Visioni

La corruzione e l’inefficienza imperano

Alfonso Pascale

Il New York Times ha pubblicato un’inchiesta, che ha coinvolto nove paesi dell’est europeo, sull’uso distorto dei sussidi agricoli dell’Unione Europea (clicca QUI). La politica agricola comune sta finanziando lo sviluppo delle democrazie illiberali in paesi che si mostrano scettici o contrari all’integrazione europea, sono accusati di ledere lo stato di diritto e interpretano la membership come un bancomat.

In Ungheria, gli aiuti diretti della Pac sarebbero usati per ricompensare oligarchi, amici, parenti, compagni di scuola e alleati politici del premier Viktor Orbán. Egli avrebbe messo all’asta migliaia di ettari di proprietà dello Stato per favorire la vendita a chi si conforma alle sue idee, discriminando coloro che lo avversano.

“Sotto il comunismo – scrivono gli autori dell’inchiesta – gli agricoltori lavoravano nei campi che si estendevano per miglia nei dintorni di Budapest, raccogliendo grano e mais per un governo che aveva rubato la loro terra. Oggi i loro figli lavorano per nuovi signori in un moderno sistema feudale”.

Alcune società create dal primo ministro ceco, Andrej Babis, avrebbero percepito sussidi per almeno 42 milioni di dollari. Non a caso, il governo ceco negli ultimi anni avrebbe introdotto regole che rendono più facile ricevere sussidi per l’azienda del premier e altre grandi imprese del paese.

In Slovacchia, il giornalista Ján Kuciak fu ucciso nel febbraio del 2018 perché si occupava di truffe ai sussidi europei e di infiltrazioni mafiose nel sistema agricolo.

In Bulgaria il 75 per cento dei fondi agricoli Ue finisce solo a circa 100 entità. Alcuni agricoltori slovacchi hanno rivelato di aver subito minacce mafiose ed estorsioni per cedere la terra che è diventata preziosa per ricevere i sussidi europei.

Non è difficile sfruttare le falle della Pac, il cui sistema è diventato ormai sempre più vecchio e inefficiente. Rappresenta il 38 per cento del budget comunitario e i governi nazionali – con il beneplacito del parlamento europeo – hanno ampia libertà su come spenderli e non sono tenuti a pubblicare in modo dettagliato l’elenco dei destinatari. È così diventato più difficile tracciare dove finiscono i soldi ed è più facile aggirare le ampie maglie della burocrazia europea. La corruzione e l’inefficienza imperano.

Converrebbe rivedere del tutto una politica che fa acqua da tutte le parti. Ma nessuno pensa a cambiare il meccanismo. In attesa della Brexit, la discussione tra i leader dei 27 Stati Ue per ora è solo sulla quantità di denaro da destinare alla Pac per il settennato che va dal 2021 al 2027, non sul come spendere questi soldi.

Addirittura la Corte dei conti Ue, in un parere del novembre 2018, ha bocciato l’ennesima riforma della Pac. Le critiche sono appuntate proprio sul sistema di pagamenti diretti agli agricoltori basati sul numero di ettari di terreno posseduti o utilizzati. La Corte ritiene necessario ridefinire la normativa e denuncia il fatto che i controlli e gli audit saranno meno numerosi e meno efficaci.

Ci vuole una vera riforma della Pac, altro che proroga come viene richiesto dalla Commissione agricoltura del Parlamento europeo. Certamente, occorre fare bene senza frettolosità, ma non sarebbe ammissibile che questo quinquennio passasse senza una riforma che superi le inefficienze.

Bisogna prendere atto che l’aiuto diretto al reddito ha concluso la sua missione. Ed è tempo di separare o sdoppiare quanto della Pac può tornare alla sovranità degli Stati e quanto deve restare alla sovranità unionale. Due sovranità di pari dignità con competenze differenziate e senza sovrapposizioni. Non per “rinazionalizzare” (un vecchio termine che appartiene ad epoche passate), ma per ridefinire le due sovranità nell’ambito di una integrazione europea differenziata.

La ridefinizione delle competenze dovrà prendere atto che “l’integrazione sempre più stretta” non è più accettata dalla complessità di una Unione a 27 (e futuri ampliamenti, sempre possibili seppure con accordi chiari e senza frettolosità sbagliate) nella quale, peraltro, già esiste una differenziazione importante come è quella tra Stati con la moneta unica e Stati che conservano le monete nazionali.

Dovrebbero restare nella sovranità piena dell’Unione europea poche e ben delineate competenze: sistema della conoscenza, scambi commerciali coi paesi terzi, politiche della qualità e della sicurezza alimentare, sistemi assicurativi per i rischi di mercato, cambiamenti climatici. Tutto il resto dovrebbe essere restituito alla piena sovranità degli Stati membri.

Anche alla luce dell’inchiesta pubblicata dal quotidiano americano, bisognerà ricordare ai “sovranisti a senso unico” che non è ammissibile partecipare all’integrazione europea con lo spirito dell’Europe à la carte. Se si usufruisce delle opportunità europee, bisogna anche rispettare i principi e i valori della democrazia rappresentativa e dello stato di diritto, enunciati nel Trattato.

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