Saperi

Riflessioni dovute

Un tempo tra psichiatri con i camici bianchi e carcerieri in divisa c’era ben poca differenza. Forse solo nelle modalità e intensità di torture. I metodi oggi sono diversi, ma cos’è che cambia nella sostanza della realtà? Può un lavoro scientifico metterci in crisi per i suoi possibili sviluppi? Sarebbe sufficiente un campione di sangue e una rete neurale artificiale per poter dire se un soggetto sia psicopatologico o meno. Si può ben immaginare l’uso che si può farne: chi è al potere potrebbe eliminare gli avversari indesiderati oppure qualcuno potrebbe eliminare tutti gli indesiderati al potere

Massimo Cocchi

Riflessioni dovute

Come molte volte accade, l’osservazione di un fatto può farlo apparire, a seconda del punto di vista, in un certo modo o nel suo esatto opposto. Evviva la capacità del cervello e della libertà di pensiero.

Dopo molti anni di ingenuo pensiero sull’accadimento della ricerca che ha consentito di classificare la profonda differenza fra Depressione Maggiore e Disordine Bipolare, dopo avere scritto parole di fuoco sulla pratica psichiatrica di un tempo:

“…Non posso certamente dimenticare i ricordi, i filmati di un tempo non tanto lontano, quando la psichiatria era strumento nelle mani dei potenti per eliminare dalla scena persone assolutamente normali, che, dopo un periodo di “reclusione” psichiatrica, venivano deprivate del libero esercizio della coscienza, quindi nella dignità di esseri umani, proprio da chi di questa si doveva occupare al meglio delle proprie risorse professionali ed etiche.

Ma si pensi anche alle pratiche di tortura che venivano spacciate per terapie inevitabili, quali la lobotomia e l’elettroshock eseguito con macchine rudimentali e pericolosissime.

Tra psichiatri con i camici bianchi e carcerieri in divisa c’era ben poca differenza, forse solo nelle modalità e intensità di torture. Oggi, quei tempi sembrano molto lontani, in realtà hanno solo cambiato volto nascondendosi dietro al lucro degli imperi farmaceutici che sulle molecole di finalità psichiatrica, cioè di una “disciplina indecisa”, hanno costruito l’autentico massacro delle coscienze e delle dinamiche di vita di un numero impressionante di persone.

Se fossimo ancora a “quei tempi”, forse anch’io avrei fatto la stessa fine di tanta umanità lacerata, calpestata, ignorata, perché ritenuto pericoloso per l’equilibrio biopolitico del sistema. I metodi oggi sono diversi: si ignora il proprio lavoro, si occulta una ricerca diversa rispetto a quella sacralizzata dai potentati psichiatrico-farmaceutici. Mi chiedo anche come mai gli organi preposti non ritengano di mettere sotto accusa un insieme di istituzioni che, alla consapevole dichiarazione degli stessi psichiatri sulle diagnosi psichiatriche errate per circa il 70%, con tutto quello che comporta, conseguentemente, una terapia errata che si ritiene aumenti il rischio suicidario di almeno quattro volte, non intervengano per fare chiarezza, sollevare dubbi, stimolare nuove ricerche”…

Mi sto ancora illudendo che la ricerca sulla psicopatologia che abbiamo condotto (Cocchi & Tonello) sia nata sul fondamento del rispetto per l’essere umano a impedire che errori clamorosi potessero vanificarne lo stato cosciente.

Quando anche ricevetti esplicite sollecitazioni che potevano essere ritenute uno sprono a continuare, nonostante tali sollecitazioni presentassero la faccia buona del problema, mi resi conto che erano stati toccati interessi plurimi quali la giustizia, la religione, il mercato.

Perché me ne accorsi?

Ricevetti una telefonata da persona che si rivelò non corrispondere all’intestatario del numero telefonico, la quale persona mi sollecitò a rispondere a molte domande le cui risposte sarebbero state tradotte in un articolo di giornale.

Passarono molti mesi e di questo articolo nessuna traccia, perché? Perché si trattava di un falso giornalista.

Nello stesso periodo ricevetti un numero impressionante di e-mail da un israeliano che cercava di approfondire i dettagli della ricerca.

A lui non svelai nulla che non fosse pubblicato.

Tuttavia, dopo tanta insistenza nel volere approfondire, mi scrisse un’ultima mail che recitava:

“Massimo,

I am disappointed to tell you that Micha Ragolsky says that his center’s Helsinki committee will not approve participation in the proposed study.

It seems that your work brings no direct benefit for the patients, since what we know today is much much more effective. Micha (and the Helsinki committee) must be convinced that there will be benefit for the patients who give blood.

Micha says that his center has had only one suicide in 17 years.

They feel that they understand how to identify suicidal patients and how to treat them.

The centre has 300 inpatients at any one time, and intakes 30 new patients very month. So they are treating the patients successfully and returning them to the community.

