Saperi

Non gradito a Coldiretti

Il nostro sguardo rivolto al passato ci aiuta a capire la situazione dell'agricoltura italiana oggi. Partiamo per esempio dalla nomina di Giovanni Marcora a ministro dell’Agricoltura dal 1974 al 1980. È stata una personalità che per spessore morale, storia politica e sensibilità culturale non poteva certo essere accettato di buon grado

Alfonso Pascale

Non gradito a Coldiretti

Un frutto degli sconvolgimenti che hanno investito le campagne italiane è stata la nomina di Giovanni Marcora a ministro dell’Agricoltura dal 1974 al 1980. Una personalità che per spessore morale, storia politica e sensibilità culturale non è gradita alla Coldiretti. Figlio di un macellaio che gestiva anche un appezzamento di terra e un piccolo allevamento a conduzione familiare, Marcora aveva conseguito il diploma di geometra, trovando lavoro in una impresa di costruzioni.

La Resistenza. Aveva partecipato alla Resistenza nelle Divisioni di ispirazione cattolica “Alto milanese” e “Valtoce”, svolgendo l’incarico di vice comandante militare e assumendo il nome di battaglia “Albertino”. La sua era stata una scelta morale prima ancora che politica, “dettata – come dirà successivamente – dal dovere di non lasciare il proprio futuro nelle mani di altri e di costruire il domani del nostro Paese”. Durante quella intensa esperienza di lotta sulle montagne lombarde, aveva stabilito un intenso rapporto di amicizia con don Primo Mazzolari, splendida figura del cattolicesimo democratico, e con Enrico Mattei, considerato il capo dei partigiani democristiani, che creerà e dirigerà l’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI). Dopo la liberazione, Marcora aveva svolto un importante lavoro organizzativo in favore dei partigiani e delle varie associazioni resistenziali. Si era preso cura, tra l’altro, di creare ogni anno a Capranica, in provincia di Viterbo, una colonia estiva per i figli di partigiani bisognosi.

La “Base”, una corrente politica di trentenni. Successivamente aveva fondato la “Base”, un’aggregazione politica che diventerà una corrente all’interno della Dc. L’intento era quello di coprire il vuoto lasciato da Giuseppe Dossetti, che aveva abbandonato la politica attiva per seguire la sua vocazione religiosa. La “Base” era un raggruppamento che voleva recuperare le tematiche del welfare e delle riforme, coinvolgendo i socialisti nella definizione di nuove prospettive per l’espansione della politica e dell’economia. Un raggruppamento espressione di forze giovanili – i suoi primi esponenti avevano quasi tutti meno di trent’anni – che intendeva trasformare la Dc da partito di fatto fondato sull’obbedienza dogmatica alle gerarchie ecclesiastiche e sull’anticomunismo in un partito aconfessionale, socialmente avanzato e aperto al dialogo con forze diverse. Marcora era legato culturalmente a Ezio Vanoni, di cui condivideva gli obiettivi sociali, quali la lotta alla disoccupazione, nonché il superamento di privilegi e ingiustizie. Con Aldo Moro aveva, invece, costruito un dialogo politico fondato sulla condivisione dell’apertura a sinistra come soluzione della crisi politica.

La legge sull’obiezione di coscienza. Senatore per quattro legislature, aveva promosso e fatto approvare la legge sull’obiezione di coscienza, che da lui prende il nome, volendo collegare i valori morali degli obiettori ai valori resistenziali. S’inseriva così nel solco di una mobilitazione civile che aveva annoverato, tra i massimi protagonisti, don Lorenzo Milani. E si era battuto per aprire la Dc alla collaborazione coi comunisti, attirandosi perciò il giudizio fortemente critico dei conservatori, tra cui Bonomi.

L’Europa prima di tutto. Marcora è, dunque, il primo ministro dell’Agricoltura non solo non riconducibile alla Coldiretti ma collocato politicamente e culturalmente molto lontano dalle sue posizioni. E la novità appare immediatamente nei primi atti di governo, in cui vengono posti al centro l’Europa e la capacità dell’Italia di essere protagonista nell’arena comunitaria.
Nel secondo semestre del 1976 Marcora svolge con grande dinamismo e accortezza la funzione di presidente di turno dei ministri agricoli della Comunità europea. Egli è convinto che il processo di costruzione di un’”Europa verde” abbia perso la spinta e la forza iniziali. “La PAC – annota il ministro – è diventata più una politica di tutela degli interessi che d’innovazione, più un tentativo di salvaguardare quello che sinora si è realizzato che un’azione di miglioramento degli strumenti operatori utilizzati”. E tuttavia proprio la crisi economica lo spinge a non lasciarsi incantare dall’idea di un impossibile ritorno all’autarchia e a confermare, invece, la scelta strategica dell’integrazione europea da realizzare con equità. La sua preoccupazione prevalente diventa, dunque, quella di accompagnare l’allargamento della Comunità europea alla Grecia, alla Spagna e al Portogallo guardando in modo più specifico l’impatto di tale processo nell’area del Mediterraneo e non solo all’Europa nel suo complesso. Presta, inoltre, particolare attenzione alle politiche strutturali che si stanno predisponendo e fa osservare ai suoi colleghi europei che “le situazioni disparate che contraddistinguono i 9 Paesi alla linea di partenza impediscono oggi di aderire senza riserve ad uniformi programmi di sviluppo”. Marcora cerca di costruire convergenze soprattutto con la Gran Bretagna, nazione rimasta fuori dalla Cee, con la speranza di sviluppare una politica regionale europea a favore delle regioni meno sviluppate e di imporre un taglio diverso alla PAC. La sua attività di governo è accompagnata da una capacità di dialogo diretto e costante con gli agricoltori, che il ministro incontra in tantissime iniziative nelle diverse aree del Paese. Segue con particolare attenzione il processo di rinnovamento che si avvia nelle organizzazioni agricole di sinistra. Sicché, forse anche per uno stato di necessità, la Coldiretti e la Confagricoltura superano l’iniziale freddezza e stabiliscono con Marcora un proficuo dialogo.

