Visioni

Il miglior antidoto alle bufale

Alfonso Pascale

Luigi Caricato si è chiesto, la scorsa settimana, su Olio Officina Magazine (QUI) se realmente sia possibile in qualche modo smentire le tante bufale spacciate per giornalismo. Si può – egli scrive – a patto che si introducano alcuni strumenti: una autorità scientifica che vagli l’esattezza di quanto viene diffuso, in modo che sia sempre garantita l’ultima parola a chi ha una specifica competenza e autorevolezza in materia; una commissione che vagli ed esamini i contenuti di articoli e servizi pubblicati sui vari media, attraverso un voto, un po’ come avviene con le valutazioni critiche espresse in materia di spettacoli, letteratura, cinema, sport, economia.

Sono d’accordo con lui. Ci sono strumenti, come quelli che egli propone, che potrebbero contenere il fenomeno. Strumenti semplici, immediatamente utilizzabili.
Ma c’è anche qualcosa che richiede un lasso di tempo più lungo ed è parimenti necessario: un cambiamento di mentalità a cui dovrebbero sottoporsi gli scienziati.
Non è facile per lo studioso far fronte ad un’aspettativa che li costringe per così dire a pronunciare l’ultima parola, quando il vero scienziato non dovrebbe conoscere mai nulla di definitivo.

L’esperto dovrebbe, però, esercitarsi nel distinguere la responsabilità della scienza dalla responsabilità dello scienziato. Quando egli parla in nome della scienza è responsabile che il sapere scientifico, nella sua purezza, non venga distorto e forzato dagli interessi e dalle attese dell’opinione pubblica. E deve poterlo fare senza difficoltà. Ma quando parla da scienziato in un contesto decisionale dell’agire politico, egli dovrebbe farlo in quanto cittadino, corresponsabile con altri cittadini, di ciò che accade. Egli dovrebbe porsi umilmente in ascolto delle ansie e delle paure dei cittadini che non sono esperti e dialogare con essi alla pari, in ogni circostanza e con ogni mezzo. Si tratta di esercitare la virtù civica del confronto rispettoso inteso come reciproco arricchimento, evitando le contrapposizioni e i conflitti e ricercando ciò che unisce.

Mettere a disposizione il proprio sapere nel dibattito pubblico dovrebbe essere avvertito dallo scienziato come un dovere. Ma con la consapevolezza che ogni specializzazione ha i suoi limiti e anche la scienza ce l’ha. Per questo occorre riconoscerli nel dibattito pubblico e concorrere nelle decisioni con la consapevolezza che queste ricadono su tutti.

Tale atteggiamento da parte degli scienziati forse contribuirà a contenere e fugare i timori collettivi, nonché a rasserenare il confronto e a guardare al futuro con coraggio e con ragionevoli speranze. Un clima siffatto è il miglior antidoto alle bufale, prevenendole prima ancora che vengano diffuse.

Non finisce qui. Tra le “anomalie di troppe comunicazioni scientificamente infondate, non sempre verificate nella loro esattezza e veridicità, di cui parla Luigi Caricato, andrebbero anche considerate le quotidiane veline a pagamento delle pubblicità ingannevoli sfornate dalla Coldiretti. Dire per esempio che il 43% degli italiani si alimenta comprando a chilometro zero è palesemente un falso. Ma un quotidiano come Repubblica, pur di incassare un po’ di quattrini, diffonde il messaggio dell’azienda Coldiretti come se fosse un comunicato Istat. Il danno per l’agricoltura è enorme perchè si mitizza un’immagine falsa della realtà, da cui si fanno poi discendere politiche pubbliche del tutto errate per il settore.

Una volta i giornali avvertivano i lettori, quando pubblicavano messaggi pubblicitari a pagamento. Ora non lo fanno più, ed è molto pericoloso perché, in questo modo, nel dar conto di un fenomeno, o di una vicenda particolare, si fanno prevalere il sensazionalismo e la propaganda.

Ieri, un’agenzia di pubblicità ha telefonato a diverse fattorie sociali chiedendo, per conto di uno dei più grandi quotidiani italiani, 500 euro per comparire in un inserto speciale sull’economia verde. Un cronista avrebbe rielaborato il materiale comunicativo dell’azienda spacciando una serie di pubblicità aziendali per inchiesta giornalistica.
Oggi quasi tutte le grandi testate hanno delle fondazioni che prendono soldi pubblici per promuovere messaggi pubblicitari legati ad interessi particolaristici.

Come si fa a porre un limite a questa pratica scandalosa, oltretutto dannosa per la nostra economia? Come difenderci da questo continuo stillicidio di bufale spacciate per giornalismo? Se questo modo di operare serve ai media per sopravvivere, diventa davvero difficile trovare forme di autocontrollo per limitare il fenomeno.

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