Saperi

Strappare dall’oblio il più grande uliveto del Salento

Dinamicità e visione prospettica, studio e confronto, l’agricoltura come prodotto culturale. Anni fa nessuno ci avrebbe creduto. Una intervista collettiva ai protagonisti del progetto “Abitare i Paduli” ci consegna un messaggio chiaro: riappropriarsi degli spazi della ruralità equivale a costruire il sogno di una “fucina agricola”

L. C.

Strappare dall’oblio il più grande uliveto del Salento

“Abitare i Paduli è un progetto di riappropriazione degli spazi rurali dimenticati che interessa il territorio dei Paduli, nel cuore della provincia di Lecce, e si inserisce nel disegno di istituzione del Parco dei Paduli”, è quanto sostengono i giovani salentini che aderiscono a questo movimento culturale dal basso che da’ fiducia nel futuro e ci nutre di tanta buona speranza.

“Il parco – sostengono – nasce dall’esperienza di ricerca decennale avviato dall’associazione Lua (Laboratorio Urbano Aperto), attraverso una serie di laboratori urbani che dal 2003 al 2009, applicando gli strumenti della partecipazione, elaborarono una visione ambientale e sociale dell’area. Da qui l’esigenza di tornare a viverla, nel senso più ampio possibile”.

Cosa significa “Abitare i Paduli”? Molto semplicie: significa adottare forme neorurali di vita, lavoro, turismo e produzione all’interno di quello che un tempo fu il cuore agricolo di quest’area e per sperimentare questo percorso il progetto ha fatto tesoro dei finanziamenti del programma Bollenti Spiriti della Regione Puglia per lo sviluppo dell’imprenditorialità giovanile e del co-finanziamento dei comuni delle “Terre di Mezzo”. Si tratta di un passaggio che nel 2011 ha dato vita a cinque diversi laboratori tematici gestiti da altrettante associazioni del territorio, che sviluppano servizi tra loro integrati per la fruizione ecosostenibile dell’area.

Quali sono i tratti migliori della vostra personalità?

La dinamicità e la visione prospettica. Anni fa nessuno ci avrebbe creduto: adesso a dieci anni di distanza dai primi esperimenti di studio e coinvolgimento delle comunità locali, crediamo di aver imboccato una strada innovativa e virtuosa, ma al contempo percorribile per strappare dall’oblio il più grande uliveto del Salento.

E le virtù che coltivate abitualmente?

Lo studio e il confronto. Non esiste progetto culturale in grado di sostenersi senza gli stimoli dati dagli esempi, tanto quelli trovati sui libri di studio o grazie al confronto con i grandi professionisti del settore, quanto da quelli dati dal dialogo con chi quotidianamente condivide i luoghi in cui ti trovi ad operare.

Quali sono invece i vostri limiti, le pecche maggiori, gli impulsi più incontrollati del carattere?

Il gruppo è composito, tante teste che si confrontano per la gestione di un progetto dalle numerose sfaccettature. Non sempre è facile trovare una sintesi chiara e univoca in tempi brevi.

I vizi invece ai quali non intendete rinunciare per niente al mondo o, pur volendo, non riuscite a rinunciare?

L’entusiasmo porta spesso a sopravvalutare le proprie forze, finendo per assorbire tutte le energie a disposizione. Sappiamo che può portare a perdere di vista la metodicità del lavoro, ma si tratta di una spinta quasi irrinunciabile.

Un ricordo della vostra infanzia che ancora vi torna in mente?

Il gruppo di lavoro del progetto ha solo un anno e mezzo di vita, possiamo definirci ancora nella fase dell’infanzia, anche se alla base abbiamo un lavoro decennale nel territorio.

Ora si passa al lavoro. Da quanto, e perché, vi occupate di olio?

L’olio è la storia e il passato dei Paduli, una produzione in qualche modo imprescindibile da questo paesaggio incantato che un tempo forniva il lampante destinato all’illuminazione pubblica delle grandi capitali europee. Ma l’olio serviva anche alla sussistenza e in maniera diretta ogni famiglia ha avuto a che fare con la produzione, sempre più parcellizzata man mano che le proprietà passavano di padre in figlio. Il progetto punta a valorizzare la produzione olivicola di qualità, dimostrando che la terra del lampante è anche la terra di un eccellente extra vergine. Da qui il progetto Lampa!, un programma di raccolta e produzione da alberi in stato di abbandono, che promuove la rinascita della terra e la cultura ad essa collegata. Nato nel 2012, Lampa! prende il nome da un’esclamazione di stupore tipica della zona ed è oggi tra i progetti di cui andiamo più fieri.

Credete davvero nel vostro lavoro? C’è ancora in voi un sano senso di entusiasmo e passione a motivarvi? O qualcosa vi turba e impensierisce?