While the study is no doubt important from a scientific point of view, it will not directly benefit the inpatients.

If you have people who are interested, Micha could come and talk about the psychiatric methods the center uses to deal with possibly suicidal patients. But this would not be in connection with your platelet research.

Sorry”.

Traduzione:

“Massimo,

Sono deluso nel dirti che Micha Ragolsky afferma che il comitato di Helsinki del suo centro non approverà la partecipazione allo studio proposto.

Sembra che il tuo lavoro non porti alcun beneficio diretto ai pazienti, poiché ciò che sappiamo oggi è molto più efficace. Micha (e il comitato di Helsinki) devono essere convinti che ci saranno benefici per i pazienti che donano il sangue.

Micha dice che il suo centro ha avuto un solo suicidio in 17 anni.

Sentono di capire come identificare i pazienti con suicidio e come trattarli.

Il centro ha 300 pazienti ricoverati contemporaneamente e riceve 30 nuovi pazienti ogni mese. Quindi stanno curando i pazienti con successo e li restituiscono alla comunità.

Sebbene lo studio sia senza dubbio importante da un punto di vista scientifico, non andrà a beneficio diretto dei pazienti ricoverati.

Se hai persone interessate, Micha potrebbe venire a parlare dei metodi psichiatrici che il centro usa per trattare con possibili pazienti suicidi. Ma questo non sarebbe in connessione con la tua ricerca sulle piastrine.

Scusami”.

Strano che un Centro che si occupa di psicopatologia e del suicidio dei bambini si comporti in tale modo, avevano letto tutti i lavori, sapevano che erano rivelatori della concreta possibilità di identificare caratteristiche biochimiche particolari nel pensiero suicida e si rifiutavano, dopo almeno una trentina di e-mail di considerare e/o approfondire questa possibilità.

Feci una verifica sul personaggio e mi risultò persona di modesta caratura scientifica, risultano pubblicati solo tre lavori reperibili in internet, di cui, uno, guarda caso si riferisce proprio alle piastrine come possibili indicatori di psicopatologia suicidaria, veramente strano che non fosse più interessato al lavoro.

A seguire accadde un altro fatto.

La psichiatra che aveva collaborato alla ricerca con straordinaria competenza nel fornirci i soggetti da analizzare, la mia amica Raffaella Silvestri, ricevette una lettera che sembrava aprire a illuminate possibilità e che riporto di seguito:

Mi chiamò immediatamente per consultarsi sul da fare e, per alcune strane cose che avevo notato all’interno dello scritto le dissi di soprassedere un attimo perché volevo fare una verifica.

La verifica consistette nel chiamare il Preside della Facoltà di Medicina di Tor Vergata, tale era la firma, per sentirmi dire che non solo non aveva mai firmato una tale missiva ma che neppure la firma era la sua.

Questa risposta mi fece percepire che avevamo toccato un tasto veramente importante se qualcuno rischiava la querela e, forse altro, nello scrivere tale lettera, evidentemente qualcuno che si riteneva talmente potente da non essere individuato.

Questo mise fine a tutto non impedendoci di continuare a scrivere il nostro pensiero, ormai ci avevano fatto capire che c’era un nemico invisibile e di potere che sorvegliava il nostro lavoro impedendoci di fatto di continuarlo.

Ancora, dopo tutto ciò, le mie riflessioni stagnavano in un pensiero solo, che si dava fastidio a qualcuno, per qualche motivo.

Solo di recente mi è apparsa anche l’altra faccia della medaglia dopo che una persona, a me vicina, mi ha fatto osservare la pericolosità della ricerca, una pericolosità cui non avevo mai pensato.

Già, senza volerlo, il risultato che avevamo ottenuto poteva anche rivolgersi non solo al bene che potevamo fare ma anche al male che poteva derivare da un uso improprio dello strumento matematico che era stato allestito e ampiamente collaudato.

Poteva essere usato per eliminare da possibili scenari soggetti che si dimostrassero indesiderati al potere.

Era sufficiente un campione di sangue e una rete neurale artificiale per potere dire se il soggetto era psicopatologico oppure no. Immaginiamo quale uso poteva o può essene fatto.

Tutto ciò che avevo combattuto, nelle parole, sulla possibile ingerenza della psichiatria del passato e sui suoi primordiali strumenti di “tortura” mi si riponeva di fronte ineluttabilmente, io stesso avevo creato uno strumento che poteva essere di danno e non solo di utilità, qualora andasse in mani sbagliate.

Per quanto è nella mia facoltà, questo strumento non sarà mai messo a disposizione di alcuno.

In apertura foto di Olio Officina: “Vecchio acrobata pazzo”, opera di Ernesto Lamagna, 2004; Lucca, “Museo della Pazzia”, mostra a cura di Vittorio Sgarbi

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