Saperi

La magia dello sguardo e della parola

Distance Learning, una nuova modalità di insegnamento. Il mondo evolve, si sa, ma il timore che il nuovo approccio diventi consuetudine e crei una dipendenza di solitudine intellettuale e fisica, un po’ disorienta. Si riusciranno a cogliere nello sguardo quelle sfumature che creano complicità fra professore e studente? Si riusciranno a leggere le emozioni e a capire le paure? Un maestro e un’allieva si confrontano su apprendimento e processo di trasmissione di nozioni e saperi

Clara Benfante

La magia dello sguardo e della parola

1977. Bologna, Francesco Lorusso, studente universitario, è morto durante una manifestazione, la città ribolle e si scatenano manifestazioni violente, spari alla stazione, autobus incendiati, tubi di eternit che sprigionano fumi lacrimogeni, un caos, Bologna non è più “la dotta, la grassa, la turrita”, con quella definizione che l’ha fatta conoscere nel mondo come una città pacioccona e versata a quel buon cibo che accompagna la sua storia di più antica università del mondo.

Come dopo la tempesta, torna la quiete, apparente, perché la cittadella universitaria è ancora sotto il presidio dei carri blindati che continuamente ne percorrono il perimetro.

Nel contempo, la vita universitaria procede e un carissimo amico del mio Maestro perde l’elezione a Preside per un voto, l’aveva, poco prima, vinta per un voto e aveva rinunciato per evitare che la Facoltà fosse spaccata in due, mentre alla nuova votazione il suo avversario decide che accetta la Presidenza, già…il potere.

La prima azione da nuovo Preside consta nel fare ridipingere la facciata prospiciente l’ingresso principale da tutte le scritte che, come si può ben immaginare, in quei giorni caldissimi, l’avevano riempita, a coprirla completamente.

Eravamo nello studio del past Preside, lui, il mio Maestro e il sottoscritto, giovane “ragazzo di bottega” in carriera.

Il past Preside dice al mio Maestro che il nuovo Preside ha cominciato il suo percorso da fascista ed è approdato al partito comunista, laddove, nella rossa Bologna, ha compiuto la carriera universitaria.

Gli accadimenti di quei giorni sollecitano il past Preside a concordare con il mio Maestro di scrivere sulla linda facciata: … (si tralascia il nome, ndr) = mistica e mastica.

Li guardo con l’espressione del neofita, un po’ fra imbarazzo e incredulità, e, quando capisco che parlano seriamente, faccio una proposta, timidamente, propongo di essere io a fare la scritta consapevole che se la polizia li dovesse sorprendere perderei d’un colpo i miei “protettori”, con il patto che, qualora dovessero sorprendermi, sarebbero intervenuti per farmi uscire dalla gabbia.

Viene la notte fatidica e… il misfatto è compiuto.

Passa un po’ di tempo e, nel corso di uno dei soliti incontri, il past Preside, pur in mia presenza, chiede al mio Maestro, cosa ne pensi se diamo un insegnamento nella Scuola di Rimini al tuo giovane allievo?

Mi trovo, a 27 anni, titolare di un insegnamento guadagnatomi sul campo, tuttavia, conscio che non era la prassi carrieristica che conoscevo, tutto ciò mi indusse a tuffarmi nello studio per dimostrare che ero all’altezza della fiducia, non l’avrebbero mai fatto se pensassero che non lo ero.

Cominciò così il mio rapporto con i giovani studenti, io non ero molto più anziano, quasi coetaneo, che, fra Bologna, Scozia e di nuovo Bologna, continuerà per diversi lustri.

Ciò che ho sempre cercato di fare, è stato di portare nelle lezioni, non solo le esperienze condotte dalle ricerche di altri, patrimonio imprescindibile, ma anche quelle personali, che sono l’unica strada per coinvolgere fino in fondo i ragazzi.

Ho condiviso con centinaia e centinaia di ragazzi questa mirabile esperienza, comunicare con loro, discutere, confrontarsi e, qualche volta raccoglierne le confessioni, il momento più alto della fiducia reciproca.

