Visioni

Il fascino della toponomastica

Alfonso Pascale

La città dove sono nato si chiama Tito. L’origine di questo nome è incerta. Alcuni studiosi ipotizzano un legame con il termine greco θειώδης, che significa “simile a zolfo, sulfureo”. E tale accostamento si giustificherebbe per la presenza di numerose sorgenti di acqua solfurea nelle vicinanze del centro abitato.

Altri ritengono che l’etimo più appropriato sia il latino tūtus, nel significato di “difeso”, “fortificato”, o tĭtŭlus che sta per “iscrizione sepolcrale”, “epitaffio”, “pietra terminale tra due poderi”, o ancora tŭtŭlus che equivale a “tùtulo”. Non a caso nei paesi vicini era in uso, fino a poco tempo fa, il termine “tutulesi” per indicare gli abitanti di Tito.

Il significato di tùtulo si può ricondurre alla pettinatura a forma di cono o pan di zucchero usata in particolare dal flàmine o sacerdote e dalla sua consorte. Anche le dame romane portavano tale acconciatura. Essa si formava raccogliendo in un fascio sulla sommità della testa, a una considerevole altezza, i capelli mediante un nastro di porpora in modo da presentare una linea curva. Tùtulo era detto anche il pileo, un berretto emisferico, alto, fatto di lana, usato dal flàmine durante i sacrifici.

In una tomba etrusca di Tarquinia si è ritrovato un enorme coppolone bianco, anche questo denominato tùtulo, identico al copricapo di Pulcinella, maschera già nota a metà del Cinquecento per come figura in un quadro di Ludovico Carracci. Ma sempre presso gli Etruschi, nel VI secolo a.C., il tùtulo era un berretto a cupola fatto di stoffa ricamata, usato sia dagli uomini che dalle donne. Tale copricapo derivava da analoghi modelli diffusi in Oriente, come il πέτασος, un cappello a larghe falde caratteristico dei costumi ellenici.

Tùtulo era, inoltre, una specie di corona in forma di cinta murale. Gli scultori greci la rappresentavano in testa all’Artemide di Efeso. Ed era usata anche dalle vestali.

Tùtulo è, infine, l’asse spugnoso della pannocchia del granturco, sul quale sono inseriti i granelli, in genere usati per l’alimentazione degli animali. Un rimando ulteriore che potrebbe aver dato origine al nome della città lucana e che testimonia una presenza diffusa di contadini.

In ogni caso, che si tratti di un ornamento della persona o di un componente essenziale di una pianta coltivata, abbiamo a che fare con un nome che evoca un oggetto. È dunque significativo che la forma dialettale della parola “Tito” sia “lutìtu”, diventata per deglutinazione “lu tìtu”, che potrebbe stare per “il titolo” o “il tùtulo”. L’ultima sillaba, infatti, viene nel tempo anteposta al vocabolo e si trasforma in articolo per ribadire, forse, la sua essenza di cosa, di oggetto concreto.

La compresenza di una pluralità di significati del nome di un luogo non è necessariamente un limite. Può anzi stimolare la fantasia per inventare narrazioni e miti originari. Un esercizio affascinante se compiuto collettivamente. Serve, infatti, a rafforzare i legami comunitari.

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