Uno scrittore che guarda al mondo rurale
Il Premio Olio Officina per la letteratura è stato assegnato nel 2020 a Guido Conti. Cresciuto nelle campagne di Parma, è stato lavoratore agricolo per diversi anni. La dilatazione dello sguardo in direzione della favola e del fantastico permette di cogliere aspetti della natura, come raramente capita nella narrativa di oggi
Guido Conti è uno dei maggiori scrittori italiani, autore di racconti come quelli di Il coccodrillo sull’altare (Guanda, 1998) e di romanzi, alcuni dei quali tradotti in diverse lingue, come ad es. Il taglio della lingua (Guanda, 2000), Le mille bocche della nostra sete (Mondadori, 2010), La profezia di Cittastella (Mondadori, 2016), Quando il cielo era il mare e le nuvole balene (Giunti, 2018). È anche uno studioso di vaglia, autore fra l’altro del recentissimo Cesare Zavattini a Milano (1929-1939) Letteratura, Rotocalchi, Radio, Fotografia, editoria, fumetti, cinema, pittura (Libreria Ticinum Editore, 2019).
Per i bambini ha scritto e illustrato Il volo felice della cicogna Nilou (Rizzoli 2014), Nilou e i giorni meravigliosi dell’Africa (Rizzoli 2015) e Nilou e le avventure del coraggioso Hadì (Libreria Ticinum 2018).
Instancabile, ha insegnato Scrittura creativa, e per il “Corriere della Sera” ha ideato e curato anche la collana “La scuola del racconto” in 12 volumi (2014), dedicata ai grandi narratori, da Cechov a Poe, da Maupassant a Collodi, da Andersen a Kafka. Ha inoltre raccolto le sue lezioni sulla lettura e la scrittura nel volume Imparare a scrivere con i grandi (Bur Rizzoli 2014).
Fra i numerosi premi da lui vintisono il Chiara nel 1998, il Premio Selezione Campiello nel 1999; il premio Settembrini nel 2004; l’Hemingway per la critica nel 2008 con Giovannino Guareschi, biografia di uno scrittore (Rizzoli); il premio Carlo Levi nel 2013 e il premio Emilio Lussu alla carriera nel 2017.
Cresciuto nelle campagne di Parma, è stato lavoratore agricolo per diversi anni e ha sempre nutrito un profondo amore per la sua città e la sua cultura. Così inizia l’ultimo romanzo di Conti, Quando il cielo era il mare e le nuvole balene:
«La brezza leggera accarezza l’acqua del grande fiume dopo il riposo dell’inverno e lo spirito di Dio corre sulla pianura per risvegliare l’erba dei prati, i fiori nei fossi e la linfa nelle radici degli alberi. Così rinasce la vita».
Al Po ha dedicato del resto uno dei suoi libri più belli Il grande fiume Po: una storia da raccontare (Mondadori, 2012).
In tutta l’opera narrativadi Conti risalta la concretezza del radicamento nella parola, che è pari a quello nella sua terra, e una capacità visionaria che cattura il lettore. La dilatazione dello sguardo in direzione della favola e del fantastico permette non solo di vedere e ridisegnare di continuo gli orizzonti di una vicenda, ma anche di cogliere aspetti della natura, come raramente capita nella narrativa di oggi:
«Quando l’acqua dolce si fece nera e amara, quando il Po in quell’anno ’51 si gonfiò come una balena e invase la golena, e l’argine si disfò e l’acqua sommerse tutto, nonno Ercole si ricordò che proprio in quel punto dove il fiume aveva preso a spallate la terra, trent’anni prima avevano seppellito l’orsa Stella. Far ballare l’orso era una specialità di quelli di Compiano, sulle colline di Parma. Un’arte di strada, da saltimbanchi da fiere povere».
Le foto sono di Gianfranco Maggio
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