Ricordo un episodio che non si è mai nascosto alla memoria. Stavo facendo colazione nel refettorio del college e una studentessa, seduta di fronte a me, nel vedermi assaporare due meravigliose uova accompagnate da croccante pancetta, mi disse: ma lei sta facendo quello che ci ha sempre detto di non fare…

Mi colse di sorpresa, ma prontamente risposi: è vero, ma ciò che mi fa piacere è che avete compreso il mio modesto inglese! Ci facemmo una grossa risata e, per inciso, comincerà da quel momento la mia crociata a favore del colesterolo, esso rappresenta la più grande bufala scientifica, fake news, come si dice ora che mai sia stata perpetrata, tanto è che una delle più prestigiose riviste scientifiche internazionali, il British Medical Journal, mi ha pubblicato una lettera che titola: “Cholesterol on Sunset Boulevard: the decline of a myth”.

Per tanti, lunghi anni è continuato questo rapporto con i ragazzi.

1977-2020 un tempo lunghissimo di rapporti di scambio culturale, di consapevolezza che anche dagli studenti possiamo imparare molte cose, di confronti diretti, di sguardi e di parole.

Poi, improvvisa, una lama che, come quella della ghigliottina, taglia di netto tutto ciò.

Uno schermo, passaggi complicati di collegamento, il trionfo della tecnologia, di una tecnologia senz’anima, che non tiene conto che lo schermo non guarda e non parla, non tiene conto che guardare negli occhi, dal vivo, vale molto più di qualsiasi spiegazione.

Il mondo evolve, si dice, e il timore è che questa nuova modalità di insegnamento diventerà consuetudine, diventerà una dipendenza, diventerà una dipendenza di solitudine intellettuale e fisica, non ci sarà più lo spazio dei commenti di corridoio, delle risatine alle battute, della condivisione delle esperienze nello scambio culturale che deriva dallo scambio geografico.

Qualcuno mi contesterà che la moderna tecnologia consente ugualmente di vedersi e che è vicino il momento dell’aula virtuale dove ci si vedrà tutti assieme, verissimo, ma mancherà l’anima, mancherà, ai docenti, la possibilità di cogliere il giudizio collettivo dall’espressione dei volti che intrecciano gli sguardi.

L’ipocrisia, propria dell’umano essere, oggi, si affanna di giudizi positivi su questa nuova modalità di insegnamento, distance Learning viene definita, ma nella distance Learning riusciremo a cogliere, nello sguardo, quelle sfumature che creano complicità fra il professore e lo studente? Riusciremo a leggere le emozioni? Riusciremo a capire le paure? Riusciremo a trasmettere le sensazioni?

Io ho qualche dubbio, ma lascio a una studentessa, Clara, abile di penna, il compito di dare voce alla controparte, cioè, gli studenti.

Intanto, guardo dalla mia finestra, sul grande parco, e vedo margherite trionfanti, nessuno le taglia più, le macchine non ingorgano più la strada che corre attorno al parco, sento il profumo dei fiori, i “piumini” che svolazzano quasi a richiamare il ricordo di quella neve che purificava l’aria e la terra, adesso non è necessaria, anche gli uccelli sembrano più sereni nell’aria che li abbraccia, limpida.

“Dubium sapientiae initium”, vorrei rispondere a tutti i tuoi interrogativi, carissimo Massimo, con questo aforisma di Cartesio.

È proprio il dubbio che domina questa nostra riflessione, questa nostra joint-venture tra maestro e allieva, che cercherà di far apparire due visioni diversamente uguali.

Il dubbio, infatti, è stato sempre oggetto di studi filosofici, basti pensare a sant’Agostino, il quale affermava che è impossibile dubitare di tutto perché non si può dubitare del dubbio stesso, dubbio inteso come la mancanza di certezze e quindi di verità.

Ma il dubbio, “sapientiae initium”, è puramente curiosità, la stessa che fin dalla nascita mi accompagna, ci accompagna, perché non è possibile vivere senza averla, almeno una volta, incontrata.

