Visioni

Non dimentichiamo Emilio Sereni

Alfonso Pascale

Nella Giornata del Paesaggio non si può non ricordare una personalità del Novecento che al paesaggio agrario italiano ha dedicato studi originali di alto valore scientifico e grande impegno politico e civile. Mi riferisco a Emilio Sereni, presidente dell’Alleanza Nazionale dei Contadini, dal 1955 al 1969, parlamentare comunista e studioso di chiara fama internazionale, profondo conoscitore dell’agricoltura e intellettuale dagli interessi culturali molteplici.

Insieme al greco e al latino, Sereni leggeva e parlava correntemente numerose lingue. A parte l’ebraico e l’aramaico, la cui conoscenza gli derivava dalla sua giovanile passione per il sionismo, conosceva l’inglese, il tedesco, il francese, il russo, il giapponese e poi via via lingue sempre più insolite. Il Sereni erudito possiedeva un metodo di lavoro originale. Egli leggeva i libri in modo sorprendentemente rapido. Segnava con la matita rossa e blu finanche le cinquecentine. Ritagliava cataloghi di editori, sia antiquari che correnti. Siglava su apposite schede, con parole chiave, tematiche e cronologie, a seconda degli argomenti incontrati o che più lo interessavano. Compilava così centinaia di migliaia di foglietti che gli consentivano di tenere a disposizione un vastissimo repertorio bibliografico classificato per argomento, dalla linguistica all’archeologia, dalla storia antica fino alle più recenti acquisizioni dell’informatica.

Il dirigente comunista si era laureato in scienze agrarie presso l’istituto superiore di Portici con una tesi su “La colonizzazione agricola ebraica in Palestina”. Aveva poi partecipato, insieme a Manlio Rossi-Doria, a cui era legato da una stretta amicizia fin dall’adolescenza, a una delle prime fondamentali ricerche dell’Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA): la famosa inchiesta Lorenzoni sulle famiglie agricole e sulla proprietà contadina formatasi nel primo Dopoguerra.

Successivamente era passato agli studi storici, dopo essersi sottoposto ad un’approfondita preparazione sul pensiero marxista e leninista ponendo al centro della sua ricerca la questione contadina: si era così convinto che tale questione poteva essere affrontata e risolta positivamente con tale metodo.

Egli aveva, dunque, abbracciato la causa comunista nella versione della Terza Internazionale con la stessa dedizione totale con cui qualche anno prima aveva riscoperto la fede e le tradizioni ebraiche di famiglia e si era legato al progetto politico sionista. La sua militanza comunista più che derivare da una “vocazione” politica, era avvertita come un “dovere” di far politica e di agire rimanendo rigorosamente fedele alla scelta fatta in gioventù.

Per la sua fede politica Sereni era stato arrestato nel 1930 e aveva scontato cinque anni di carcere. Era poi riparato in Francia, dove aveva assolto incarichi di responsabilità nel Pci clandestino ed era stato sottoposto a pressioni psicologiche da mandanti di Stalin nel clima di sospetti e repressioni nel mondo comunista alla fine degli anni Trenta. Tali prove, anziché allontanarlo dal comunismo, lo legavano indissolubilmente all’Unione sovietica con una adesione che rasenta il fanatismo.

Tornato in Italia, Sereni partecipò attivamente alla Resistenza e venne eletto membro dell’Assemblea Costituente. Fu ministro dell’Assistenza Postbellica e, successivamente, dei Lavori pubblici. Si occupò delle centinaia di migliaia di ex deportati, ex prigionieri di guerra, profughi e bisognosi d’ogni genere. Con il sopraggiungere della “guerra fredda” guidò la Commissione culturale del Pci e il movimento di lotta per la pace.

All’indomani della Liberazione, l’editore Giulio Einaudi pubblicò il volume Il capitalismo nelle campagne (1860-1900), in cui furono raccolti alcuni saggi scritti da Sereni negli anni della dittatura fascista trascorsi in clandestinità. Il libro ebbe una inaspettata fortuna, tanto da essere ristampato più volte con successive due riedizioni (1968 e 1980). Senza conoscere i Quaderni del carcere di Antonio Gramsci e, in particolare, quelli su Il Risorgimento, pubblicati qualche anno dopo, lo studioso affrontava il problema della direzione politica del moto risorgimentale, pervenendo dal versante più strettamente economico alle stesse conclusioni dell’intellettuale sardo: “nonostante gli sforzi della borghesia e del suo Stato”, il processo di sviluppo si sarebbe svolto con faticosa lentezza, a causa del vizio d’origine della classe dirigente post-unitaria, che avrebbe compiuto la sua rivoluzione politica senza integrarla e fondarla in una rivoluzione agricola.

Sereni proponeva una visione complessiva della storia d’Italia dove la compressione dei consumi contadini, perpetrata attraverso molteplici vie, avrebbe dato vita a sacche di sviluppo incapaci di allargarsi e di coinvolgere nel ritmo aspro della crescita produttiva chi (i contadini e il Mezzogiorno), dopo averla finanziata, ne era escluso e ne era peraltro continuamente percosso. Egli presentava, dunque, il Risorgimento come una storia di depredazione di stampo coloniale, in cui lo spessore della dignità statale è così esile da non velare l’uso classista del potere pubblico.

