Saperi

Pazienza e comprensione

Dopo la tesi di laurea sul mercato mondiale degli oli da olive e il ruolo strategico delle organizzazioni dei produttori, Cosimo Damiano Guarini ha compreso che c'era qualcosa di strano nell’aria. Non si può pensare che il mondo dell'olio si riscatti parlando male dei suoi stessi attori. Ecco perché dedica il proprio tempo alla rinascita del settore

L. C.

Pazienza e comprensione

Ama la Puglia e la vive come una risorsa. Cosimo Damiano Guarini si è laureato in Agraria a Bari e ha molto da raccontare.

Quali sono i tratti migliori della sua personalità?
La disponibilità e la curiosità sono i due tratti distintivi che mi accompagnano sin dall’8 di agosto del 1983, perché dai primi battiti del cuore ho compreso che la vera ricchezza si cela nel donare e non nel ricevere.

E le virtù che coltiva abitualmente?
La voglia di documentarsi, sicuramente, abbinata alla voglia di “scoperta”, sono due pilastri che, abbinati alla buona compagnia, permettono oggi di vivere bene e in pace con se stessi e con gli altri. Condividere, inoltre, è un verbo che mi sta molto a cuore.

Quali sono invece i suoi limiti, le pecche maggiori, gli impulsi più incontrollati del carattere?
Sono un “integralista” della genuinità e bontà, che a volte non ti permettono di andare oltre le tue idee e scoprire se accanto a te c’è qualcuno che non vive del tuo stesso modo di “essere”.

I vizi invece ai quali non intende rinunciare per niente al mondo o, pur volendo, non riesce a rinunciare?
Uno dei vizi maggiori è la buona tavola, intesa nell’accezione più alta del termine, che non comprende solo la qualità delle materie prime, ma anche le persone che condividono con me uno dei momenti più emblematici e centrali della storia dell’uomo. Un luogo in cui ognuno si sveste del proprio ruolo quotidiano, per vestire i panni del buon compagno di tavola, con il quale condividere gusti, idee e progetti futuri.

Un ricordo della sua infanzia che ancora le torna in mente?
Le infinite passeggiate tra frantoi ipogei e percorsi rupestri pugliesi (solo oggi valorizzati) con un caro amico appassionato di fotografia che citava la Divina Commedia a memoria. Ricorderò sempre una sua frase che diceva: “Mi piace pensare che i tronchi contorti dei nostri ulivi secolari, custodiscono le anime dei morti”. All’apparenza può risultare un’affermazione inquietante, ma nell’intimo nasconde la storia di un popolo e la cultura di un mondo contadino che alla terra deve tutto il suo essere.

Ora si passa al lavoro. Da quanto, e perché, si occupa di olio?
Dopo gli studi alla Facoltà di Agraria di Bari, con una tesi di laurea sul “Mercato mondiale dell’olio di oliva e il ruolo strategico delle Organizzazioni di Produttori”, ho capito che in questo mondo c’era qualcosa di strano e, così, quotidianamente cerco di dare il mio personale contributo per migliorarlo, nei limiti delle mie possibilità.

Crede davvero nel suo lavoro? C’è ancora in lei un senso di sano senso di entusiasmo e passione a motivarla? O qualcosa la turba e la impensierisce?
Credo in quello che faccio con la certezza che ognuno di noi può incorrere in errore. L’entusiasmo e la passione nascono dalla voglia di voler cambiare le cose facendo i conti quotidianamente con la realtà e, quindi, armandosi di pazienza e comprensione. L’unica cosa che mi turba nel mondo odierno dell’olio è il malcostume, troppo spesso perpetuato, di valorizzare il proprio prodotto mettendo in cattiva luce il prodotto altrui, senza spesso concentrarsi sul raccontare la storia e il valore che l’olio custodisce da millenni. Occorrerebbe concentrarsi di più sul raccontare se stessi, piuttosto che discriminare il valore degli altri. Il consumatore oggi sceglie in base alla propria cultura e alle proprie possibilità economiche, quindi occorre fare una formazione trasparente piuttosto che del “terrorismo psicologico”.

Se il comparto olio di oliva non naviga in buon acque, come è ormai evidente (avendo perso valore l’olio extra vergine di oliva, e diventando di fatto, a parte le eccezioni, un prodotto commodity), lei cosa si sente di fare per reagire allo stato di immobilismo e incertezza attuali? Ha soluzioni per cambiare il corso degli eventi?
Oggi, credo che un grande ruolo lo svolgano la ristorazione e la scuola. Occorre formare i consumatori e i bambini verso la cultura del buono e del bello, prima ancora del made in Italy a tutti i costi. Una soluzione potrebbe essere quella di raccontare la cultura dell’olio e dei territori, prim’ancora del prezzo e del risparmio a tutti i costi. I 3×2 o 2×1 credo siano buoni solo per una lezione elementare delle tabelline. La riscoperta della cultura dell’olio e dell’olivo, legata a un mondo mondo contadino che faceva della sua bandiera l’essenzialità, è fondamentale.

