Saperi

La democrazia oltre lo Stato

Nell’Ue la cultura democratica dovrebbe abbandonare il mito federalista e darsi un credibile e fattibile progetto di completamento dell’integrazione europea. Bisogna convincersi che gli Stati nazionali europei costituiscono l’irrinunciabile spina dorsale dei diritti sociali che le politiche di welfare concorrono a garantire

Alfonso Pascale

La democrazia oltre lo Stato

Perché gli Usa e l’Ue rischiano di diventare democrazie illiberali.

È un’opinione comune che gli Stati Uniti si stiano avvicinando ad un “punto di rottura”, simile a quello sperimentato dopo le elezioni del 6 novembre 1860 che portarono Abraham Lincoln alla presidenza e gli stati del sud alla secessione. Per studiosi di diverso orientamento (come Frank Fukuyama e Michael Walzer), quel “punto di rottura” ha un nome, Donald Trump.

Come spiegarsi la popolarità di Trump?

La paura genera sempre la richiesta di un leader autoritario. E Trump oggi beneficia della paura generata dai cambiamenti in corso, tecnologici e culturali. Ma c’è anche un’altra ragione che spinge gli americani a preferire Trump.

Ed è la debolezza del suo rivale, il presidente Joe Biden. Per l’Economist del 4 gennaio scorso, “gli americani sanno che nessuno, a più di 80 anni, può assolvere un compito gravoso come la presidenza per altri quattro anni”.

È terribile, ma è così. Nel partito democratico americano non emerge nessun giovane politico che possa sfidare Trump con un programma gradito agli elettori di quel paese.

E non emerge anche perché le scuole e le università sono egemonizzate dal Dei (Diversità, equità e inclusione), un movimento potente che ha pervaso il sistema educativo americano.

Si tratta di un movimento di difesa politica per conto di alcuni gruppi considerati oppressi secondo la metodologia del Dei stesso.

Secondo il Dei, il grado di oppressione di una persona è determinato in base alla sua posizione nella cosiddetta piramide intersezionale dell’oppressione, in cui i bianchi, gli ebrei e gli asiatici sono considerati oppressori e un sottoinsieme di persone di colore, persone Lgbtq e/o donne sono considerate oppresse.

In base a questa ideologia, che è il fondamento filosofico del Dei come proposto da Ibram X. Kendi e altri, si è o antirazzisti o razzisti.

Non esiste la possibilità di essere “non razzisti”. Secondo l’ideologia Dei, qualsiasi politica, programma, sistema educativo, sistema economico, sistema di classificazione, politica di ammissione che porti a risultati disuguali tra persone di diverso colore della pelle è considerato razzista.

Quando si esamina il Dei e il suo patrimonio ideologico, non ci vuole molto per capire che il movimento è intrinsecamente incoerente con i valori americani di base.

Gli Stati Uniti, fin dalla nascita, si sono posti l’obiettivo di creare e costruire una democrazia con pari opportunità per tutti.

Il concetto di “equità” nel Dei riguarda l’uguaglianza dei risultati, non l’uguaglianza delle opportunità.

Se i giovani che escono dalle università americane sono imbevuti di tali ideologismi, i “barbari” alla Trump vinceranno sempre e gli Stati Uniti si chiuderanno a riccio nel proprio orticello nazionale.

È penoso rassegnarsi all’idea che la nazione con la più lunga tradizione democratica si stia avviando lungo la strada, già abbastanza affollata, delle democrazie illiberali e stataliste.

Ma ancor più penoso è vedere che anche da noi non ci sono leader e formazioni politiche con progetti credibili di completamento dell’integrazione europea per candidare l’Ue ad essere una guida delle democrazie liberali e delle economie aperte.

La sfida culturale per le democrazie è abbandonare l’idea che gli Stati nazionali siano le uniche scialuppe di salvataggio possibili nell’oceano globale in cui navighiamo. Bisogna offrire al pianeta un nuovo ordine costruendo la democrazia oltre lo Stato. Per questo ci vuole una salda alleanza delle democrazie liberali.

Nell’Ue la cultura democratica dovrebbe abbandonare il mito federalista e darsi un credibile e fattibile progetto di completamento dell’integrazione europea. Bisogna convincersi che gli Stati nazionali europei costituiscono l’irrinunciabile spina dorsale dei diritti sociali che le politiche di welfare concorrono a garantire.