Ricordo ancora il mio primo giorno di scuola elementare, quella fila di bambini tutti profumati e “ordinatamente” blu (con il grembiulino), ciascuno aggrappato alla mano del proprio genitore, che camminava lentamente dietro la sagoma, allora ai miei occhi maestosa, della maestra che ci guidava verso un nuovo inizio, verso un nuovo percorso di studi, verso il mondo e la vita vera.

Il mio papà allora teneva la mia manina, piccolissima in confronto alla sua, e mi accompagnava verso la mia nuova avventura che aveva il nome di “1° B”.

Non posso ricordare cosa stessi pensando in quel momento, non provavo di certo terrore ma, non potevo essere sicuramente la Claretta di tutti i giorni.

Ricordo, però, che avevo una voglia matta di conoscere, di mostrare alla maestra le capacità che possedevo e che la mia nonna aveva, con tanta pazienza coltivato fin da quando ero piccolina.

Inconsapevolmente, quel giorno, sarebbe nato in me l’amore per la conoscenza, lo studio e la voglia di andare sempre oltre rispetto a quello che il libro cercava di comunicarmi.

La curiosità ha intrapreso la mia stessa via, è cresciuta con me e con me continuerà ad invecchiare.

Alla base della vita umana, oltre alla ragione, vi è la virtù e la voglia di conoscere: “fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza”.

Dobbiamo immaginare, infatti, la conoscenza come una sorta di catena di montaggio: ognuno trasferisce le proprie nozioni, esperienze che divengono “pane di un simposio comune”.

Ho sempre immaginato il processo di apprendimento un po’ come il “simposio di Platone”, in cui, seduti ad una stessa tavola, tra un bicchiere di buon vino, del cibo e un “sigaricchio” accesso, si discute dei pilastri che reggono la nostra terra: l’essere, l’amore, la verità, la fiducia e chi più ne ha più ne metta.

L’apprendimento, infatti, non è solo il processo di trasmissione di nozioni da una testa ad un’altra, come accadeva in passato: è molto di più!

Apprendere implica insegnare e insegnare implica conoscere. “Perché questo è naturale per l’uomo, e come gli uccelli sono generati per il volare, i cavalli per la corsa, le bestie per la ferocia, così per noi è tipica l’attività e l’agilità della mente: da dove si ritiene celeste l’origine dell’anima” (Quintiliano, Institutio oratoria).

Quintiliano, il primo insegnante stipendiato della storia (sicuramente questa informazione sarà rilevante per molti), ha lasciato un segno indelebile sull’importanza della conoscenza e dell’istruzione che è intesa come educazione collettiva e non individuale.

Egli afferma che per un ragazzo andare a scuola è meglio che essere educato a casa da un precettore privato. A scuola, infatti, l’allievo ha occasione di stare a contatto con altri studenti, sviluppando capacità relazionali e comunicative; inoltre, può misurare i propri limiti, instaurare amicizie durature e imparare non solo dai propri errori, ma anche da quelli dei compagni.

Che dire? Un maestro all’avanguardia per quel secolo e … anche per il nostro.

Ma noi viviamo nel “migliore dei mondi possibili” e come tale non ci accontentiamo di sviluppare “semplici “capacità relazionali, di instaurare amicizie durature!

Noi, amanti del progresso tecnologico, tendenti alla “vita comoda”, vogliamo sempre di più e tutto ciò ha prodotto la distance Learning.

Come faremo, noi studenti, a trasmettere le emozioni che una determinata materia ci può suscitare? Come faremo a non provare più la sensazione dell’ansia che solo un esame può regalare? Riusciremo a conoscere nuovi compagni d’avventura? Saremo pronti ad affrontare un professore temibile attraverso uno schermo? Sarà ancora così temibile?

Il crollo delle identità, ecco cosa si sta creando e si creerà in futuro!

Ci ritroveremo tutti a vivere dentro una grande “industria culturale”, all’interno della quale la cultura, i rapporti sociali e la vita stessa diventeranno una semplice merce di consumo.

Grazie, carissimo Massimo, per aver acceso in me questa voglia di scrivere ed esternare i miei pensieri… condividendoli con tante teste pensanti!

In apertura una illustrazione di Nebula per Olio Officina

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