Saperi

La percezione della qualità

Si fa un gran parlare di cultura dell’olio e, di conseguenza, della qualità degli extra vergini e della raggiunta consapevolezza, da parte dei consumatori, nel percepire la qualità degli alimenti. E’ proprio così? In parte certamente sì

Luigi Caricato

La percezione della qualità

La cultura di prodotto oggi esiste, lo dimostrano le tante attenzioni e gli eventi che si susseguono l’un l’altro. Anche la qualità degli oli che si acquistano è un dato altrettanto certo, inoppugnabile. E’ migliorata la tecnologia, alla pari dell’impegno nell’ottenere in campo una buona materia prima da cui estrarre l’olio. Così anche la percezione della qualità, altra conquista da parte del consumatore: oggi i consumi di extra vergine si sono incrementati. Tuttavia, qualche riserva è giusto manifestarla.

La cultura dell’olio. Questa dovrebbe ancora irrobustirsi un po’, perché il conoscere di più, rispetto al passato, non significa come tale saperne a sufficienza. Intanto c’è da dire che i produttori non leggono: sono restii a possedere una propria personale biblioteca inerente agli oli di oliva, perché credono di sapere tutto, e soprattutto non ritengono importante dotarsi di libri sull’argomento, anche solo per collezionarli, visto che hanno comunque a che fare con l’olivo, le olive e l’olio.
Nemmeno i consumatori, e men che meno i fruitori professionali del prodotto, si impegnano ad acquisire una cultura, seppure a carattere generale, come invece avviene all’estero.

La qualità. Anche qui, il passaggio dalla produzione di olio lampante, di scarsissima qualità, a un prodotto che si possa fregiare della classe merceologica degli oli extra vergine di oliva, è un dato in buona parte acquisito. Ma non basta, oggi si deve puntare all’eccellenza:

– primo, perché i consumi alimentari moderni richiedono una minore quantità di grassi da assumere nella dieta, ma nello stesso tempo tali grassi dovranno essere in ogni caso di maggiore pregio nutrizionale e organolettico, più buoni, dunque, ed efficaci al gusto e anche sul piano salutistico;

– secondo, perché solo lavorando alla costruzione di un prodotto di altissima qualità sarà possibile fronteggiare la temibile concorrenza degli altri Paesi produttori. Ma non basta, la grande sfida oggi è produrre una qualità anche per tutti, democratica, cui tutti possano accedere senza dover sopportare un aggravcio di spesa.

La percezione della qualità. Questa ha conosciuto negli ultimi due decenni un notevole passo in avanti, con qualche “ma”, che va qui precisato. In molti ritengono infatti che sia la semplice dicitura di extra vergine a rendere un prodotto, di per se stesso, di qualità: non è così. Occorre ancora far acquisire al consumatore un passaggio ulteriore: c’è qualità e qualità. Un conto è quella merceologica, stabilita dal legislatore, altro conto invece la qualità oggettiva, quella per esempio riconosciuta da un panel di degustatori professionisti. Ecco, perciò: manca, nel mondo dell’olio, un percorso di valorizzazione che miri a far conoscere gli esatti confini della qualità. Soprattutto manca quella ch’è la differenziazione delle molteplici qualità prodotte nei vari territori di produzione. Un lavoro, quest’ultimo, che non è stato fatto da chi in particolare gestisce i consorzi degli oli extra vergini di oliva a denominazione di origine protetta, tranne per qualche rara, rarissima eccezione. La cultura della differenza ci permette di capire e apprezzare al meglio la reale bontà di un prodotto, quella corrispondente alla zona specifica di produzione, al di là di ogni pregiudizio.

I consumatori, invece, continuano a preferire – direi: purtroppo – oli che si configurano in genere in un profilo sensoriale uniforme, tendenzialmente dolce al palato, comunque con una bassa o nulla percezione dell’amaro e del piccante. I consumatori continuano tuttora a percepire la nota piccante come se fosse l’acidità di un olio, quindi un difetto; ignorando, invece, quanto sia importante la percezione del piccante, anche se solo lieve, nell’evidenziare la freschezza e bontà dell’olio stesso. Insomma, c’è molta strada ancora da fare; e per farla occorre lavorare sodo e bene. Pensate, per esempio, a come in Spagna siano addirittura gli stessi produttori – dopo aver conferito le olive alle cooperative – a comperare per sé, per il consumo familiare, non l’olio extra vergine di oliva, ma l’olio di oliva, un prodotto che non è certo paragonabile al primo. Eppure questa anomalìa si verifica, e questo lo evidenzio a dimostrazione di come l’acquisizione di una reale cultura dell’olio sia ancora una conquista da fare. Pensate, per esempio, a quelle zone – anche in Italia, non stupitevi – in cui ancora si produce olio lampante, da olive raccolte a terra, quindi in diversi casi guaste e sicuramente sovrammature. Ebbene, in certe zone di produzione, si continua a consumare direttamente l’olio lampante, tanto che di fronte a un extra vergine, accade addirittura che il consumatore di quell’area preferisca di gran lunga proprio l’olio lampante, ritenendolo perfino più buono, perché più dolce. E’ l’abitudine, proprio così, ma la percezione della qualità è evidente che sia in tal caso viziata dall’origine. Insomma, c’è da studiare, tanto da studiare: di libri sull’argomento ve ne sono tanti, occorre scegliere quelli con contenuti validi; mai affidarsi al già detto.

E poi, non dimentichiamoci, il consumatore va sempre accontentato. Vuole l’olio dolce, non gli si neghi l’olio dolce, ma portandolo pian piano verso l’olio dalle caratteristiche di maggior pregio, facendo apprezzare l’amaro e il piccante, ma senza forzare la mano. Il passaggio deve sssere graduale. E, in ogni caso, nessuno pensi di considerare l’olio dal gusto delicato e dalla sensazione dolce un olio necessariamente di seconda serie. Il “dolce”, caratteristica che denota una minore percezione dell’amaro, non è di per sé una sensazione da bocciare. La grande sfida, oggi, è ottenere oli dall’impatto iniziale dolce e con amaro e piccante progressiovi e armonici in chiusura, ben equilibrati.

La qualità e la percezione della qualità, è su questa nuova visione dialettica che occorrerà concentrarsi. Una qualità oggettiva che non viene percepita come tale è una qualità senza mercato.

Questo testo, inserito nella rubrica “Amarcord”, riprende un articolo di Luigi Caricato del 2005, rubrica “Terre dell’Olio”, pubblicato all’interno della rivista “Terre del Vino” e oggi riproposto con qualche piccola integrazione (gli utlimi due capoversi). La foto di apertura è di Alberto Martelli

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