Saperi

Noi tre

Narrazioni. C’è un momento, ho sempre pensato, in cui l’amore viene premiato. Questo momento è arrivato. Lui, lei ed io… Saremmo stati bene, noi tre. Se non fosse stato per la vostra follia, vi avrei avuti entrambi qui

Mariapia Frigerio

Noi tre

Ero felice.
Mi piaceva stare in città e mi piaceva prendere il sole, appena potevo, sul terrazzino. Ma, soprattutto, mi piaceva vivere con lei.
Mi piaceva la nostra totale sintonia: lei che scriveva e io lì, sempre vicina.
Del resto ho sempre amato la carta, qualunque tipo di carta: di quotidiani, di libri, quella per appunti e quella per bozze.
Poi ci accomunava l’essere entrambe selvagge.
Lei se n’era andata, un giorno.
Io sovente me ne andavo. Ma le mie fughe avevano sempre un ritorno.
Anche lei un giorno era tornata.
Ed era tornata da lui.
Aveva lasciato la città per la campagna.
Io l’avevo seguita.
Poi lei se n’era andata di nuovo.

Io, quella volta, non me n’ero andata con lei ed ero rimasta con lui.
Continuavo ad amare la carta, anche se ora la carta, era quella di lui.
Mi piaceva molto stargli accanto quando leggeva e, appena potevo, mi sedevo sulle sue gambe.
Lui non voleva.
E neppure voleva che io stessi a tavola con lui.
«Un uomo anaffettivo» avrebbe detto lei.
Non l’ho mai creduto.
Rigido, sì. Metodico, pure. Con una vita programmata minuto per minuto, anche, ma, sicuramente, con un cuore.
Mi scacciava, è vero, ma poi quando tornavo, mi accarezzava.
Io però non cambiavo e sovente ero in fuga anche da lui.
Amavo soprattutto uscire la sera.
Lo so, ho sempre saputo che a lui non andava.
Eppure, nonostante il suo disappunto, mi lasciava una luce accesa all’esterno perché non corressi rischi e per agevolare il mio rientro.
E non tralasciava mai di dirmi brava quando, a notte fonda, mi rivedeva comparire.
A me piaceva che mi aspettasse.
Mi piaceva talmente che avrei voluto dormire con lui…
Ma c’erano sempre le sue dannate abitudini da rispettare.
E lui, da una vita, dormiva solo.
Mi accontentavo allora di sdraiarmi sul suo letto quando lui non c’era.
Mi bastava – o mi facevo bastare – il suo calore: il calore del suo corpo aveva un effetto terapeutico per me.

Nessuno ha mai pensato che io avessi sofferto nella decisione di scegliere lui. D’altronde la mia compagnia era diventata un peso nelle continue fughe di lei. Ma, per molto tempo, io non ho fatto altro che pensarla, che sognarla.
Quando stavo ore a guardare fuori dalle lunghe finestre, nessuno ha mai pensato che io aspettassi lei, che sperassi, da un momento all’altro, di rivederla comparire.
Purtroppo ci accomunava un orgoglio sfrenato e anch’io, come lei, non facevo mai il primo passo…
Certo mi pesava quando mi sentivo dire che ero, come lei, un’aristocratica e un’intellettuale e che la mia convivenza con lei mi aveva rovinata.
Non sono un’aristocratica, anche se non vado col primo venuto.
Non sono un’intellettuale, anche se adoro la carta.
Come potrebbe esserlo, poi, una come me?
Ma capire capisco e, anche, soffro.
Lui no, però. Per quanto avesse uno strano rapporto con lei, non si sarebbe mai permesso di insultarla e, di conseguenza, di insultarmi.
E forse è stato proprio questo suo rispetto per lei a farmi iniziare a vivere per lui.

So di avere un carattere scontroso.
So anche di avere una mia totale autonomia.
Eppure ora ho la certezza di avere bisogno di lui.
Ho ora la certezza di essere felice con lui, così come un tempo sapevo di esserlo con lei.
E so che ora anche lui ha bisogno di me.

…………………….
…………………….
No, non doveva succedere adesso.
Non doveva.
Rimpiango la sua freddezza apparente, il suo distacco, oggi che io, anche se volessi, non potrei più andare nel suo letto…
Oggi che invece è lui a venirmi a salutare nel mio.
Viene a controllarmi, è chiaro. Ripete il mio nome. Mi chiama. Mi accarezza.
Io lo lascio fare.
Zitta.
Solamente mi allungo, per quanto mi è possibile, al tocco delle sue dita.
E le sue dita sfiorano le ossa della mia schiena.
Vorrei offrirgli la mia pancia, fargli toccare ancora un po’ della mia carne, ma non ho più forze.
Me ne resto, così, immobile a lasciare che le sue lunghe dita sfiorino la poca pelle che ancora mi ricopre.

C’è un momento, ho sempre pensato, in cui l’amore viene premiato.
Questo momento è arrivato.
Lui mi ama. Lo so.
Io amo lui. So anche questo.
Lo guardo intensamente, ora, quando mi accarezza.
E sono disperata…
Non voglio lasciarlo… non voglio!
Eppure so che tra breve accadrà.

E lei? Quando lo saprà? Se non se ne fosse andata…
Io avrei potuto essere un legame per loro…
Lui, lei ed io…
Saremmo stati bene, noi tre.
Noi tre e le nostre vecchiaie.
Vecchi pazzi!
Se non fosse stato per la vostra follia, vi avrei avuti entrambi qui.
Qui in questo momento.
Qui entrambi per me.
Ma ora non penso a me e neppure troppo penso a lei.
Ora penso a lui.
Non soffro per me. So bene quello che mi aspetta.
Soffro pensando a lui senza di me.

Sono stanca. Non ce la faccio più.
Resisto, sì, ma è solo per lui.
Dormo sempre tra le mie carte. Sempre con Repubblica al fianco.
Sempre sullo strano materasso che lui, già da tempo, ha fatto per me: un materasso di quotidiani… di quotidiani uno sull’altro.
L’ha fatto per me.
L’ha fatto perché mi ama, è evidente.
Sa che amo la carta, anche se in vita mia non ho scritto neppure una riga…
Vorrei saperlo fare ora, però, per scrivere quello che sento per lui.
Ma non è possibile, lo so.
Glielo dirò, allora, con un filo di voce.
Con l’ultimo che mi resta.
E sarà, il mio, un miagolio d’amore.
L’ultimo miagolio della sua gatta.

Lucca, 8 dicembre 2008

La foto di apertura è di Mariapia Frigerio

Per commentare gli articoli è necessario essere registrati
Se sei un utente registrato puoi accedere al tuo account cliccando qui
oppure puoi creare un nuovo account cliccando qui

Commenta la notizia