Saperi

La collezionista

Narrazioni. Un paio di calze nel cassetto e una scatoletta trasparente dove era solita nascondere i propri segreti e dove vi trovò un nastro registrato. Una voce diceva: Sono Marchetti, Viter Marchetti. Premette play, il nastro girò a vuoto per dieci secondi, poi un'altra voce. Schiacciò play di nuovo e una voce tremula le diceva: Mimì, sono l’innominato

Mariapia Frigerio

La collezionista

Cercava un paio di calze nel cassetto, quando le venne tra le mani una scatoletta trasparente. Si accorse subito che era un nastro registrato. Si ricordò che tra le calze – un’infinità di calze bordeaux, viola, verde bottiglia, verde abete, nere opache, velate, lucide, a righine verticali, a righine orizzontali, di pizzo écru, con ramage, con disegni cashmere, a rete piccola, a rete lavorata – lei era solita nascondere i suoi segreti. Non ricordò, però, cosa contenesse. Si diede da fare per cercare un mangianastri. In casa non ce n’erano. Da molto tempo tutto era stato sostituito da lettori cd. Ma per una avversa alla tecnologia come lei doveva ancora esisterne uno, da qualche parte. Certo! Lei ne aveva uno. Ma dove?

Ripercorse mentalmente i luoghi dove avrebbe potuto essere e, giunta alla conclusione che per lei era importante, si disse: «O tra le calze o sotto le camicie da notte». Ed essendo già il cassetto aperto, le bastò spostarsi sulla parte di sinistra e tastare tra seta, cotone felpato, crespo, pelle d’angelo, lino. Proprio sotto queste ultime prese forma l’apparecchio.
Lo estrasse insieme al nastro e richiuse il cassetto. Andò nello studio. Si sedette allo scrittoio e premette play.

Una voce diceva: «Sono Marchetti, Viter Marchetti. Allora, l’appuntamento è giovedì alle 11. Devi venire al piano terreno, entrando a sinistra. Naturalmente digiuna e con gli esami. Digiuna: non te ne scordare! Poi ti porto io a mangiare… [risata]. Giovedì alle 11. Ciao, Pardi, Ciao». Annotò il nome e la data. Circa sei anni fa, pensò. La voce era inconfondibile e – chiaro indizio – l’unica persona che si ostinasse a chiamarla col cognome.
Il nastro girò a vuoto per dieci secondi. Poi di nuovo una voce: «Sono Alberto». Nient’altro. Col lapis segnò sul foglio: cinque. Cinque anni prima.

Fece scorrere ancora il nastro. Troppo. Dovette tornare riavvolgere: «Non è una tristezza. Dopo tutti questi anni di amicizia la lasci andare dove deve andare. È per motivi nostri che abbiamo difficoltà a lasciare i nostri vicini, non per considerazioni loro. Ti penso». Stop. Con una Bic nera segnò: nuovamente cinque anni. La situazione era chiarissima: la morte della sua cagnolina. L’amico le era stato vicino, in quell’occasione, anche se abitava lontano.

Schiacciò play di nuovo. Una voce tremula le diceva: «Mimì, sono l’innominato. Ho letto e mi sono ancora commosso. Sono innamorato del tuo amore». Stop. Ma sì, si ricordava benissimo. Era quando si era messa in testa di scrivere un romanzo. In realtà Le mani di Schiele era la trascrizione della sua vita negli ultimi anni. Ma lui, l’innominato, le aveva detto che mai, in nessun libro, aveva trovato l’amore descritto così. E dire che di libri lui ne aveva letti. Dallo scrittoio gli sorrise grata. Sapeva che mai sarebbe riuscita a scrivere qualcosa così traboccante d’amore. Troppo personale, però. Con la Bic rossa scrisse: quattro anni.

Poi di nuovo premette play. Qualche secondo di silenzio. La nuova voce rivelava timidezza: «Alla luce dell’analisi di oggi mi sento il vero colpevole dei tuoi gesti e ne provo vergogna… Non chiedermi più se ti ho perdonata… incomincia tu a perdonare me, piccolina». Doveva avere faticato molto a lasciare registrato nella segreteria quel nomignolo. La voce lo rivelava. Stop. Bic blu: tre anni.

Di nuovo play. La voce era emozionata: «Il futuro è sempre fatto di grandi desideri e il presente di continue scelte». Riconobbe Alberto. A distanza di tempo si emozionò di nuovo anche lei. Ma, si domandò, perché parlava sempre così difficile? Scrisse: tre anni. Di nuovo play. Il nastro girò a lungo a vuoto. Di colpo si bloccò. «No, no. Proprio adesso, no… », non poté fare a meno di dire. Poi ebbe quasi un’illuminazione… un’illuminazione per una come lei. E girò il nastro. Qualche secondo e: «Seguire la passione delle coincidenze è sempre un bel navigare». Era Alberto. Alberto tre anni prima. Ma quanto le era stato vicino in quel periodo. E, forse, anche lei a lui.

