Un processo di rimozione
Il vuoto che si sta creando intorno a Rocco Scotellaro è iniziato quando si è nascosto il senso profondo della sua attualità, la quale non è la rievocazione nostalgica di una cultura contadina e di un mondo rurale, ma una lezione politica e sociologica ben più potente ed efficace. La lettura bucolica e posticcia dell’opera letteraria di Scotellaro, esaltata negli ultimi anni da Franco Arminio o Ulderico Pesce, ha contribuito a sconnettere la lezione del poeta di Tricarico con il sentimento popolare
L’appello di Raffaele Nigro apparso sulle pagine della Gazzetta del Mezzogiorno è certamente condivisibile ma arriva purtroppo in forte ritardo. L’iniziativa del sindaco di Tricarico che decide di chiudere il “Centro Studi Rocco Scotellaro” e di intitolare la biblioteca, da sempre denominata “Biblioteca Rocco Scotellaro”, alla poetessa Laura Battista, non fa altro che portare a termine un processo di rimozione che viene da lontano, un’offesa alla memoria del poeta tricaricese perpetrata da alcuni decenni.
Non a caso Nigro si rivolge all’intera classe dirigente lucana e fa emergere l’eclatante paradosso di un impegno straordinario per Matera Capitale della Cultura 2019 e l’oblio, ormai calato da decenni, sul “sindaco contadino” che alla cultura dedicò interamente la sua breve vita.
La rimozione della memoria di Scotellaro è iniziata quando si è incominciato a nascondere il senso profondo della sua attualità. La quale non è la rievocazione nostalgica di una cultura contadina e di un mondo rurale legati alle condizioni di miseria di una porzione ampia delle campagne meridionali fino agli anni Cinquanta. Questa lettura bucolica e posticcia dell’opera letteraria di Scotellaro, esaltata negli ultimi anni, dalle iniziative di Franco Arminio o di Ulderico Pesce, ha contribuito significativamente a sconnettere la lezione del poeta di Tricarico con il sentimento popolare.
Se Scotellaro rappresenta un mondo che non c’è più, tanto vale abbandonarne il mito. Ma la sua vicenda politica e letteraria è legata non tanto alla sua attività di sindaco, quanto invece al suo lavoro di scavo sulla sua esperienza di politico e amministratore, per individuarne i limiti e le incongruenze, e alla sua decisione di abbandonare quell’impegno per dedicarsi allo studio e all’attività di ricerca presso il Centro di Portici, sotto la guida di Manlio Rossi-Doria.
Non si può fare politica senza possedere gli strumenti culturali per esercitarla nel modo più efficace. Questo è il messaggio ancora attuale di Rocco ed è questo il succo delle sue due opere postume L’uva puttanella e Contadini del Sud.
Soprattutto L’uva puttanella – come ha giustamente osservato Antonio Lamantea nel suo saggio critico Il poeta contadino – più che l’abbozzo di un romanzo è un memoriale, un diario interiore in cui l’autore ripensa criticamente i passaggi fondamentali della sua esistenza. Ma è proprio questa eredità che l’intera classe dirigente lucana da tempo ha deciso di non raccogliere, con le conseguenze nefaste per le sorti della regione che vediamo attoniti sotto i nostri occhi. E di Scotellaro sono rimasti solo i simulacri di una cultura materiale che egli voleva rielaborare, con gli strumenti scientifici dell’analisi sociologica, antropologica e psicologica, per convogliarla in quella rivoluzione scientifico-tecnologica di cui egli aveva avvertito precocemente e istintivamente le prime avvisaglie.
Si vadano a leggere le tesi di laurea che, negli ultimi anni, sono state prodotte in diverse università italiane sulla sua opera e si comprenderà quello che soprattutto oggi, nel turbine delle trasformazioni epocali che stiamo vivendo, i giovani cercano nel messaggio lasciatoci in eredità dal “poeta contadino”. È un messaggio altamente moderno in cui si esprime una forte volontà di ricucitura di una faglia culturale che dal decennio in cui avvenne la sua morte non si è mai più ricomposta.
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