Visioni

C’è chi se la canta e se la suona

Alfonso Pascale

I pentastellati e i leghisti accusano la Commissione europea di prefigurare per il dopo 2020 una “rinazionalizzazione” della Pac. In realtà sono fortemente interessati a conservare il budget agricolo nel prossimo quadro finanziario dell’Ue per evitare che si destinino risorse ad altre politiche. E la proposta della Commissione di spostare le decisioni sulla Pac a livello degli Stati membri, incaricati di redigere un Piano strategico nazionale, viene vista con sospetto. Si teme che il nuovo modello di distribuzione delle risorse preluda all’introduzione del cofinanziamento nazionale anche per gli aiuti diretti agli agricoltori. Misura che è stata finora totalmente a carico del bilancio europeo.

In una recente audizione di europarlamentari nelle Commissioni riunite Agricoltura e Politiche dell’Ue di Camera e Senato, il leghista Giampaolo Vallardi, presidente della Commissione Agricoltura della Camera, ha usato, freudianamente, l’espressione “la Pac è Welfare” per dire che i pagamenti diretti sono considerati una misura assistenzialistica, una sorta di reddito di cittadinanza (meglio sarebbe “contadinanza”!!!) da salvaguardare in qualunque modo e da ogni parte questo provenga.

Tutti sono consapevoli che non si farà in tempo a chiudere il negoziato sulla riforma della Pac prima delle elezioni europee. Ma si continua a discutere i suoi contenuti indipendentemente dal conflitto aperto sul futuro dell’Ue. Quasi che tale politica godesse di una sorta di “extraterritorialità” nel dibattito sulle prospettive dell’integrazione europea.

Sono infatti previste due iniziative nelle prossime settimane: una a Roma il 30 novembre e l’altra a Matera il 6-7 dicembre. Ma il ministro delle Politiche agricole, gli assessori regionali all’agricoltura, lo organizzazioni agricole e gli economisti agrari se la cantano e se la suonano del tutto indifferenti allo scontro oggi in atto tra chi vuole costruire una nuova sovranità europea nell’area Euro (sicurezza esterna, politica migratoria, politica fiscale, bilancio il cui equilibrio si consegua non solo allocando la spesa, ma anche allocando in modo diverso le entrate, in chiave anticiclica) e chi vuole tenere tutto fermo per far implodere il processo d’integrazione europea.

La Pac fu pensata circa sessant’anni fa come grande politica per il mercato unico dei prodotti agricoli, in chiave protezionistica, ed è diventata, a seguito dei primi accordi internazionali di libero scambio in sede di Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), una politica prevalentemente di aiuti diretti per gli agricoltori. Una misura introdotta provvisoriamente per sostenere l’impegno degli agricoltori nell’orientamento del settore verso il mercato e da abbandonare gradualmente, si è trasformata in una misura stabile che rappresenta il 73% dell’intero budget agricolo. Sull’efficienza-efficacia-equità di questa forma di sostegno la comunità scientifica degli economisti agrari esprime pressoché concordemente un giudizio critico, ma evidentemente le pressioni lobbistiche a difesa dell’esistente sono talmente forti da non consentire di uscire dalla path dependency.

Oggi si potrebbe pensare ad uno “sdoppiamento” delle competenze in materia di agricoltura, prendendo in prestito da Sergio Fabbrini il titolo del suo libro sulla nuova governance europea.

È del tutto giustificato che la sicurezza alimentare, la stipula di accordi commerciali con altri Paesi, il coordinamento del sistema della conoscenza e il regime assicurativo in agricoltura per i rischi derivanti dalla volatilità dei mercati restino competenze dell’Ue. Si tratta, infatti, di materie che si collegano all’impianto originario di politica per il mercato unico dei prodotti agricoli.

Ma è altrettanto motivato che la competenza in materia di aiuti diretti sia devoluta agli Stati nazionali membri. Nel suo discorso alla Sorbona del 26 settembre 2017, Macron dedicò proprio a questa politica un passaggio significativo: “La nostra politica agricola comune protegge davvero i nostri agricoltori e i nostri consumatori? La politica agricola non deve essere una politica di superamministrazione di tutti i territori dell’Unione; troppo spesso è una politica di reddito che accompagna approssimativamente le transazioni, e che produce degli schemi complessi che abbiamo difficoltà a spiegare ai nostri popoli. La politica agricola europea deve permettere di far vivere degnamente gli agricoltori e proteggerli dagli alea del mercato e dalle grandi crisi. Ci saranno sempre più modelli agricoli in Europa e mi piacerebbe che ogni Paese possa accompagnare questa trasformazione secondo le sue ambizioni e preferenze. In altri termini, vorrei che noi concepissimo una politica agricola comune che lasci più flessibilità ai Paesi per organizzare la vita dei loro territori e della loro filiere, e che elimini la burocrazia”.

Il processo di ripartizione delle competenze in materia di agricoltura si è avviato di fatto con l’ultima riforma della Pac (2014-2020). Esiste a tale proposito una interessante relazione informativa del Comitato economico sociale europeo (CESE) su “La riforma della PAC: modalità, diversità, effetti redistributivi e altre scelte degli Stati membri nell’applicazione della riforma dei pagamenti diretti” (relatore Mario Campli) trasmessa nel 2015 alle istituzioni della UE.

A seguito della nuova proposta della Commissione per la PAC 2021-2027, la devoluzione della competenza in materia di aiuti diretti agli Stati nazionali membri è ancor più giustificata. Si passa, infatti, da un approccio basato sulla conformità dei beneficiari a regole dettagliate (compliance) ad un approccio orientato ai risultati di ciascuno Stato membro (result-driven based). A tal fine si afferma di voler rafforzare la sussidiarietà attraverso un ribilanciamento delle responsabilità nella gestione della PAC tra Ue e Stati membri.

Lo “sdoppiamento” non sarebbe una rinazionalizzazione della Pac, ma una redistribuzione delle competenze per ottenere tre risultati importanti:

1) facendo in modo che le due sfere di sovranità siano ben definite sul piano delle responsabilità, senza alcuna interferenza reciproca, ogni Stato membro potrà finalmente definire una propria strategia agricola nazionale;

2) eliminando il passaggio Ue-Stati membri, la politica agricola si potrà effettivamente semplificare;

3) concentrando nell’Ue le competenze essenziali, gli agricoltori e i cittadini europei potranno godere di una politica agricola comune giusta ed efficace.

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