Saperi

La differenza nella reciprocità

Non è la città, e nemmeno la campagna, che ci salveranno dal populismo, ma l’intimità della relazione. Le forze politiche democratiche non hanno compreso che, in una società dove l’informazione scorre in modo impetuoso, continuo e disordinato, il loro compito fondamentale è promuovere senso critico e disvelamento della menzogna come nuova frontiera dell’incivilimento su cui edificare nuove forme istituzionali di governance e nuovi modelli comunitari

Alfonso Pascale

La differenza nella reciprocità

Dopo aver letto un discutibile articolo di Beppe Severgnini sulle pagine del Corriere della Sera, dal titolo fuorviante “Città contro campagna nella lotta alla demagogia“, abbiamo prontamente sollecitato ad Alfonso Pascale una riflessione al riguardo. Lo storico dell’agricoltura, nonché studioso dei fenomeni sociali, non ha avuto da parte sua alcuna esitazione nell’argomentare una acuta e profonda analisi del fenomeno populismo all’indomani della vittoria negli Stati Uniti di Donald Trump, eletto a Presidente di un Paese che si `e dimostrato fragile e vittima, come ugualmente altrove, del populismo (Luigi Caricato).

Beppe Severgnini ha commentato sul Corriere della Sera il recente voto americano, attribuendo al divario di socialità e di scambi tra aree urbane e territori rurali il motivo del successo di Hillary Clinton nelle grandi città e l’affermazione di Donald Trump nelle campagne.

Il noto opinionista polemizza contro la tesi del fronte populista che, strumentalizzando il voto delle campagne sia nelle presidenziali americane che nel referendum sulla Brexit nel Regno Unito, ha evocato l’insorgenza della “gente” contro le élite urbane. Ha ragione Severgnini a rispondere che si tratta di una sciocchezza: la “gente” sta, infatti, anche nelle grandi metropoli e le élite sono presenti anche nelle regioni più distanti dalle grandi città ed esercitano un analogo potere. E allora il giornalista tenta una diversa spiegazione del fenomeno. Vediamo! I grandi centri urbani – in America, in Europa, in Italia – sarebbero luoghi dove “più difficile è coltivare indisturbati le proprie ossessioni”; dove “tutto porta stimoli e fatica, passioni e dubbio”; dove “le semplificazioni demagogiche vengono guardate con diffidenza”.

Nei territori dove la densità della popolazione è meno elevata, fin quasi all’abbandono, “l’isolamento riduce gli stimoli e conferma le convinzioni; quand’è prolungato facilita le ossessioni”. Nei territori rurali immaginati da Severgnini, l’umore diventa cupo, la generosità convive con il sospetto, la resilienza con l’ingenuità, le persone parlano esclusivamente con quelle che la pensano allo stesso modo e non ne incontrano altre. E facebook avrebbe studiato “un algoritmo per confermare le idee e i sospetti che hanno già”.

Una tale lettura coglie sicuramente alcuni elementi di verità, ma non riesce a spiegare chiaramente la distribuzione territoriale del voto nelle ultime tornate elettorali. Non tiene, infatti, nel giusto conto le recenti trasformazioni che hanno investito le città e le campagne.

Gli elementi che in passato distinguevano l’urbanità dalla ruralità si sono ridimensionati e quelli che restano si sovrappongono e creano nuove differenziazioni. Le quali non hanno nulla in comune con quelle precedenti e riguardano: stili di vita, rapporti tra persone e risorse, modelli di possesso uso e consumo dei beni, abitudini alimentari, modelli di welfare, motivazioni degli imprenditori. Anche altre polarità che in passato influenzavano le campagne si sono fortemente attenuate fino a scomparire: centro e periferia, metropoli e aree interne hanno perduto i significati originari. E tali endiadi ora descrivono nuove entità policentriche e multi-identitarie.

La ricerca di innovazione, la spinta al cambiamento, lo stimolo al rischio, la predisposizione al dubbio e al senso critico non dipendono più dalle antiche polarità. Non ha più senso continuare a dividersi tra chi pensa che il “grande” sia più bello del “piccolo” e chi invece sostiene che il “piccolo” sia più bello del “grande”. È una discussione ormai anacronistica.

Nel nuovo volto delle città e delle campagne, la differenza la fa l’intimità della relazione, la reciprocità, la genuinità dei rapporti tra le persone, indipendentemente se sono fisici o virtuali. È questo il germe di “ruralità” che si è sedimentato nel tempo e oggi lievita, in molteplici forme, stimoli e nuovi bisogni, anche i territori urbani e metropolitani. Si producono, pertanto, nuove differenziazioni territoriali che hanno a che fare con il capitale sociale, i livelli e le forme di apprendimento, le relazioni interpersonali, lo scambio tra le persone e i gruppi, il rapporto tra conoscenza tecnico-scientifica e saperi esperienziali, la coerenza tra modello di società e forme della rappresentanza. C’è dappertutto una ricerca spontanea di nuove strade che si manifesta in una pluralità di iniziative che nessuno studia e mette in rete.

Forse la diversa distribuzione territoriale del voto ha a che fare con l’evoluzione di tali iniziative? Forse nelle aree più urbanizzate sono presenti movimenti spontanei, che influenzano gruppi sociali verso l’innovazione, in misura più significativa rispetto alle aree meno addensate di popolazione? Sono ipotesi che andrebbero verificate con gli strumenti della ricerca sociale. Quello che appare certo è che, nelle agricolture intensive delle grandi pianure americane ed europee, dopo il grande balzo produttivo avvenuto con la Rivoluzione verde a metà del secolo scorso, è seguita una diffusa rinuncia ad essere innovativi. Gli abitanti delle aree rurali sembrano rassegnati a vivere nell’immobilità e nella stagnazione.

Sono interessati esclusivamente a qualsiasi azione dei pubblici poteri che possa alleggerirli dei costi e dei pesi che sopportano le loro aziende. Un assillo più che legittimo, ma del tutto insufficiente se non è accompagnato da un analogo cruccio nello spalancare porte e finestre all’innovazione. Essere imprenditori innovativi è l’esito di processi motivazionali che vanno stimolati, accompagnati e orientati verso le migliori pratiche, tenendo conto delle vocazioni e prerogative dei territori di appartenenza. È il frutto di legami comunitari, di beni relazionali, di fiducia da tessere costantemente. È l’esito di una guerra gigantesca da fare tutti i santi giorni contro la mentalità e la pratica assistenzialistica. E le politiche agricole protezionistiche, negli Stati Uniti e in Europa, hanno tanto alimentato la cultura clientelare e corruttiva nelle istituzioni, nelle organizzazioni e nelle aziende.

Solo educandoci ad un approccio laico, ad un dialogo tra convinzioni diverse che rinunciano ad imporre le proprie intransigenze, ad una ricerca di genuinità e di verità nella relazione interpersonale, possiamo diventare innovativi e, nel contempo, non credere alle bufale. Le forze politiche democratiche non hanno compreso che, in una società dove l’informazione scorre in modo impetuoso, continuo e disordinato, il loro compito fondamentale è quello di promuovere senso critico e disvelamento della menzogna come nuova frontiera dell’incivilimento.

Solo su gruppi sociali e classi dirigenti governanti e influenzanti, che si educano alla relazionalità rispettosa, reciprocante e cooperante, è possibile lo sviluppo democratico della società e delle sue forme di rappresentanza. Nella menzogna non si costruisce né la libertà, né l’eguaglianza. Solo la fraternità permette l’intimità della relazione tra le persone e la rende vera.

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