Mandò il nastro avanti. Lo fermò. Play. Qualche secondo e: «Che cosa si mangia in una casa normale? Io sono qui col frigo vuoto. Ciao, bella, ti richiamo». Poco dopo, sempre la stessa voce: «Spero tu abbia capito che ho detto ‘casa normale’ e non che sei tu normale. Ma a noi della normalità importa qualcosa? Ci sentiamo». Era l’attore che era rientrato, dopo mesi di tournée, nella sua casa deserta e col frigo vuoto. Ma anche lei, quella sera, non aveva fatto spesa e così se n’era andata a mangiare fuori. Sola. Abbastanza scandaloso per una donna in una cittadina di provincia. Lui aveva ragione quando diceva che non era tanto normale e pensò a quanta complicità ci fosse sempre stata tra loro. Con il lapis segnò: circa due anni fa.

Play di nuovo: «Ciao, vecchia madre. Sono partito con Erri e Max. Abbiamo in macchina ben sei CD di De André. C’è anche “Barbara”. Ti ricordi?». E come non ricordarsi di tutti i loro viaggi, quando lui la pregava di cantare e lei iniziava con: «Chi cerca una bocca infedele / che sappia di fragola e miele / in lei la troverà, Barbara / in lei la bacerà, Barbara». Tenerezza. Infinita tenerezza. Bic rossa: due anni prima, più o meno.

Si guardò da fuori. Si guardò con gli occhi del figlio. Se avesse saputo delle voci avrebbe detto: «Sei la solita pazza». Il figlio? Ma chiunque avesse saputo avrebbe pensato la stessa cosa. Le venne da ridere. Sì, da ridere di se stessa. Si disse che faceva proprio bene a nascondere cose così intime tra la biancheria intima. Iniziò anche a parlare con sé a voce alta: «È folle, lo sai. Immagina, Mimì, se tu morissi… così, all’improvviso. Chi ci capirebbe qualcosa? E tu non potresti più spiegare. Beh, questo almeno è certo: non potresti più spiegare a nessuno l’importanza di queste voci. La commozione che ancora oggi ti danno. Del resto, chi è mai entrato nella tua solitudine se non le tue voci? Ah, pensino quello che vogliono. Mimì, tieni la tua collezione».

Prese l’elenco del telefono. Pensò che forse sarebbe stato più utile internet, ma chi lo sapeva usare? Pagine bianche… no! Le pagine gialle. Quelle ci volevano. Cercò alla voce «Elettronica». Perfetto. Trovò subito «Elettronica P.R.N. & Figli – Centro assistenza autorizzato. Riparazioni telecamere, TVC, LCD, HI-FI, DVD». Compose il numero. Immediatamente una voce maschile la investì: «Dica!».
«È possibile passare delle registrazioni da nastro a CD?».
«Ma che domanda! Certo».
«Se vengo domani mattina in tarda mattinata… ».
«Sì, ma non oltre le 12» le rispose l’uomo deciso.
«E cosa le devo portare?».
«E cosa mi vuole portare? I nastri che vuole trasferire su CD!».
«E il CD lo porto io o me lo date voi?».
«Secondo lei un centro specializzato in elettronica può stare senza CD? Venga domani come le ho detto. Mi lasci, però, il suo telefono nel caso dovessi andare fuori per qualche riparazione».
«Naturalmente, ma io esco prestissimo e… non uso il cellulare».
«Certo che è ben strana! E con chi devo parlare, allora, se la chiamo a casa mentre lei è fuori? Una segreteria telefonica almeno l’ha?».
«Sì».
«Allora prima di venire ascolti se c’è qualche messaggio. Se non trova niente, prima di mezzogiorno qui».
«D’accordo. Grazie».

Mimì si alzò dallo scrittoio e si sedette sul divano. Pensò a quanto fosse irritabile l’uomo con cui aveva parlato. Pensò che anche lui l’avrebbe presa per pazza. Ma chi la conosceva? E se anche l’avesse conosciuta a lei non sarebbe importato niente. Era felice. Questo sì. Sapeva che il giorno successivo le sue voci sarebbero state messe al sicuro ancora per un po’ di anni.

Lucca, 30 gennaio 2009

La foto di apertura è di Mariapia Frigerio

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