Dopo un lungo e imbarazzato silenzio degli intellettuali di cultura liberale, a Sereni rispose un esponente dell’accademia, Rosario Romeo, con un altro volume, Risorgimento e capitalismo, pubblicato da Laterza nel 1959, che raccoglieva due saggi del 1956 e del 1958, apparsi nella rivista “Nord e Sud”. Anche questo libro verrà più volte ristampato e avrà due nuove edizioni (1970 e 1998).

Lo studioso di tendenza liberale controargomentava che “il problema fondamentale di un paese agli inizi del proprio sviluppo industriale non fosse già l’ampliamento del mercato ma l’accumulazione del capitale come strumento diretto a conseguire un aumento della produttività”. E presentava una serie di dati statistici, riferiti al primo ventennio post-unitario, per dimostrare che “la compressione delle campagne era stata una condizione fondamentale dell’accumulazione primitiva del capitale in Italia dopo l’Unità” e che tale accumulazione non si sarebbe potuta realizzare associando le “plebi rurali” al moto risorgimentale in quanto queste non avrebbero tollerato detta compressione. I governi in età liberale non avevano, dunque, altre alternative rispetto alla politica da questi condotta per avviare la modernità, come premessa storica di una futura soluzione della questione meridionale.

In realtà, la polemica guardava al passato con l’occhio rivolto alle passioni del momento: lo scontro politico e ideologico sulla riforma agraria che si stava realizzando. Per Sereni tale riforma era un
obiettivo ancora tutto da conseguire, come ribadirà nel saggio introduttivo all’edizione del 1968, mentre per Romeo quella approvata agli inizi degli anni Cinquanta stava già producendo la sua “rivoluzione” silenziosa: l’agricoltura stava cambiando volto assumendo connotati moderni e l’industria s’irrobustiva, all’interno di processi che nelle diverse aree territoriali venivano da lontano
e affondavano le radici proprio nella cultura contadina. Nel frattempo, veniva introdotta una novità negli studi storici dello sviluppo economico.

Agli inizi degli anni Sessanta, Gerschenkron pubblicava la sua “teoria dell’industrializzazione tardiva” che introduceva il concetto di “vantaggio dell’arretratezza”. Un’impostazione che risolveva il problema storico dello sviluppo capitalistico in Italia, rendendo irrilevante il rapporto logico tra sviluppo capitalistico agricolo e sviluppo industriale e spiegando, anche sul piano teorico, il peculiare sviluppo economico e sociale del nostro Paese realizzatosi in alcune regioni fin dall’Ottocento.

Sereni era una personalità fortemente contraddittoria. Da una parte asseriva con convinzione che la collettivizzazione delle terre fosse la palla al piede dell’URSS, dall’altra non si lascerà scalfire la sua fede smisurata nel comunismo sovietico nemmeno nel 1968, quando i carri armati occuperanno Praga e il partito italiano si mostrerà fortemente critico nei confronti di Mosca. L’Alleanza dei contadini ne resterà enormemente influenzata, tra un rigoglio di elaborazione originale della politica agricola ed una soggezione ferrea alle logiche di partito.

Sereni guidò l’Alleanza dei contadini senza attenuare affatto il suo impegno sul terreno culturale e politico. Sicché, nel 1961 venne pubblicata un’altra sua opera fondamentale: Storia del paesaggio
agrario italiano. Per espressa dichiarazione dell’autore, il volume era stato costruito attraverso la raccolta e lo spoglio di oltre centomila immagini. Era una provocazione culturale perché nell’accademia era considerato pericoloso per lo storico utilizzare come fonti principali le immagini e l’iconografia artistica.

Sereni era cosciente di ciò e non lo faceva a cuor leggero. E tuttavia l’opera, per quanto mutilata in sede di stampa, esprimeva compiutamente la sua idea, marxianamente ortodossa, che in fondo la “sovrastruttura” rappresentata dall’arte non era solo maschera ma ben rispecchiava quelle “strutture” economiche sottostanti che definiscono il succedersi delle varie formazioni economico-sociali.
Si trattò di una lezione provocatoria sull’uso delle fonti, ma che offriva un’idea di grande spessore storico, di lunga durata, dei fenomeni che modellano continuamente, attraverso l’uso produttivo del suolo, il rapporto dell’uomo con la terra.

In Sereni la ricerca storiografica e storico-linguistica era inscindibile da quella degli impegni quotidiani nel partito, nell’Alleanza e nelle aule parlamentari. Durante le riunioni di lavoro che duravano anche intere giornate, mentre ascoltava, tagliava continuamente le sue schedine bibliografiche o prendeva appunti per un testo sull’età preromana da preparare la notte successiva.

A straordinarie capacità intellettive, evidentemente innate, si univa sempre nello studioso una grande determinazione. E solo quell’impasto di intelligenza, passione e responsabilità poté dar vita ad una elaborazione culturale e politica di primario valore e ad un’esperienza umana collettiva che ancora oggi costituisce una delle radici più solide delle culture politiche del nostro tempo.

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