Venezia un anno dopo
La città lagunare come non si era mai vista, con passanti solitari in movimento in un paesaggio quasi deserto, senza brusio di voci e rumore di passi, poche vetrine aperte di negozi deserti, con le famose maschere esposte con i loro sguardi attoniti. Fra queste alcune con il noto becco adunco, le maschere dei "dottori", richiamano alla mente altre pesti, altri drammi, altre paure
Com’è triste Venezia soltanto un anno dopo
Com’è triste Venezia se non si ama più
Si cercano parole che nessuno dirà
E si vorrebbe piangere e non si può più
Com’è triste Venezia se nella barca c’è
Soltanto un gondoliere che guarda verso te
E non ti chiede niente perché negli occhi tuoi
E dentro la tua mente c’è soltanto lei…
Charles Aznavour
La disperata desolazione della voce di Aznavour mi ha raggiunto quando, percorsi i pochi scalini del ponticello che ti fa entrare nella magia di Venezia, ci siamo inoltrati per le strette calle che si alternano fra un continuo di case e corsi d’acqua.
Da che ne ho memoria ero sempre arrivato a Venezia in barca approdando al molo della Marina Militare, non lontano dalla Piazza San Marco, o avevo percorso il grande canale con il vaporetto. Non avevo mai gioito dello scenario che muta di calle in calle, dove tutto ti racconta di vite secolari, di ingegno umano.
La mia “guida” mi pilotava agevolmente fra quegli anfratti che percorrevo con gli occhi rivolti all’insù per gustare gli spicchi di cielo incastrati fra le mura d’antico splendore, quel giorno mi aveva regalato un sole d’azzurro con i raggi che sembravano una strada per le stelle che cadevano brillanti sull’acqua della laguna quasi a dire, guardaci adesso perché arriverà l’oscurità e non potrai più vederci.
Così abbiamo percorso il non breve tragitto che da Piazza Roma porta a Piazza San Marco, passanti, praticamente solitari, che si interrogavano di quello scenario quasi deserto senza brusio di voci e rumore di passi.
I tipici negozietti turistici, alcuni aperti e molti altri chiusi a testimoniare che la città stava soffrendo di un male oscuro, paura e angoscia della mente.
Non a caso sono rimasto allibito quando ho incrociato una figura di donna che, vedendomi con la mascherina abbassata perché stavo fumando un sigaro, ha messo fra me e lei una mano con il palmo aperto come cercasse di ripararsi dalla miriade di virus che potevano uscire dalla mia bocca.
Qui ho compreso come il delirio si stia impossessando delle menti, come il continuo insinuare paura nel cervello ne riveli la debolezza di comportamento, ecco, non so se sia utile parlare continuamente di questa “peste” del 2020, pena di non farne sviluppare una ancora più terribile, la pandemia della paura e dell’ansia che precede di poco la deriva psicopatologica.
Con questi pensieri mi soffermavo davanti alle poche vetrine aperte di negozi deserti, ad osservare la moltitudine di maschere, le famose maschere veneziane, dagli sguardi attoniti quasi a dire come mai nessuno ci vuole?
Le maschere veneziane portano in sé qualcosa di triste, raffigurazioni di volti alteri, consapevoli di abitare la città più bella del mondo, consapevoli di raccontare storie millenarie di forme d’acqua che ne hanno scandito e cadenzato il passaggio del tempo.
Già, ti guardano queste maschere e ti inquietano riportandoti in un tempo perduto e che non tornerà mai più, un tempo il cui fascino ha lasciato il passo alla meno affascinante espressione tecnologica laddove non c’è più tempo per meditare e riflettere, per vagare leggeri su e giù dai ponti e ponticelli di questa affascinante Venezia che sembra non riuscire a cambiare, che non vuole rinunciare al suo passato.
Fra queste, alcune, con il famoso becco adunco, le maschere dei “dottori”, ti richiamano alla memoria altre pesti che i naviganti portavano da terre lontane ad inquinare le carni di questa città.
Quel becco adunco aveva uno scopo, contenere fiori secchi, lavanda, timo, mirra, ambra, foglie di menta, canfora, chiodi di garofano, aglio e spugne imbevute di aceto al fine di contenere il rischio di contaminazione attraverso il respiro e anche, forse si pensava, di uccidere le eventuali “bestioline”.
Di negozio in negozio, davanti a ristoranti senza commensali arriviamo, finalmente a Piazza San Marco. Quella bellissima unica piazza del mondo ci appare in tutta la sua maestosità, deserta, forse resa ancora più maestosa dalla desolazione che si respira come nella canzone di Aznavour.
Ci dirigiamo nell’unico locale aperto al centro della piazza, ci sediamo e immediatamente siamo circondati da piccioni, anche loro si guardano increduli e, ora, felici perché pensano che finalmente è arrivato qualcuno che gli darà qualche gustosa briciola da mangiare, e così è.
Loro sono abituati alla “gente”, ci circondano e, addirittura si posano sulle braccia come se fossero falchetti addomesticati, e, ahimè, tapino, arriva il cameriere che, in quella desolazione spruzza, invano e stupidamente come in un copione già scritto e ora impropriamente recitato, acqua, per allontanarli, sono loro in quel momento gli unici avventori.
La piccolezza di certi cervelli d’umani non è mai sufficientemente misurata e misurabile. A questa mesta intelligenza chiedo un Martini Vodka e poco dopo arriva un bicchiere con il calice sottile che contiene il prezioso liquido, non avevo dubbi che il cocktail sarebbe stato fatto ad arte e così fu dal sapore che percepii sulle labbra al primo sorso.
Non so perché ma non esiste bevanda che mi faccia sentire in paradiso come il Martini Vodka. Dopo il secondo non mi riguarda più il deserto della città, anzi mi piace, siamo soli noi e lei.
Il tempo trascorre e ritroviamo una parvenza di vita dirigendoci al vaporetto che ci lascerà alle spalle, calli, negozi di maschere, canali e meravigliosi palazzi. Nel mezzo della strada più famosa del mondo, il Canal Grande, incontriamo lunghe teorie di solenni gondole con i loro velluti rossi, dondolanti al muovere dell’acqua del vaporetto, ferme e vuote che, come i piccioni di Piazza San Marco sembrano chiedersi, cosa succede?
Comincia ad imbrunire, le stelle d’acqua sfumano nei colori della sera e delle luci artificiali che via via si accendono e riprendiamo la strada di casa con quella Venezia deserta negli occhi, testimone di umana paura e di umana insipienza. Lei ci ricorda che non è vuota ma ricolma di bellezza, anche senza “gente”.
Le foto di Venezia, nonché delle maschere, sono dell’artista, e creatrice lei stessa di maschere veneziane, Lory Musizza
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