La politica ambientale. Sul piano interno il ministro avvia una riflessione sui problemi ambientali, mostrando una capacità fuori dal comune – tra i politici del suo tempo – di anticipare temi che diventeranno centrali nei decenni successivi. Commissiona studi sull’inquinamento delle acque, predispone il censimento delle zone umide, amplia i confini dei Parchi nazionali del Circeo, dello Stelvio, del Gran Paradiso,dell’Abruzzo e della Calabria. Istituisce, inoltre, dieci nuove riserve naturali, rivede la disciplina della caccia e rafforza gli interventi in difesa dei boschi dagli incendi. Interviene, infine, all’Accademia dei Georgofili sul tema delle terre abbandonate e marginali, che al Censimento del 1971 erano risultate estese per oltre due milioni di ettari, quasi l’8 per cento della superficie agricola totale.

La ricerca. I problemi della ricerca sono un suo pallino; e così il ministro riordina il settore della sperimentazione agraria, all’insegna della centralizzazione, per cogliere meglio le potenzialità produttive delle zone di montagna e di collina, non solo per accrescere i redditi agricoli ma anche per regolare il rapporto tra aree montane e aree di pianura dal punto di vista idrogeologico.

Il programma agricolo dei governi di solidarietà nazionale. Dopo le elezioni politiche anticipate del 1976, il presidente incaricato Andreotti conferma Marcora al ministero dell’Agricoltura e ottiene il consenso della “non opposizione” comunista su di un documento in cui sono indicati alcuni provvedimenti innovativi da varare: costituzione delle associazioni dei produttori, nuove norme sulla cooperazione, riordino dell’Aima, riforma della Federconsorzi, per farne una cooperativa aperta a tutti i produttori. L’anno successivo il ministro avvia il primo tentativo serio di programmazione nel settore agricolo, proponendo e facendo approvare dal Parlamento la legge Quadrifoglio. E dopo aver costruito una solida intesa con il governo francese e con l’insieme delle organizzazioni agricole italiane, porta a casa il Pacchetto Mediterraneo, nonché alcune misure per il rimboschimento delle regioni aride del Mezzogiorno e i servizi di assistenza tecnica per le imprese agricole.
Tali provvedimenti, unitamente alla manovra sui prezzi agricoli basata sulla svalutazione della “lira verde”, contribuiscono a mutare a favore dell’Italia le ragioni di scambio della produzione agricola e consolidano la posizione dell’Italia in Europa. Affermano, inoltre, la necessità di una programmazione in agricoltura, basata sull’intervento dello Stato da coordinare con le istituzioni locali in sintonia con l’Europa. E introducono per la prima volta un modo di intendere i rapporti tra il ministero e le organizzazioni di categoria non più nei rigidi schemi della “guerra fredda”, ma nella logica di “fare sistema”.

L’esclusione dal governo. Con la sua iniziativa riformista, il ministro si attira l’opposizione di settori non marginali della burocrazia statale. Ed è per questo motivo che, quando nel 1980 viene varato il governo Forlani, la sua esclusione non appare affatto una sorpresa. Le reazioni più critiche alla sostituzione di Marcora al ministero dell’Agricoltura non vengono solo dai comunisti, ormai passati all’opposizione, ma anche dall’Europa.
Il vice presidente della Commissione europea, Francois-Xavier Ortoli così commenta il ricambio: “Solo l’Italia, credo, sa offrirsi il lusso di lasciar fuori dalla direzione del Paese un uomo di quella competenza”.
Gli aspetti positivi dell’azione di governo svolta da Marcora sono, pertanto, indubitabili. E tuttavia non si può non rilevare anche che tale azione non incide sulla struttura dei rapporti tra i Paesi europei e non muta il carattere prevalentemente difensivo della nostra politica agricola.
L’uomo politico lombardo resta, comunque, la figura istituzionale che più delle altre comprende il senso delle trasformazioni culturali, politiche, economiche e sociali che avevano investito l’agricoltura e compie un tentativo serio per farvi fronte.

Per un approfondimento del tema, si consiglia la lettura del volume Radici & gemme, di cui è autore Alfonso Pascale, per le edizioni Cavinato.

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