A proposito di olio extra vergine di oliva, cosa mette al primo posto: la qualità o l’origine?
Negli anni mi è capitato di assaggiare ottimi oli sloveni e oli albanesi interessanti; certo, il prodotto italiano ha un suo appeal, ma non dimentichiamo la dimensione mediterranea (e non solo) che il prodotto olio manifesta da diverse centinaia di anni. Certo, l’origine ha un forte impatto se il produttore è in grado di raccontarla al meglio, ma, purtroppo, non sempre ciò accade. Mi piace raccontare che gli aspetti “colturali” dell’olivicoltura sia possibile cambiarli, ma quelli “culturali”, nonostante cambi solo una lettera, hanno bisogni di molto più tempo.

L’olio da olive è un prodotto agricolo. Se tuttavia l’agricoltura è confinata in un ambito di marginalità, intravede una possibile occasione di riscatto per tale prodotto?
Il riscatto potrà esserci se i produttori comprendono la fondamentale e, direi vitale, importanza di fare squadra e lavorare insieme. Non si può pensare che il mondo dell’olio si riscatti parlando male dei suoi stessi attori.

Se ci crede nei sogni, qual è allora quello che non ha ancora realizzato e che con ostinazione e instancabile coraggio insiste nel coltivare?
Il desiderio più grande è di avere una famiglia e dei figli ai quali insegnare la magia della vita.

In tutta confidenza: crede sia possibile realizzare il suo sogno, o è una pura utopia che va comunque coltivata pur di sopravvivere alle proprie aspirazioni?
I sogni sono realizzabili solo se si ha la caparbietà e la passione nel coltivarli. Credo sia una cosa possibile, e mi piace pensare che ogni cittadino (e non suddito) insegni con il proprio vivere quotidiano il “bello che ci circonda”.

Ciascuno di noi ha uno o più miti ai quali si affida per un proprio personale punto di riferimento. Qual è o quali sono i suoi?
Sin dall’adolescenza sono cresciuto ascoltando maestri come Fabrizio De Andrè (il quale si è dedicato per un certo periodo della sua vita all’allevamento in Sardegna) e Francesco De Gregori (il quale è produttore d’olio in Umbria, a Spello). Ecco, credo che l’agricoltura assuma anche una forte dimensione culturale. Poi, negli anni, ho apprezzato la grande arte del teatro canzone di Giorgio Gaber, laddove verità e racconto dell’uomo assumono una dimensione più alta; ed è un artista che ancora oggi ha tanto da raccontare.

I libri (o, nel caso, il libro) che ritiene siano stati fondamentali nella sua formazione?
Libri? Ne acquisto uno alla settimana. Sicuramente, nel campo della cittadinanza attiva direi La democrazia in trenta lezioni, di Giovanni Sartori. Nel campo del tanto decantanto made in Italy, L’orda: quando gli albanesi eravamo noi, di Gian Antonio Stella, giusto per non dimenticare cosa siamo stati. E poi, in un ambito più personale e “territoriale”, La città delle nuvole, del giornalista del Corriere della Sera Carlo Vulpio, il quale parla della vicenda dell’Ilva di Taranto. Un problema di salute e negazione dei diritti (sopratutto dei bambini), più che un’inchiesta su politica, malaffare e lavoro.

Ancora una domanda, e si chiude: si può salvare l’Italia? C’è ancora spazio per la speranza?
Abbiamo il dovere, e sottolineo dovere, di coltivare la speranza. Dobbiamo concentrare il nostro operare sulla qualità e non sulla quantità delle cose. Un’ancora di salvataggio ci viene fornita dalla cosiddetta “crisi globale”. Un momento utile a riscoprire l’essenzialità delle cose. Tempo fa ricordo di aver letto nel web una frase riportata da una comunità di agricoltori dell’Ecuador: “Almeno una volta nella vita avremo bisogno di un medico, di un avvocato, o di un architetto, ma tutti i giorni, tre volte al giorno, necessiteremo sempre di un contadino. Impariamo a valorizzare i nostri agricoltori, specialmente quelli che non fanno uso di una chimica distruttiva”. Ad Maiora.

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