Siamo al secondo anno di produzione e dunque l’entusiasmo è al massimo. Non nascondiamo che c’è anche una buona dose di incertezza ma non può essere diversamente visto che abbiamo deciso di intraprendere un sentiero inesplorato. Questo ci aiuta a non perdere di vista la prudenza.

Se il comparto olio di oliva non naviga in buon acque, come è ormai evidente (avendo perso valore l’olio extra vergine di oliva, e diventando di fatto, a parte le eccezioni, un prodotto commodity), voi cosa vi sentite di fare per reagire allo stato di immobilismo e incertezza attuali? Avete soluzioni per cambiare il corso degli eventi?

Per noi l’olio è un grande strumento per veicolare un intero territorio. Uno strumento al servizio di una più vasta riflessione sulle potenzialità dell’area in cui interveniamo.

Lavorare sul prodotto olio è un’attività assolutamente complementare all’intervento su una serie di servizi che abbiamo messo a disposizione per usufruire in maniera sostenibile del Parco dei Paduli. I due ambiti di intervento sono rispettivamente imprescindibili. Crediamo che questo approccio possa essere una risposta ai fenomeni di crisi e alla generale incertezza del settore.

A proposito di olio extra vergine di oliva, cosa mettete al primo posto: la qualità o l’origine?

L’origine, senza ombra di dubbio, ma con un approccio che non può prescindere dalla qualità del prodotto per cercare di raggiungere gli obiettivi del progetto.

Operiamo in un bosco di oliveti che per la maggior parte produce enormi quantità di olio lampante. Condizioni storiche e caratteristiche strutturali delle piante hanno portato alla diffusione di un metodo di raccolta delle olive da terra. Oggi, la crisi assoluta e inesorabile del mercato del lampante convince a puntare sulla qualità del prodotto. È una scommessa, lo sappiamo. Ma siamo certi che una volta raggiunto uno standard qualitativo stabile, la vera forza di quest’olio sia proprio la sua origine, la sua storia.

L’olio da olive è un prodotto agricolo. Se tuttavia l’agricoltura è confinata in un ambito di marginalità, intravedete una possibile occasione di riscatto per tale prodotto?

Noi intendiamo l’agricoltura come un prodotto culturale. Specie in un Paese e una regione con una coscienza e una natura così intrinsecamente agricola non si possono considerare i due campi come separati. Intervenire sul prodotto agricolo, permettendogli di manifestare tutta la sua carica territoriale, storica e simbolica, ci sembra la strada per favorirne il riscatto.

Se ci credete nei sogni, qual è allora quello che non avete ancora realizzato e che con ostinazione e instancabile coraggio insistete nel coltivare?

È arrivato il tempo per costruire il sogno di una “fucina agricola”, luogo dove il tempo incontra le idee, gli odori e i sapori, luogo dove sarà consentito a tutti di lavorare al sogno stesso.

In tutta confidenza: credete sia possibile realizzare il vostro sogno, o è una pura utopia che va comunque coltivata pur di sopravvivere alle proprie aspirazioni?

Il sogno è strumento indispensabile per lavorare alla creazione di una realtà appagante. Peraltro siamo convinti che il nostro sogno poggi sulle stesse fondamenta della realtà in cui operiamo. La nostra utopia non è altro che riuscire a comporre, secondo un’ottica globale e sistemica, gli elementi di cui abbiamo abbondante disponibilità e che, per una serie di motivi, non si assemblano come potrebbero.

Ciascuno di noi ha uno o più miti ai quali si affida per un proprio personale punto di riferimento. Qual è o quali sono i vostri?

I nostri punti di riferimento sono rappresentati da tutti gli uomini e le donne che, mettendosi in gioco, mettono a disposizione la propria cultura e il proprio ingegno per sviluppare delle idee. La lista sarebbe lunghissima perché quotidianamente incontriamo gente capace di darci gli stimoli e gli esempi di cui abbiamo bisogno.

I libri (o, nel caso, il libro) che ritiene siano stati fondamentali nella sua formazione?

Ti citiamo due autori. Il primo è Vittorio Bodini, con il libro Barocco del Sud, il secondo invece è Danilo Dolci, in particolare una poesia dal titolo: “Ciascuno cresce solo se sognato”, che ci piace riportare per intero:

“C’è chi insegna
guidando gli altri come cavalli
passo per passo:
forse c’è chi si sente soddisfatto
così guidato.

C’è chi insegna lodando
quanto trova di buono e divertendo:
c’è pure chi si sente soddisfatto
essendo incoraggiato.

C’è pure chi educa, senza nascondere
l’assurdo ch’è nel mondo, aperto ad ogni
sviluppo ma cercando
d’essere franco all’altro come a sé,
sognando gli altri come ora non sono:
ciascuno cresce solo se sognato.”

Ancora una domanda, e si chiude: si può salvare l’Italia? C’è ancora spazio per la speranza?

Certo. I tempi non sono facili ma confidiamo nelle doti di genialità e creatività che ci hanno sempre dato una mano, anche nei periodi peggiori.

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