Visioni

Atene piange ma Sparta non ride

Alfonso Pascale

Il 23 giugno 2016 una maggioranza risicata di elettori britannici (51,89%) votò per l’uscita del Regno Unito dall’Ue. Molti nazionalisti della destra radicale esultarono.

In Italia, Salvini affermò che “era finalmente giunto il momento di riprendere il controllo della nostra sovranità”.

Dopo sette anni nessuno più parla della Brexit e del suo fallimento. E i nazionalisti europei hanno compreso che l’indipendenza è impraticabile in un mondo sempre più interdipendente. Hanno così trasformato il proprio nazionalismo in sovranismo.

Orbán, Morawiecki, Salvini e Meloni (ma anche Le Pen, che ottenne il 41,46% dei voti nelle presidenziali dell’anno scorso), non propongono più di uscire dall’Ue.

Scrive Sergio Fabbrini sul “Sole 24 Ore” del 23 giugno 2023: “Mentre il nazionalismo indipendentista offriva (ai leader della destra radicale) una base culturale coerente, non si po’ dire altrettanto del sovranismo”.

Il sovranismo è un’ideologia al negativo. I sovranisti sono “contro” (la Corte europea di giustizia, la Commissione europea, il Parlamento europeo), ma non precisano che Europa vogliono. Non sapendolo, si stanno specializzando nell’uso del potere di interdizione a Bruxelles. Orbán pone il veto a ogni pacchetto di sanzioni agli oligarchi russi, Meloni pone il veto all’approvazione di un emendamento al Mes. Entrambi lo fanno a prescindere e un po’ pateticamente.

Si sono abbarbicati al prefisso “anti”: ANTI-tasse (senza spiegare come può funzionare uno Stato senza risorse fiscali), ANTI immigrati (senza spiegare come può funzionare un’economia senza lavoratori), ANTI-diritti (senza spiegare come può funzionare una democrazia che non riconosce le libertà individuali).

Per tenere insieme gli elettori, usano il cerotto dell’“Ungheria cristiana”, della “Polonia cattolica” o dell’“Italia etnica”.

Il sovranismo è la combinazione culturale di opportunismo (bisogna stare dentro l’Ue) e corporativismo (sosteniamo chi ci vota), una combinazione che non può promuovere la formazione di una cultura conservatrice alternativa al liberalismo. Di cui una democrazia interdipendente avrebbe bisogno.

Brexit dimostra gli esiti drammatici che provengono dall’incontro tra malafede dei politici e ignoranza dei cittadini. Brexit dimostra la debolezza culturale del nazionalismo, cui il sovranismo cerca di rimediare, senza essere capace di farlo. La forza elettorale non è un sostituto della debolezza culturale.

Oggi non c’è una cultura conservatrice che sappia conciliare nazionalismo di destra e necessità dell’integrazione.

Analoga incapacità si evidenzia anche nel nazionalismo di sinistra (che fortunatamente non è al potere in nessun Paese europeo). Se si considera il Brasile di Lula, Atene piange ma Sparta non ride.

Per commentare gli articoli è necessario essere registrati
Se sei un utente registrato puoi accedere al tuo account cliccando qui
oppure puoi creare un nuovo account cliccando qui

Commenta la notizia