Saperi

Olivagione al femminile

La galleria fotografica che potete ammirare è di Stefano Triulzi. Le olive sono tutte di cultivar Taggiasca, proprietà di Ivano Brunengo. Siamo in Liguria. La donna che vedete, intenta a raccogliere i preziosi frutti che si tramuteranno in olio, non è una olivicoltrice ma un’antropologa del cibo: Giulia Ubaldi. "Vivere l’emozione della raccolta, è questo che ci permette di capire cosa sia e quanto valga una materia prima così fondamentale qual è l’olio ricavato dalle olive

Luigi Caricato

Olivagione al femminile

Avete letto bene. Giulia Ubaldi è un’antropologa del cibo.

Può sembrare strano? No, nn lo è affatto. “Perché – sostiene – un antropologo non può non interrogarsi sulla biodiversità in quanto etica professionale e deontologia, in quanto strenuo assertore del relativismo culturale e della pluralità? Il mio lavoro consiste principalmente in quattro parti”.

“La prima – dice – è la ricerca antropologica che continuo a svolgere in alcune aree meno note di un’Italia più sommessa, quali Cilento, Valli Bergamasche, Lunigiana, Basilicata, Liguria interna, Aspromonte.

“La seconda – prosegue – è la scrittura di temi legati al cibo da un punto di vista culturale, sia in libri come La Fenomenologia della Polpetta, Il Fagiolo di Mandia, Pasta il primo piatto, Management della ristorazione, che in articoli per La Cucina Italiana, Il Giornale del Cibo, Scatti di Gusto, L’Espresso, 1820 Magazine”.

“La terza – incalza – è l’insegnamento di Antropologia culturale e del cibo presso la Food Genius Academy di Milano e di Educazione al gusto alla Fondazione Ikaros di Grumello del Monte, in provincia di Bergamo”.

“La quarta, infine, è l’attività di consulenza nella ristorazione, che mi porta sempre a cercare ciò che può differenziare rispetto agli altri, anche perché in fondo tutti abbiamo bisogno di distinguerci e di essere distinti. In generale cerco di recuperare la singolarità dei casi concreti e delle storie individuali, attraverso i racconti autobiografici delle persone e dei loro vissuti quotidiani. Infatti un antropologo non raggiunge mai un’oggettività in quello che scrive, sia per la natura stessa della disciplina, sia per l’influenza dei soggetti, anche se queste alterazioni fanno parte della veridicità ricercata dall’antropologia stessa. Dunque il mio lavoro finisce per essere un movimento continuo e perpetuo verso l’altro, uno spazio da percorrere in cui ci si può perdere oppure fermare e prendersi il tempo per capire che cosa sono queste mete raggiunte e questi luoghi scoperti agli occhi di chi li vive tutti i giorni. E così l’antropologia diventa magia e ogni racconto assume l’aspetto di un percorso unico. Nel settembre del 2017 ho ritirato il premio Ritratti di Territorio Antropologia e Cibo”.

Ora, dopo questa lunga premessa, passiamo alle foto. La galleria di immagini che potete ammirare recano la firma di Stefano Triulzi.

Gli olivi sono tutti della tanto celebrata cultivar Taggiasca. Dici Taggiasca e pensi subito alla Riviera Ligure. Sono alberi di proprietà di Ivano Brunengo, una persona speciale, secondo la Ubaldi, molto legata alla sua terra d’origine, grande conoscitore del mondo dei sensi, che da anni porta avanti la coltivazione di ulivi e vigne (Orneasco e Pigato) della sua famiglia.

La scena di un’antropologa tra gli ulivi fa riflettere. Perché siamo abituati a concepire la donna come marginale, ma non è così. Il ruolo delle donne nell’olivicoltura è stato sempre centrale, e anzi, sarebbe più corretto dire fondamentale. Non è un caso che esiste pure una associazione, quella delle Donne dell’Olio, che mettono proprio in luce questo ruolo cardine. Anche perché, nonostante la parola olio sia maschile, l’olio di fatto è donna. Non chiedetemi perché, è solo una mia sensazione.

Chiedo a Giulia, essendo un’antropologa, quindi conoscendo le dinamiche che determinano i comportamenti umani, perché, secondo lei, il consumatore italiano, nonostante la grande storia olivicola e olearia alle spalle, alla fine, quando è davanti allo scaffale, scelga in funzione del prezzo, ritenuto più vantaggioso, o presunto tale, e non invece in funzione della qualità e del gusto?
Lei risponde senza tentennamenti: “io credo che le scelte dei consumatori dovrebbero essere orientate da conoscenza e consapevolezza: se il consumatore fosse più consapevole, quindi conoscesse più a fondo come viene prodotto un olio e che cosa distingue un extra vergine di qualità da uno più scadente, anche se a minor prezzo, son certa che in parte, e in alcuni casi, la scelta cambierebbe”.
D’altra parte è così, tutto si fonda sulla conoscenza. L’approccio diretto con l’olio è importante, degustarlo, sentirlo al naso, nella sensazione gustativa e tattile, ritrovare un rimando a qualcosa di familiare che abbiamo percepito, cia iuata a prendere confidenza con l’olio. Ecco allora la scoperta della campagna, il prendersi cura di ciò che accade nei campi, scendere in prima persona tra gli olivi, dove tutto accade, essere partecipi, sentirsi parte dell’esperienza della raccolta. Essere chiamati in prima persona a vivere l’emozione dell’olivagione, è questo che ci permette di capire cosa sia e quanto valga una materia prima così fondamentale qual è l’olio ricavato dalle olive.