Proporre, in questi decenni, la soppressione degli Stati nazionali per centralizzare i poteri in un Superstato europeo si è rivelato un errore tragico: ha creato un clima di paura tra i cittadini, soprattutto quando sono esplose le crisi a catena dal 2008 in poi. E su tali timori hanno fatto leva le forze nazionaliste per guadagnare consensi, convertendo il proprio discorso pubblico nella narrazione sovranista.

Per vincere la sfida dell’integrazione, l’Ue non deve ridimensionare gli Stati nazionali. Non ce n’è bisogno. Deve invece costruire una visione del completamento della integrazione articolata su più livelli. Innanzitutto ci vogliono due processi differenziati della integrazione: quella dei 27 paesi (mercato unico) e quella dei 20 paesi (zona euro).

I paesi della zona euro sono interessati alla “creazione di un’unione sempre più stretta tra i popoli” (art. 1 del TUE).

I paesi che sono fuori della zona euro sono, invece, paesi nazionalisti (alcuni sono nazionalisti democratici come la Danimarca, altri illiberali come l’Ungheria) e vogliono una unione solo economica (mercato unico).

Bisogna dunque fare un patto, un compromesso, tra questi due gruppi di paesi che hanno differenti visioni della integrazione europea corrispondenti a diverse aspettative e aspirazioni. Non si tratta di fare una integrazione a due velocità.

Non c’è un gruppo più veloce e l’altro più lento. Ma c’è un gruppo che ha una certa visione della unione e un altro gruppo che ce l’ha in senso opposto.

Mentre si costruisce questo patto per rassicurare tutti che non c’è una visione dell’integrazione che vuole sopraffare l’altra, ma ambedue possono convivere nel quadro di nuove regole, bisogna costruire un patto, un compromesso, all’interno dei 20 paesi dell’eurozona tra il gruppo che vuole una unione guidata con una logica sovranazionale e l’altro gruppo che vuole un governo della unione di tipo intergovernativo.

I sovranazionalisti vogliono affiancare alla sovranità nazionale e statale una sovranità unionale distinta e indipendente da quella: una sovranità unionale su poche e ben definite materie, restituendo tutto il resto alla sovranità nazionale e statale.

Se la sovranità unionale da creare sarà limitata alla politica estera, alla difesa dei confini, al bilancio con risorse proprie per la produzione di beni pubblici europei, alla politica climatica e alla politica migratoria, tutto quello che rimane fuori da queste competenze deve essere restituito alla sovranità statale.

I sovranazionalisti puntano, quindi, a rafforzare il ruolo del Parlamento e a trasformare la Commissione in un esecutivo/governo. Gli intergovernativi non vogliono costruire una sovranità unionale e puntano a rafforzare il consiglio europeo e il consiglio dei ministri, ritenendo che tale accentramento rafforzi l’Unione.

Per tenere insieme queste diverse visioni in un equilibrio che tutti possano condividere bisogna mantenere la forma giuridica della Unione e mettere da parte il proposito di costruire un nuovo Stato. Ci vuole un nuovo paradigma, fondato sulla chiara distinzione tra Unione e Stato federale, che sappia comporre senza negare le asimmetrie dei diversi paesi e recuperare i valori liberali di Ventotene.

Non occorre fondere ma distinguere ciò che più utilmente deve fare la Unione e ciò che più utilmente devono continuare a fare gli Stati nazionali. Per questo la strategia della Unione, che articola i processi d’integrazione su più livelli, può tenere tutti insieme.

È necessario però un salto culturale. Bisogna svincolarsi dalla tradizione politica dell’Europa occidentale, basata sull’idea che la sovranità coincida con lo Stato.

Nella tradizione europea, il federalismo è concepito come Stato federale e non come unione (ed è per questo che i federalisti ritengono debole la formula “Unione europea” e ripetono quella di “Stati uniti d’Europa”: pensano infatti ad uno Stato federale).

Per tenere insieme tutti i paesi del mercato unico e le due sovranità (unionale e statale), il Parlamento dovrebbe essere formato da due Camere: la Camera dei popoli (eletti direttamente dai cittadini) e la Camera degli Stati (l’attuale Consiglio europeo).

Il Parlamento dovrebbe esercitare la funzione legislativa (a partire dal potere di presentare proposte di legge che oggi è in capo alla Commissione); dare o revocare la fiducia al governo della Unione.

Ci vuole un progetto chiaro di completamento della integrazione da parte degli europeisti e distinto da quello dei sovranisti. Saranno capaci i leader e le forze politiche a predisporre tale progetto prima delle prossime elezioni europee?

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