Saperi

L’Olivo della Strega

Racconto. «Non ce la farai. Non ce la puoi fare». Cecilia aveva avuto la determinazione di tornare, e di non lasciare la presa. Aveva trovato la forza. Nessuno sapeva come ci fosse riuscita. Soltanto chi avrebbe bevuto il suo olio avrebbe potuto, forse, capire. Erano nell'olio tutte le risposte

Bianca Garavelli

L’Olivo della Strega

«Chi dice che l’olio della Maremma non è più quello di cent’anni fa? Questo mi sembra proprio identico a quello che gustavano i miei nonni… Me ne parlavano come di un elisir di lunga vita, un toccasana contro ogni tipo di acciacco…»

Francesco Donati, il più importante distributore di olio dalla Toscana all’Italia, parlava allegramente e intanto degustava l’olio denso e profumato, dal colore dorato caldo e intenso, così intenso che il giallo assumeva una sfumatura verde vivo, come di linfa appena sgorgata dal fusto. Cecilia Amati lo guardò sorridente, gustandosi il suo trionfo. Aveva ricominciato a produrre olio da poco più di un anno, seguendo le orme della sua famiglia, e contro ogni previsione stava già raggiungendo un ottimo risultato.

«Ma come ci sei riuscita? Beh, faccio una domanda stupida: è ovvio che tu ce l’hai nel sangue, tu sei una degli Amati della Maremma, sei la discendente di una famiglia di grandi coltivatori di olivi e di grandi produttori di olio!»
«Allora, mi pare che sia di tuo gradimento… Lo prendi?»
«E che domanda! Certo che lo prendo. Subito. Prima che qualcun altro me lo soffi».

Nel pomeriggio di quello stesso giorno, Cecilia passeggiò soddisfatta tra gli olivi del suo podere. Contemplò con affetto i nuovi nati, gli olivi giovani che sembravano non condividere la forza poderosa di quelli antichi, perché non ne avevano la contorsione dolorosa, eppure sapeva che nel cuore erano gli stessi. Era ben visibilmente il suo umore, e se è vero che la felicità è contagiosa, come dicevano i suoi genitori, e anche i suoi cari nonni e zii, l’intero uliveto avrebbe dovuto percepire e raccogliere la sua gioia. Come le era sembrato che accadesse un anno prima, quando l’aveva accolta al suo ritorno dalla grande città, in cui si era trasferita da bambina, con i suoi genitori, con la prospettiva di non tornare mai più in Maremma. Di abbandonare per sempre la tradizione dei suoi antenati. Invece lei era tornata, e da allora non era più ripartita. Forse era vero che gli olivi la riconoscevano, o almeno percepivano la sua contentezza nell’essere nuovamente al centro della sua terra, del suo mondo vero.

«Non ce la farai. Non ce la puoi fare».
Questo le dicevano, e lei sapeva che la logica dava loro ragione, che il rischio di non poter sconfiggere la mosca olearia, il flagello distruttivo che aveva costretto i suoi genitori a fuggire dagli uliveti, era grande e minaccioso. Invece era stata più forte della paura. Aveva avuto la determinazione di tornare, e di non lasciare la presa. Aveva trovato la forza. Nessuno sapeva come ci fosse riuscita.

Soltanto chi avrebbe bevuto il suo olio avrebbe potuto, forse, capire. Erano nell’olio tutte le risposte. Quell’olio che riprendeva una tradizione antica, che quasi era una promessa mantenuta. Certo, i consumatori avrebbero dovuto farne, per così dire, un uso improprio. Non sarebbe bastato usarlo tutti i giorni per condire buone insalate, o cucinare gustosi soffritti, o aggiungere l’ultimo tocco di sapore a caldi passati di verdura. Per scoprire il valore, il potere anzi, di quell’olio davvero antico forse avrebbero dovuto usarlo come facevano gli antichi, quando nel mondo mediterraneo l’olio era un unguento prodigioso per la pelle e non un alimento. Un aiuto essenziale per il proprio equilibrio, per la propria integrità fisica.
Ma Cecilia immaginava che ben pochi avrebbero davvero capito. E non poteva certo biasimarli, non conoscevano tutta la storia. Non potevano sapere che lei, sola in tutta la famiglia dopo secoli, aveva ritrovato la sua strada.