Ma la nostra curiosità ci spinge a entrare nel cuore di una scelta professionale. Perché – appunto – decidere di occuparsi di cibo in veste di antropologa.
“Nello specifico – chiarisce Giulia Ubaldi – il mio interesse per il cibo come fatto sociale totale e per i piccoli produttori del settore agroalimentare è una questione emozionale, nata negli anni trascorsi in Cilento. Nasce da un caciocavallo fatto con le mie mani, dalla scoperta di come si aprono i fagioli e di che cosa sono i taddi; nasce dalla raccolta dell’uva, delle olive e delle patate; nasce dal primo giorno in cui ho indossato una tuta gialla e mi sono avvicinata alle api, da tutti i piselli che ho tolto dal loro baccello e dai fiori di zafferano. A questo piccolo paese dell’entroterra cilentano, Caselle in Pittari, luogo scelto per la mia tesi di laurea, devo tutto quello che ho imparato sul mondo dell’agricoltura e dell’alimentazione, conoscenze che mi hanno portato anche a insegnare nelle scuole del Cilento, al Centro Studi della Dieta Mediterranea. Ben forgiata da questa esperienza – conclude Giulia – sono tornata a vivere a Milano e ho iniziato la mia attività di scrittura con il libro Cento Volte Mezzogiorno, pubblicato in dieci puntate su Vanity Fair”.

Visto che l’olio ci spinge a riflettere sulla sua natura, le chiedo se tra qualità e origine, lei, l’antropologa, ma anche la consumatrice, cosa in particolare preferisca. Cosa lei ritiene così importante – tra i due aspetti, qualità/origine – da collocare al primo posto assoluto, senza pensare a una scelta che li veda entrambi sullo stesso piano. E lei, Giulia Ubaldi dice che dovendo scegliere tra qualità e origine opta per qualcosa che sente profondamente come importante. “Credo – dice – che a questo proposito dovrebbe essere utilizzata la parola terroir anche per l’olio, perché anche l’olio, come il vino, è in assoluto l’espressione e il prodotto di un territorio. Se proprio dovessi scegliere tra i due, la mia risposta sarebbe l’origine, per l’immensa importanza che do ai luoghi, alla loro geografia e all’intreccio con le loro produzioni. Effettivamente, tendo a scegliere oli in base alla loro origine, quindi del Cilento e della Liguria, poiché sono due terre che amo e conosco profondamente; ma anche quello del Lago di Garda, poiché mi piace l’idea che a dispetto del senso comune ci sia un olio così buono anche al Nord; poi amo sentire i confini negli oli friulani, perché mi ricordano che in natura i confini si annullano lì, dove vengono tracciati. E infine, l’olio di Ascolana Tenera Dop, perché mi ricorda il giorno in cui ho scoperto che prima di essere un piatto riempito, impanato e fritto, era una cultivar in via di estinzione. Dunque, sì, forse prediligo l’origine, non solo geografica, ma anche emotiva”.

Non avevo dubbi sulla risposta. L’antropologa entra nel vivo dei luoghi in cui l’uomo opera da millenni, dove la società si consolida e si esprime. Le chiedo allora cosa debba avere, per lei, un olio, perché possa dirsi eccellente. La sua risposta non si fa attendere. “Mi sono accorta – dice – che un olio è eccellente quando ho accompagnato Giovanni Cavallo da Rofrano al frantoio Conti di Vallo della Lucania, tutti i giorni dopo la raccolta; o quando ho visto Marco Rizzo, dell’azienda omonima di Felitto, andare tutti i giorni avanti e indietro dal suo paese al frantoio Pietrabianca di Casalvelino, circa un’ora mezza di strada (brutta), anche lui dopo la raccolta, solo per frangere immediatamente le sue olive in un frantoio ben pulito che gli garantisse un olio di qualità, come i suoi frutti meritavano. Così, mi sono accorta come un olio poteva essere eccellente: l’ho visto con i miei occhi, perché la fatica che si fa per produrlo, quella vera, non ha bisogno di essere decantata”.

Per chiudere, ecco una foto che ritrae Giulia Ubaldi mentre accarezza soddisfatta le olive di un’azienda che dice di amare molto, in un’altra località: Tèra de Prie di Borgomaro, ovvero Valle del Maro, sempre Liguria.

Le foto sono di Stefano Triulzi. Sono state scattate tutte domenica 19 novembre 2017, a Moano, una frazione del comune di Pieve di Teco, in alta Valle Arroscia, in provincia di Imperia, in Liguria.

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