Il ministro Centinaio annuncia che il governo chiederà al Parlamento di non ratificare il CETA (Comprehensive Economic and Trade Agreement), il trattato commerciale tra Unione europea e Canada. Il motivo di questa posizione è che l’accordo tutelerebbe solo una piccola parte dei prodotti tipici.
La verità è l’esatto contrario. L’assenza di ogni tutela è la situazione attuale, il Ceta invece riconosce 143 certificazioni tipiche europee, di cui 41 italiane. Certo, non sono tutte e quelle che sono rimaste fuori potrebbero essere teoricamente imitate in Canada. Ma per capire di cosa si parla bisogna considerare che per l’Italia l’80 per cento della produzione e oltre il 90 per cento dell’export agroalimentare Dop/Igp sono composti da 10 prodotti, tutti tutelati dal Ceta. Anzi, il Ceta ne riconosce un’altra trentina, inclusi il cappero di Pantelleria, il kiwi di Latina e la lenticchia di Castelluccio, prodotti che comunque difficilmente verrebbero imitati tra Vancouver e Montréal.
Gran parte del settore agroalimentare è favorevole all’accordo con il Canada: da Cia e Confagricoltura fino a tutti i principali consorzi (prosciutto di Parma, aceto di Modena, gorgonzola, Grana padano e Parmigiano reggiano). Ma il ministro Centinaio tiene conto solo della posizione della Coldiretti, che sarebbe invece preoccupata per le importazioni di grano duro.
La Cia ha dimostrato che dal 21 settembre 2017, cioè da quando l’accordo è provvisoriamente in vigore, l’approvvigionamento di grano canadese è diminuito del 35%. Si conferma, così, la tendenza che ha caratterizzato gli arrivi negli ultimi anni: nel triennio 2014-2017, le importazioni di frumento sono passate da 1,6 milioni (2014) a 795 mila (2017). Ma sappiamo che un conto sono i dati reali e un altro conto è la percezione.
La Coldiretti utilizza molto l’allarmismo nella sua comunicazione e ha bisogno di dire che siamo invasi dal grano canadese. Non importa se poi i cittadini hanno la percezione di una situazione irreale e si fanno un’idea su dati di fatto errati.
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