Saperi

La rivoluzione dei Barolo Boys

Un film di Paolo Casalis e Tiziano Gaia. Narra la storia di un gruppo di amici, i “ragazzi ribelli” che hanno reso grande il vino italiano, tra conflitti generazionali, geniali intuizioni e polemiche mai sopite. La scintilla da cui tutto ebbe inizio? Quando Elio Altare con la motosega demolì le vecchie botti del padre

Olio Officina

La rivoluzione dei Barolo Boys

E’ una produzione Stuffilm Creativeye. Il film dura 64′ e racconta un mondo, quello del Barolo. Da qui il titolo di barolo Boys. L’ambientazione è nelle Langhe, nel Piemonte meridionale. L’anno: il 1983. C’è Elio Altare, oggi celebrato vignaiolo, riconosciuti tra le autorità su cui non si discute. E’ stato un giovane contadino stanco delle proprie misere condizioni di vita. La scena è di quelle forti: scende in cantina. E’ la cantina del padre. Un gesto di irriverenza e rottura. Con una motosega demolisce le vecchie botti, quelle destinate all’affinamento dei vini. Tutto parte da qui, da questo gesto dissacratore.

È, per tutti, la scintilla. Quella che appicca il fuoco rivoluzionario sulle colline del Barolo. Protagonista è la gente di campagna. Una nuova generazione di piccoli produttori che intende cambiare volto alla propria terra, ma senza tradirla. Erano partiti con scarsi mezzi, ma animati da uno spirito di squadra. Andarono alla conquista dei mercati di tutto il mondo. E lo conquistarono.

Il gruppo dei vignaioli storici della grade svolta ancora è al centro delle attenzioni dell’Italia enoica, e in ogni angolo del mondo ne riconoscono la bravura. Il gruppo dei rivoluzionari del vino passerà alla storia con l’appellativo di “Barolo Boys”. Sono Elio Altare, Chiara Boschis, Giorgio Rivetti, Roberto Voerzio e Marco de Grazia, alcuni tra i protagonisti di questa svolta. E’ una storia di coraggio e determinazione che ora è diventata un lungometraggio.

Non è stata una storia facile, più facile è raccontarla. Quando si volta pagina non sempre si incontro il favore di tutti. La loro è anche una storia controversa, complessa, comunque difficile. Per anni – si legge nella presentazione del film – una feroce guerra ideologica li ha visti contrapporsi alla generazione dei patriarchi, i fieri oppositori delle novità introdotte dai figli ribelli della Langa.

I figli ribelli, appunto. Lo stesso Elio Altare, il leader dei “modernisti” è stato diseredato dal padre. Ora, a distanza di quasi trent’anni, ci si chiede cosa resti di quell’esperienza.
La domanda che uno dei protagonisti del film si pone estende l’interrogativo a tutti, perché tutti sono chiamati a darsi una risposta: “Quale rivoluzione ha mai avuto successo?”

Barolo Boys. Storia di una Rivoluzione”, il film di Paolo Casalis e Tiziano Gaia, traccia la parabola, breve ma intensissima, di un gruppo di produttori che ha cambiato in modo indelebile il mondo del vino. Nel film vi sono gli interrpreti veri, con i loro volti, i loro gesti, le loro parole. Sono Elio Altare, Chiara Boschis, Marco de Grazia, Giorgio Rivetti, Roberto Voerzio, ma non solo loro. C’è anche la partecipazione del fondatore e presidente di Slow Food Carlo Petrini, oltre che del presidente di Eataly Oscar Farinetti. E’ la risposta italiana, che finora amcava, ai tanti film sul vino realizzati da altri Paesi produttori. La voce narrante del film? Joe Bastianich.

Nella nota di presentazione del film ci sono spunti interesanti. La storia del Barolo – si legge – non è datata come quella della Borgogna. L’epopea di questo vino e del suo vitigno-padre, il nebbiolo, affonda le radici in pieno Risorgimento italiano e ha per protagonisti alcuni dei personaggi più in vista del periodo, Carlo Alberto e Camillo Cavour su tutti. Nel Novecento fioriscono importanti aziende di vinificazione. Non sono ancora le cantine di oggi, sono piuttosto ditte che acquistano ingenti quantitativi di uva dai contadini e la vinificano, immettendo sul mercato vini col proprio marchio. Intorno a loro si muove una cerchia di mediatori, sensali, acquirenti e venditori, fino ad arrivare al “particolare”, il piccolo contadino senza voce in capitolo. Resta un mondo chiuso. E il Barolo non si vende. Commercialmente parlando, negli anni Settanta non si va oltre le mille lire al litro e spesso nelle cascine si omaggia una bottiglia di Barolo al cliente che abbia comprato una damigiana di Dolcetto. Bisognerà appunto attendere un’irripetibile serie di coincidenze per vedere il Barolo spiccare il volo oltre i confini di Langa ed entrare così nel novero dei grandi vini internazionali.

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