcord. Per questo viene pubblicata proprio nella rubrica che prende il nome di “Amarcord”. Buona lettura.

ANTONIO CIMATO: “L’ITALIA VINCE SULLA BIODIVERSITA’, LE NOSTRE PIANTE SONO MOLTO RICERCATE ALL’ESTERO”

Antonio Cimato, lavora presso l’Ivalsa, l’Istituto del Cnr per la valorizzazione del legno e delle specie arboree, con sede a Sesto Fiorentino.
La conoscenza approfondita del germoplasma autoctono segna la strada del rilancio per l’olivicoltura. Ma esiste una precisa sensibilità al riguardo in Italia? Studi del genere sono stati fatti ovunque?
L’Italia ha una lunga storia sulla ricerca della biodiversità, soprattutto in frutticoltura. Per l’olivo si è partiti solo da una ventina d’anni con questi studi; ma ora quasi tutte le regioni olivicole hanno completato le proprie determinazioni varietali, esistono infatti una decina di cataloghi che descrivono le cultivar autoctone di ciascuna area produttiva. Occorre però distinguere tra biodiversità e varietà che sono invece coltivate, quelle che si dicono tradizionali. Oggi il materiale che ci troviamo nei campi è costituito in alcuni casi da varietà uniche che qualcuno ha scelto perché autoctone, naturali, spontanee. Se analizzato con tecniche moderne e con valutazioni un po’ più precise, questo materiale può offrire dei vantaggi, in quanto troviamo delle capacità dell’olivo che prima erano sconosciute a livello di crescita, di tolleranza, di produzione, di caratteristiche dell’olio che si estrae, eccetera. Quindi la biodiversità è lo zoccolo duro del futuro dell’olivo.

Rispetto all’estero, noi siamo più avanti in questi studi?
Noi ce la battiamo con la Spagna, perché gli iberici hanno già lavori piuttosto avanzati al riguardo. A Cordoba c’è un centro di raccolta della biodiversità europea, mentre io sono il responsabile della raccolta nei Paesi del Nord Africa. Si sta lavorando alacremente e nel giro dei prossimi anni avremo in Spagna e a Marrakech la raccolta della biodiversità di dodici Paesi, tra Comunità europea e Nord Africa.

Rispetto all’estero l’Italia può ancora ritenersi competitiva?
La Spagna ha piantato olivi dappertutto. Ha intuìto che occorreva sviluppare l’olivicoltura. Oggi, alla luce di quanto sta succedendo, siamo ancora in tempo per mantenere un ruolo importante. Nel settore olivicolo l’Italia può essere ancora leader, le nostre piante sono molto ricercate all’estero. Evidentemente c’è l’idea che l’olio buono lo facciamo perché abbiamo delle buone piante. In realtà non è così. Ecco siamo leader nel campo della biodiversità, questo è vero. La Spagna non ha raccolto tutta la biodiversità. Oggi se dovessimo fare un elenco delle piante di olivo che sono state identificate negli oliveti italiani potremmo parlare tranquillamente di almeno seicento varietà, quindi abbiamo una buona base. Che poi tutto questo materiale sia stato caratterizzato, sia stato descritto, sia stato valutato profondamente è un’altra cosa.

Attraverso l’esteso patrimonio varietale possiamo oltretutto incidere concretamente nella differenziazione dei nostri oli…
Sì, quanto a tipicità degli oli, siamo effettivamente in grado di formulare prodotti diversi da una zona all’altra. Noi per esempio in Toscana siamo in grado di fare venti oli diversi, cosa che non può fare la Spagna in una regione. Almeno duecento varietà d’olivo esistenti in Italia sono a mio parere fondamentali per l’olivicoltura italiana.

In apertura uno schema dell’Istituto Ivalsa del Cnr, riguardante le risorse genetiche dell’olivicoltura italiana

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