Saperi

La padrona di Beniamino e il bel francese

Dalle mura al mare: personaggi. Occhi azzurri – quasi cerulei – e chiome grigie, un’educazione comme il faut e un eloquio raffinato ed elegante, oltre a una cultura non comune e fuori da qualunque gabbia scolastica, accomunano una bella novantenne e uno splendido quarantacinquenne. E vite, per entrambi, avventurose

Mariapia Frigerio

La padrona di Beniamino e il bel francese

In ricordo di Muci che ai primi di maggio, in silenzio, è partita

 

Lucca ha, tra le tante caratteristiche, quella di essere una città di approdi. Qui, infatti, approdano figure estranee alla realtà lucchese e, nello stesso tempo, capaci di diventarne parti integranti, di essere, proprio loro – così diverse dagli abitanti della tranquilla e conformista città murata –, talmente importanti da caratterizzarne la fisionomia, diventando figure più cittadine di quelle realmente cittadine.

Occhi azzurri – quasi cerulei – e chiome grigie, un’educazione comme il faut e un eloquio raffinato ed elegante, oltre a una cultura non comune e fuori da qualunque gabbia scolastica, accomunano una bella novantenne e uno splendido quarantacinquenne. E vite, per entrambi, avventurose.

Vita alla grande, per la signora, che, dopo un’infanzia dorata a Milano, sposa un nipote di Volpi di Misurata trasferendosi a Roma.

Vita alla grande, tra balli e mondanità.

Poi l’incontro fatale con la cultura e la politica, che si incarnano per lei nel giornalista Antonio Calvi, direttore per tre anni di «La voce repubblicana».

Da qui nuove nozze e nuove figlie. E, tutt’intorno, il clima inebriante de «Il mondo» di Pannunzio.

Da qui non più balli e mondanità, ma, invece, ore piccole spese in discussioni e dibattiti. Una nuova vita, dunque, per la nostra novantenne.

Ma gli amori e i matrimoni non sono eterni.

Così, dopo una separazione tumultuosa dal giornalista, ecco Maria Rachele (Muci per tutti), nata Giussani, sposata in prime nozze Berghinz e in seconde Calvi, giungere – tra una battaglia coniugale e l’altra – a villa Rossi a Gattaiola per trascorrervi lunghi periodi in compagnia dei suoi ospiti, Paolo e Giusi Rossi. Fino alla decisione – forse incoraggiata dagli stessi amici – di trasferirsi definitivamente nella città «dall’arborato cerchio».

Muci, 4 giugno 2007

E da un grande appartamento, in un antico palazzo, che si affaccia su piazza San Pietro Somaldi, la si può ora veder scendere e uscire dal vecchio portone col suo inseparabile, elegante bastone nero con in cima una testa di cagnolino argentata. Ma dove va la nostra amica? Chi vede e frequenta?

Va in libreria e si interessa di libri, tanto da essere la più vivace sostenitrice di Francesca Duranti nel seguire le vicende della Società dei Lettori, premio letterario cittadino fondato dalla figlia di Paolo Rossi più di vent’anni fa.

Va a trovare amici che, numerosi, è riuscita a crearsi nella nuova città in cui ormai vive da più di trent’anni e che con grande sollecitudine la invitano a pranzi e a cene.

In questi ultimi anni, però, forse un po’ stanca anche di questa nuova mondanità intellettuale, si circonda solo di quelli che lei chiama “i ragazzi”, ovvero cinquantenni che gravitano intorno al mondo della scuola e dell’università.

Persone anonime nel contesto cittadino, ma ricche di curiosità, di interessi e di racconti che s’intrecciano e si amalgamano, quasi, con quelli della vecchia amica: professori, presidi, lettori universitari.

Tra questi Patrice Lestournelle approdato pure lui dalla Francia a Lucca, una ventina d’anni fa, insieme con la sua compagna d’allora, la pittrice tedesca Kornelia Roth. Due ragazzi di buona famiglia in cerca di una vita alternativa in una città straniera. Eccoli così affittare una delle soffitte del palazzo Mazzarosa di via Burlamacchi, arredarla con oggetti originali (oltre a qualche pezzo di famiglia) – di loro creazione per lo più – e partire da lì, dopo aver sceso gli innumerevoli gradini, alla scoperta di questa città.

Patrice Lestournelle, 9 ottobre 2007

Una coppia diversa e fuori dal comune, capace di attrarre e conquistare tutti gli stranieri che vivono a Lucca. Li troviamo così, in breve tempo, in quel ristretto giro di intellettuali che si distingue in questa città ricca, borghese e bottegaia.

Ma anche la storia di Patrice e Kornelia finisce.

Lei, con la sua esuberanza, se ne torna in Germania.

Lui, nel suo dignitoso silenzio, risale gli innumerevoli gradini e rimane nella grande, spoglia soffitta.

Scrive di storia, collabora con l’università fiorentina, si interessa di questioni umanitarie cilene, ci “parla”, dalle pagine di un quotidiano locale, di personaggi lucchesi visti da uno straniero, offre il suo bel volto all’industria cinematografica, quando in città si girano film di un certo interesse.

E si riconosce per le vie di Lucca non per un bastone, ma per la sua pedalata veloce con cui attraversa le strette e contorte vie su una vecchia bicicletta che porta, montato sul portapacchi, una cassetta di legno.

Così come una testina argentata di cagnolino è l’attributo della Muci, una povera cassetta è quello di Patrice.

Ora la Muci, stanca di mondanità di qualsiasi tipo, e il bel Patrice, senza più impegnativi gioghi amorosi, si ritrovano ai pranzi di una “ragazza” insieme ad altri “ragazzi”.

Ecco allora la vecchia amica entrare e dire: «Metto Beniamino qui, se qualcuno mi offre un braccio!» appoggiando in un angolo dell’ingresso della casa sul Fillungo il suo elegante bastone, mentre, più pronto di altri, il nostro giovane amico francese si china su di lei con un gesto di affetto, in un abbraccio che confonde le chiome grigio-argentate dell’uno con quelle dell’altra.

Resta così in noi una domanda in sospeso, una domanda che mai potrà avere una risposta, mentre osserviamo questa scena che a ritmi regolari si ripete nel tempo: quale sarebbe stato il destino di queste due persone se i più dei quarant’anni che li separa non ci fossero stati?

Avrebbero unito, la Muci e Patrice, oltre alle loro identiche chiome, anche gli sguardi dello stesso azzurro-ceruleo, le voci garbate nel parlarsi in francese, e le loro parole sobrie ed eleganti?

Lucca, maggio 2010

Sono passati più di tredici anni dalla sua morte, ma mi piace ricordare che le feci d’autista per il Premio Società dei Lettori, portandola più volte a villa Rossi a Gattaiola; che l’accompagnai per visite mediche; che le diedi una chiave del cancello per accedere a casa mia da Corte della Neve (l’ingresso sul Fillungo aveva un portone troppo pesante per lei). Gliela misi in una scatolina dove ricamai una M a punto croce. La M di Muci e la M di Mariapia.
In uno degli ultimi Natali, l’aiutai a incartare tutti i suoi vecchi ed eleganti abiti, le cinture, le borse per le nipoti e le pronipoti. Erano pacchetti finta “arte povera”, fatti con carta di giornale o carta gialla e legati con spago.
Ne fu talmente felice che mi donò un battente, una deliziosa manina di bronzo, per quelle che lei definì «le mie abili manine».

In apertura, un battente a forma di manina di bronzo, donata da Maria Rachele Giussani, Muci, a Mariapia Frigerio

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