In un assolato pomeriggio di settembre, un pomeriggio che somigliava a questo se non fosse stato per la più tiepida vampa del sole, lei, non sapeva come, aveva ritrovato il sentiero che portava al Grande Olivo. L’aveva sempre chiamato così, fin da bambina. Non ricordava nemmeno chi gliel’aveva insegnato, molto tempo prima. Forse sua nonna, oppure qualcuno degli zii. La famiglia era grande, e le sue estati di bambina erano sempre affollate di visi amici e di voci squillanti, festose. Una in particolare, che per lei era come un richiamo, un rintocco di felicità. Che le bisbigliava accanto all’orecchio e la rassicurava su ogni evento del suo futuro. Le diceva che sarebbe stata felice, che non le sarebbero mai mancate gioie e soddisfazioni, se solo avesse osato seguire i suoi consigli. Cecilia credeva che fosse la voce della nonna materna, Perla, che la accarezzava piano per farla addormentare, invece aveva dovuto cambiare idea, quando la nonna se ne era andata per sempre, ma accanto a lei ogni notte quella voce serena aveva continuato a bisbigliarle le sue frasi confortanti. Voce femminile, voce profonda eppure morbida.

Poi era partita bruscamente, almeno così le era sembrato, da quella terra argentata come le foglie degli olivi, aveva conosciuto il rumore soffocante della città, rumore coprente, spietato, che non lasciava passare nessun bisbiglio notturno. La voce aveva taciuto per sempre.
O almeno, fino a quel pomeriggio in cui, seguendo un impulso vago di nostalgia, era tornata a rivedere i suoi olivi. La sua infanzia si era come materializzata davanti agli occhi della mente. E con essa la voce. Femminile, profonda eppure morbida. Cecilia era sicura di essersi sentita dire che non doveva ripartire per la città inaridita ed esausta, che doveva restare nella verità della sua terra, e seguire i suoi consigli. Così facendo, avrebbe finalmente raggiunto la pienezza del suo destino di gioia, che fino a quel momento aveva lasciato languire lontano da sé. Perché avrebbe finalmente mantenuto la promessa della sua famiglia, una promessa che era stata fatta tanto tempo prima, secoli prima.

Cecilia aveva ascoltato. Poi aveva seguito i consigli. Il suo olio in breve aveva riconquistato il mercato. La sua azienda aveva ripreso il posto nel mondo che le spettava grazie all’antica tradizione.
A chi le chiedeva perché aveva rischiato tanto, e come fosse riuscita a muoversi con tanta apparente facilità in un mondo che doveva esserle estraneo, e in cui chiunque avrebbe avuto difficoltà a prendere le giuste decisioni, Cecilia rispondeva che aveva sempre un aiutante accanto a sé. E a chi le chiedeva chi fosse, lei sorrideva, enigmatica, senza rispondere.

Dopo molti mesi e molte domande, al sorriso aveva aggiunto che si sarebbe capito l’importanza della tradizione nella sua vita dal simbolo, dal vero e proprio testimonial che aveva scelto per i suoi spot pubblicitari. Li avrebbe messi in produzione di lì a poco, perché alla tradizione bisognava pur unire la modernità. Così tutti avrebbero potuto vedere che testimone, più che testimonial, della sua promessa mantenuta, non poteva essere che il Grande Olivo. E che tutti condividessero con lei la sua bellezza poderosa, la sua forza scaturita da una contorsione sofferente.

«Ma questo… è l’Olivo della Strega!»
«Il famoso olivo che dovrebbe avere più di tremila anni…»
Le dicevano intorno voci diverse. Cecilia rispondeva sempre con calma che i nomi non avevano alcuna importanza, e che quello per lei era e sarebbe stato sempre il Grande Olivo della sua infanzia ritrovata.

Questo racconto è integralmente tratto dall’antologia Tutti dicono Maremma Maremma. Venti scrittori italiani ne raccontano la terra, le persone, gli umori, edita nel 2010 dalla Provincia di Grosseto, in collaborazione con Eizioni Effigi.

L’antologia curata da Luigi Caricato, comprende i racconti, inediti, di Roberto Barbolini, Laura Bosio, Luigi Caricato, Andrea Carraro, Guido Conti, Maurizio Cucchi, Carlo D’Amicis, Andrea Di Consoli, Omar Di Monopoli, Francesca Duranti, Antonio Franchini, Nadia Fusini, Bianca Garavelli, Silvana Grasso, Daniela Marcheschi, Giuseppe Pontiggia (inedito pubblicato postumo alla scomparsa, nel 2003, dell’autore), Lidia Ravera, Ugo Riccarelli, Clara Sereni e Alessandro Tamburini.

Con i racconti dell’antologia Tutti dicono Maremma Maremma, c’è la dichiarata intenzione – espressa da Luigi Caricato – di invertire la rotta e occuparsi finalmente del mondo agricolo, ambientando storie, immaginarie, o realmente accadute, che abbiano come teatro la campagna. Lo scopo, neanche tanto velato, è di risvegliare un interesse diverso e nuovo all’interno dello stesso mondo intellettuale, prima ancora che tra i lettori.

La foto di apertura è tratta da Internet.

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