La straordinaria opera dei pionieri della sanità nella prevenzione delle epidemie
Vi fu un lavoro immenso, svolto tra grandi difficoltà, in un clima di terrore, miseria e morte, nell’ignoranza di un nemico invisibile e implacabile. Eppure, quel che maggiormente importava era la capacità organizzativa, amministrativa e di controllo, sia sulla professione medica che sulle condizioni igieniche in ambiti sempre più ampi della vita comunitaria. Al di là di differenze politiche o contrastanti interessi economici, ci si scambiava regolarmente dettagliate informazioni sanitarie
Nell’introduzione al bel volume Contro un nemico invisibile. Epidemie e strutture sanitarie nell’Italia del Rinascimento (Il Mulino, 1985), lo storico Carlo M. Cipolla narra per grandi e sintetiche linee la vicenda della creazione e dello sviluppo delle Magistrature della Sanità. Il tutto avvenne nell’Italia centro-settentrionale tra la metà del Trecento (in occasione della pandemia di peste del 1347-51) e i primi del Cinquecento.
Quegli istituti eccezionalmente avanzati di organizzazione sanitaria furono poi smantellati nel corso del Settecento. Per ragioni tuttora poco chiare la peste scomparve e la filosofia politica del momento considerò con crescente ostilità le interferenze dello stato nella vita e nel funzionamento della società. Ma quegli istituti e quelle pratiche furono “riscoperti” nel secolo XIX, questa volta però in Inghilterra e in Francia, e furono alla base degli sviluppi moderni dell’organizzazione sanitaria.
È del 30 marzo 1348 la delibera del Maggior Consiglio di Venezia che istituisce una commissione temporanea per fronteggiare la peste. Ma già venticinque anni più tardi si passa all’istituzione di una magistratura permanente. Si eleggevano ogni anno in Senato tre nobili cui si dava titolo e carica di Provveditori alla Sanità. Gli eletti non potevano rifiutare l’incarico.
Anche a Firenze si incominciò con misure di emergenza per giungere nel 1527, sotto l’incalzare di un’altra epidemia di peste, all’istituzione di una Magistratura permanente composta di cinque ufficiali «e quali non possino in alcun modo rifiutare ne’ allegare exceptione o privilegio alcuno per excusarsi da tale ufficio».
Milano fu risparmiata dalla peste nel 1348, ma fu duramente colpita nel 1399-1400. In tale occasione il Duca Gian Galeazzo Visconti nominò il suo Vicario Generale, Johannis de Roxellis, Commissario speciale per la Sanità. Ma già nei primi decenni del Quattrocento, dunque decisamente in anticipo sugli sviluppi analoghi a Venezia e Firenze, il Ducato milanese ebbe una magistratura permanente per i problemi igienico-sanitari.
La storia del Magistrato della Sanità di Genova è ancora tutta da scrivere. Sappiamo che nel 1449 esisteva un ufficio «ad preservandam sanitatem» ma non ne conosciamo né la struttura, né le caratteristiche.
La denominazione “magistratura” derivava dal fatto che, all’epoca, non esisteva la divisione dei poteri tra l’esecutivo, il legislativo e il giudiziario. Un Ufficio di Sanità era quindi una struttura che aveva non solo il potere di emanare leggi, bandi e decreti, ma anche di convocare in giudizio i trasgressori, condannarli e comminare pene, procedere agli arresti e all’esecuzione delle pene. Non a caso tali Uffici avevano propri sbirri e addirittura proprie prigioni.
Anche in altre città italiane si potevano trovare uffici provvisori per affrontare le emergenze epidemiche. Ma la differenza tra strutture emergenziali e Magistrature permanenti non era di natura meramente amministrativo-burocratica. Come dicono espressamente i documenti del tempo, l’istituzione e il mantenimento di un Ufficio permanente erano espressione del maggiore peso dato all’azione preventiva. Una delle misure che le Magistrature sanitarie permanenti presero all’epoca fu, ad esempio, la regolamentazione dell’affollamento delle abitazioni dei poveri e quella degli scarichi delle case. Per questo tali strutture rappresentano un capitolo estremamente rilevante nella storia della medicina e della pubblica igiene.
Quando i viaggiatori stranieri venivano in contatto con le istituzioni di Sanità italiane non ne comprendevano il vero significato. Tipico è il caso della “bolletta di Sanità” o passaporto sanitario che era pratica comune negli Stati dell’Italia centro-settentrionale almeno dalla seconda metà del Quattrocento, ma era sconosciuta in buona parte d’Europa. Montaigne era convinto che servissero soltanto a spremere “quelque quatrin” dalle tasche dei viaggiatori.
C’è un aspetto molto importante che vale la pena sottolineare. L’abbondante documentazione superstite lascia intendere abbastanza chiaramente che il sorgere e lo sviluppo degli Uffici di sanità e della relativa legislazione non furono opera della professione medica, quanto piuttosto dell’efficiente ed evoluta tradizione amministrativa degli stati italiani del Rinascimento. Lo stato maggiore delle Magistrature della Sanità era esclusivamente o prevalentemente composto da amministratori – comuni cittadini fino al Cinquecento, nobili in seguito – che non avevano nulla a che fare con gli studi o con la professione medica. Quello che maggiormente contava nella scelta delle persone era la capacità organizzativa, amministrativa e di controllo, sia sulla professione medica che sulle condizioni igieniche in ambiti sempre più ampi della vita comunitaria: dai mercati alimentari alla destinazione dei rifiuti umani, animali e industriali; dalle risaie alle sepolture; dal mendicantato alla prostituzione.
Presto ci si rese conto anche che l’opera di un Magistrato della Sanità acquisiva molto maggior senso e valore se coordinata ed in collaborazione con l’opera delle Magistrature di altri Stati italiani. Al di là di differenze politiche o contrastanti interessi economici, i vari uffici si scambiavano regolarmente dettagliate informazioni sanitarie. Spesso vi erano richieste reciproche di consigli. Con garbo ma con decisione, alcuni uffici premevano su altri per indurli a controlli o a misure più drastiche. Fu grazie a questa reciproca collaborazione che i passaporti sanitari acquisirono notevole diffusione e importanza.
Un lavoro immenso svolgevano dunque quelle strutture pioneristiche, in mezzo a grosse difficoltà, in un clima di terrore, di miseria e di morte, nell’ignoranza di un nemico invisibile e implacabile, tra le resistenze dei potenti, la superstizione del popolo e del clero, la incomprensione, la critica e la ostilità dei più.
I benefici di tutta quella attività furono sproporzionatamente ridotti rispetto ai costi. Del resto, se un nemico è sconosciuto e invisibile, è inevitabile battersi alla cieca, sprecare energie e risorse e magari prendere anche misure controproducenti. Ma la gran mole della documentazione esistente negli archivi dimostra che quegli amministratori si spesero con generosità e senza riserve.
In apertura, miniatura di Pierart dou Tielt per il Tractatus quartus di Gilles li Muisit (Tournai, 1353 circa). I cittadini di Tournai seppelliscono le vittime della peste nera
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