In questi giorni sono andato a rileggermi alcune pagine della monumentale biografia di Francesco Saverio Nitti scritta da Francesco Barbagallo (Nitti, UTET, 1984). In particolare quelle riguardanti gli anni del tramonto dell’Italia liberale e dell’insorgere del fascismo.
Sono gli anni dello scontro tra Giovanni Giolitti e lo statista lucano, due personaliità forti e molto diverse che tuttavia avevano in comune alcuni elementi: la sottovalutazione dell’organicità della violenza al movimento e al partito fascista; la sopravvalutazione del proprio ruolo personale nella soluzione della crisi politica e sociale; la strumentale considerazione del ruolo dei partiti di massa; il riferimento ideale agli equilibri culturali e politici dell’Europa d’anteguerra. Risultato di tante profonde somiglianze è il più furioso scontro personale di quel crepuscolo della democrazia; che avrebbe fatto scrivere a Nitti, dopo vent’anni d’esilio per mano fascista: “Ho sempre considerato Mussolini come un avversario e Giolitti come un nemico”.
Nell’estate del 1922, mentre si consumava il primo ministero Facta tra le violenze fasciste, Nitti verificava personalmente la possibilità di un governo da lui presieduto col sostegno dei tre partiti di massa: socialisti, popolari e fascisti.
Nelle sue memorie sono tracciate le fasi di quell’improbabile tentativo.
L’iniziativa s’avviava in seguito alla dichiarata disponibilità di Mussolini, comunicatagli da intermediari, che pareva contentarsi di un ministero e di due sottosegretariati.
Sturzo, nel ricordo nittiano, “accettò subito l’idea come tale che poteva evitare più grandi danni”.
L’opposizione più ferma venne invece proprio dai socialisti più concilianti: “Turati mi disse che gli operai non avrebbero compreso e si sarebbero allontanati dal partito”.
La progettata coalizione nazionale non si realizzava, con rammarico di Nitti: “Dovetti rinunziare al tentativo e ne fui dolentissimo”.
Chiosa a questo punto il biografo: “La ricostruzione nittiana, proprio per il contrasto di diverse opinioni in campo, sembra largamente credibile. L’unico dubbio riguarda l’effettiva disponibilità di Mussolini, che allora puntava su tutti i tavoli giocando con spregiudicata abilità”.
Il primo agosto si era formato il secondo ministero Facta e si svolgeva lo sciopero generale proclamato dall’Alleanza del lavoro contro le violenze fasciste, che invece ne traevano spunto per espandersi ulteriormente.
Anche in quella crisi, Nitti tentò – tramite D’Annunzio – di agganciare il movimento fascista ritenendo possibile la sua trasformazione pacifica e il suo inglobamento nello Stato liberale.
Si dovevano incontrare Nitti, D’Annunzio e Mussolini a Napoli, con un dettagliato piano logistico per consentire il sicuro spostamento di Nitti nelle zone battute dalla teppa fascista. Ma prima dell’appuntamento, D’Annunzio cadeva dalla finestra, e l’incontro andava a monte.
Trattare una pacificazione con il responsabile delle peggiori violenze mai compiute in Italia era illusione nutrita, con Nitti, dalla gran parte della classe dirigente liberale. I fascisti erano considerati strumenti più o meno manovrabili di una perenne egemonia liberale, volta a volta democratica o conservatrice.
Tutti riconoscevano allo squadrismo il merito della restaurazione dell’ordine, nessuno riusciva a vedere proprio nel partito fascista l’affossatore di quello Stato liberale.
Mussolini trattava contemporaneamente con Giolitti e con Nitti. Ma entrambi pensavano di essere interlocutori esclusivi. Il capo del movimento fascista, in realtà, non era interessato a formare un governo ma solo alle elezioni anticipate. E voleva che fossero i due esponenti liberali a richiederle per addossare loro la responsabilità-
Il 19 ottobre Nitti fece un discorso a Lauria, in provincia di Potenza, attenendosi alla linea indirettamente concordata con Mussolini: auspicio per nuove elezioni, che superassero l’antagonismo determinatosi tra rappresentanza parlamentare e situazione reale del paese e riconoscessero l’effettivo peso assunto dal fascismo. Egli pronunciò testualmente queste parole: “Noi dobbiamo utilizzare tutte le forze vive per raccogliere dal Fascismo la parte ideale, che è stata la causa del suo sviluppo, dobbiamo utilizzare insieme le forze più sane e più operose che vengono dalle masse popolari, incanalandole nelle forme legalitarie delle nostre istituzioni… Il solo modo di avere un Governo forte è consultare il Paese. Ogni ritardo può essere un danno”.
Facta chiese le dimissioni ai ministri nel Consiglio del 26 ottobre.
Il responsabile delle più gravi illegalità ascese legalmente al potere il 30 ottobre, formando un governo a preponderanza fascista. Contemporaneamente entravano in Roma le colonne squadriste, fino ad allora bloccate dalle interruzioni ferroviarie.
Anche nella capitale giunse il tempo delle devastazioni. Tra i primi obiettivi le redazioni del “Paese” e dell'”Epoca” e l’abitazione romana di Nitti. La pacificazione era ora affidata alle armi e agli incendi. Si instaurò l’ordine della violenza.
Le maggiori banche del Paese avevano finanziato il partito fascista elargendo 20 milioni. I giornali scrivevano quotidianamente che Mussolini al governo era la migliore soluzione possibile per tenere a bada i disordini. Finanche dopo la devastazione della sua casa romana, Nitti non si scompose e attribuì ad un gruppo isolato di teppisti il danno subito. Come sonnambuli, gli italiani passavano da un regime ad un altro senza alcuna consapevolezza e senso critico. E dovemmo aspettare vent’anni per liberarcene.
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