Visioni

L’economista eretico Giacomo Becattini

Alfonso Pascale

È morto l’economista Giacomo Becattini. Nato a Firenze 90 anni fa, è stato docente di economia alle Università di Firenze e di Siena e, dal 1993 al 1995, è stato presidente della Società italiana degli economisti. Il suo contributo più originale riguarda i temi dello sviluppo locale e dei distretti industriali.

Becattini è stato un economista eretico: ci ha fatto comprendere i limiti della teoria economica mainstream e la necessità di un nuovo approccio. Fino agli anni Settanta, il mondo economico “reale” veniva plausibilmente schematizzato con l’immagine di una società fondata su una rete fittissima di scambi di merci standardizzate tra aziende produttrici e famiglie consumatrici. I fenomeni economici venivano spiegati guardando essenzialmente il prezzo e la sua capacità di segnalare agli operatori le condizioni di scarsità o di abbondanza di una data merce.
Poi tutto questo è finito e la teoria economica mainstream non è riuscita più a spiegare quasi nulla. Becattini è stato uno dei pochi a cogliere una novità che ad un certo punto è venuta a sconvolgere lo schema: il mercato si allarga solo attraverso una continua moltiplicazione, frammentazione, ricombinazione dei bisogni. E questo ha comportato una crescita dell’importanza della domanda effimera di beni differenziati e personalizzati che ha spiazzato la classica concorrenza di prezzo. O meglio, il prezzo continua a segnalare l’ispessimento o il diradamento della concorrenza, ma lo fa non più in generale, bensì nelle diverse aree dei bisogni. Da una prevalente concorrenza di prezzo si è passati, così, ad una prevalente concorrenza di qualità, in passato del tutto accessoria.

L’economista fiorentino ci ha spegato come, nel nuovo scenario, i bisogni umani non sono più come ce li consegna la storia. Ma evolvono continuamente perché, in base alla loro percezione, si ricombina costantemente la loro graduatoria. Solo indagini sociologiche accurate possono dar conto dei cambiamenti nella percezione dei bisogni delle persone e delle potenzialità di mutamento che gli individui esprimono. Assume importanza il processo culturale della percezione dei bisogni. E tale processo avviene nei contesti in cui le persone vivono e si relazionano con le altre.Tale cambiamento si è intrecciato con altri due fenomeni: la globalizzazione e la rivoluzione tecnologica fondata sul digitale, la robotica, le nanotecnologie e la bioeconomia. Siamo ormai alla Fabbrica 4.0 che vede i bit trasformarsi in atomi, i consumatori diventare produttori, la materia assumere nuove forme e i consumi personalizzati da nicchie ristrette ampliarsi a livello di massa.

Questi sconvolgimenti segnano la crisi definitiva dell’economia fordista e di tutto l’apparato politico e sociale, costruitovi addosso (Welfare State), e l’emergere, in forme nuove e sempre più diffuse, di una ruralizzazione e artigianalizzazione della società che si combina con una coinvolgente e creativa produzione sociale non più gerarchizzata.

L’illustre studioso ha scritto parole bellissime sulla campagna e il mondo rurale che vorrei qui ricordare: “La campagna e il mondo rurale, con la peculiarità dei loro costumi, non ci appaiono solo come un”attrito’ all’ampliamento delle relazioni mercantili, ma anche, forse, come un serbatoio di soluzioni alternative, utilissime quando – Iddio non voglia! – quelle proposte dall’industria e dalla città s’inceppassero. Quasi strane specie animali e vegetali, che, rimaste a margine del vortice evoluzionistico, si rivelano, al bisogno, capaci di rimedi ai flagelli più resistenti alla medicina ufficiale”. In questo giudizio si può cogliere in pieno la sua consapevolezza di un requisito essenziale della nuova ruralità: costituire potenzialmente un correttivo di civiltà.

Becattini ci ha fatto capire come, nelle nuove economie, ci vogliono impianti flessibili e una versatilità neo-artigianale e neo-contadina, su una base, beninteso, sempre più alta di conoscenze generali, resa necessaria dal maggiore, rispetto al fordismo, livello tecnico-scientifico degli apparati produttivi materiali. I sistemi locali sono i luoghi dove si addensano queste competenze (di piccoli e medi imprenditori, professionisti, lavoratori saltuari, ecc.), pronte ad inserirsi, con breve preavviso, nei processi in espansione delle nuove economie. E sono anche i luoghi – sia nelle metropoli che nelle aree rurali – dove i possessori di tali competenze amano vivere e socializzare, mettendo completamente in discussione le forme dell’abitare e, dunque, lo statuto dell’urbanistica come disciplina e come professione. I sistemi locali – del tutto insignificanti nell’economia fordista – nelle nuove economie a domanda diversificata e variabile diventano, nella loro totalità complessa, una forza produttiva. Ma non sistemi isolati, impauriti, autarchici e autoreferenziali, bensì consapevolmente condizionati nel ritmo del cambiamento dai vincoli che discendono dalla partecipazione, sempre peculiare e specifica, dei diversi luoghi al vortice della divisione mondiale del lavoro.

Il segreto del successo di un sistema locale siffatto è l’ancoraggio ad una cultura dominante della popolazione, non volta a conservare staticamente le tradizioni, quanto invece a riprodurre un complesso di valori, conoscenze, istituzioni, sia per capire più rapidamente il cambiamento e “sacrificare razionalmente”, secondo una filosofia costi-benefici interiorizzata nel tempo, pezzi di tradizione che sono di ostacolo all’adattamento; sia per misurarsi coi mercati mondiali. Un sistema locale competitivo è, dunque, un sistema produttivo e, al tempo stesso, auto-educativo. Un sistema relazionale, istituzionale e di autoapprendimento collettivo atto a riprodurre una comunità plastica, curiosa, realisticamente ambiziosa, capace di adattarsi continuamente alle mutevoli condizioni esterne. Un sistema competitivo fondato sull’innovazione sociale, cioè sulla capacità di crescere in relazione con altri sistemi locali, scambiando idee, esperienze, conoscenze e non soltanto prodotti e servizi.

Mi ha sempre colpito un aspetto della lezione di Becattini che mi piace evidenziare: egli diceva che la dimensione territoriale e quella dell’internazionalizzazione non sono in alternativa. La rivoluzione tecnologica in atto offre enormi opportunità per individuare percorsi di sviluppo, costruire reti che si diramano nei territori e nel mondo. L’importante è che i sistemi locali restino fedeli a se stessi, al proprio carattere originario, che è quello di riprodurre beni relazionali e legami comunitari per fare in modo che gli individui e i gruppi possano consapevolmente adattarsi al cambiamento in atto nel mondo.

Secondo Becattini non c’è più spazio per la teoria economica mainstream: le nuove economie non possono essere riassorbite in essa, aggiungendo qualche paragrafo ai vecchi manuali. Va interamente riscritta: non già nel chiuso delle accademie e dei circoli intellettuali, bensì nel vortice quotidiano della sperimentazione concreta dello sviluppo locale partecipativo e dell’ibridazione pluridisciplinare della conoscenza scientifica coi saperi esperienziali. Per chi crede nello sviluppo locale, Becattini resta un riferimento intellettuale imprescindibile.

Per commentare gli articoli è necessario essere registrati
Se sei un utente registrato puoi accedere al tuo account cliccando qui
oppure puoi creare un nuovo account cliccando qui

Commenta la notizia