Visioni

Non un disegno calato dal cielo

Alfonso Pascale

Per comprendere il senso della discussione che oggi stiamo facendo sul nostro rapporto con l’Europa bisogna partire da una data che segnò una forte discontinuità nell’evoluzione dell’Europa contemporanea: il 4 ottobre 1990 quando la Germania venne riunificata.

I Paesi europei si trovarono all’improvviso dinanzi ad un problema nuovo: rendere effettivamente europea la “grande Germania”. Per affrontare quel problema che metteva in discussione tutti gli equilibri esistenti, la scelta fu quella di realizzare l’Unione economico-monetaria europea. E da quel momento gli Stati nazionali si trasformarono in Stati membri dell’Unione economico-monetaria europea.

Con tale decisione la sovranità venne frammentata secondo una modalità che gli Stati nazionali non erano (e continuano a non essere) preparati ad affrontare. E soprattutto le loro leadership non erano e non sono abituate ad affrontare.

Il ritardo più grave è l’asimmetria che si crea nella politica. La quale è rimasta sostanzialmente nazionale, mentre invece le politiche che incidono fortemente sulla vita dei cittadini sono diventate europee. Questa situazione ha creato una frattura a cui, in questi 25 anni, pochi hanno prestato attenzione: la divisione tra chi vuole stare nell’interdipendenza (Stati membri e Unione) e chi non vuole stare nell’interdipendenza. E questa frattura non ha nulla a che fare con la frattura tipica del Novecento: quella tra sinistra e destra. La frattura interdipendenza sì / interdipendenza no attraversa trasversalmente la divisione tra sinistra e destra. E questa situazione ha creato sfide enormi sul piano culturale perché il bagaglio delle esperienze politiche del novecento è tutto legato al conflitto sinistra e destra. E non prevede fratture che lo sovrastano.

Innanzitutto, va reinventato completamente il significato di categorie concettuali come “europeismo” e “sovranismo”. Questi due concetti hanno perduto i significati che avevano nei decenni precedenti all’unione politico-monetaria. Ma la creazione di questa nuova cultura politica richiede uno sforzo enorme perché mette in discussione una serie di antichi convincimenti che oggi sono del tutto privi di senso.

Non ha infatti più senso associare il concetto di eguaglianza a quello di Stato quando la sovranità degli Stati nazionali perde vigore. Mentre si pone l’esigenza di creare nuove sovranità sovranazionali non concepite come super-Stati ma come unioni di Stati. A questo punto ci viene incontro l’idea di giustizia elaborata da Amarthia Sen applicabile negli accordi internazionali e nei comportamenti pratici da regolare tra istituzioni e gruppi sociali, come nuovo terreno su cui rinforzare la democrazia in una società aperta. Quanta materia per creare un nuovo pensiero democratico se poco poco ci rimettessimo a studiare!

L’altra questione di cui tener conto è che l’attuale forma dell’interdipendenza europea non è sorta come un disegno calato dal cielo, ma è stata ideata e realizzata nel fuoco di continue negoziazioni degli Stati membri e compromessi raggiunti in base a rapporti di forza e differenti capacità di iniziativa politica dimostrata dagli Stati membri.

Questa dimensione intergovernativa del sistema decisionale europeo ha prodotto l’attuale forma della interdipendenza che crea diseguaglianze e squilibri e, di conseguenza, sentimenti antieuropeisti nei cittadini. Ma questo avviene non per cattiveria, non per disegno dei singoli Stati membri, ma come esito della logica intergorvernativa. E così Paesi che sono arrivati preparati alla forma dell’interdipendenza adottata hanno ottenuto più benefici, mentre altri Paesi che avevano ritardi, problemi strutturali e forti divisioni interne sono risultati deboli nei rapporti di forza ed hanno subito le preferenze di altri.

E’ dunque il meccanismo intergovernativo che produce l'”egemonia” tedesca, non la volontà specifica del governo tedesco. Anzi, va ricordato che quando si fece il trattato di Maastricht, Kohl era favorevole ad introdurre un meccanismo decisionale sovranazionale. Ma ad opporsi furono i francesi perché pensavano di rimanere isolati nel Parlamento europeo. E spinsero verso la logica intergovernativa. Ma quella decisione ha nel tempo penalizzato la Francia e l’Italia che non sono più riuscite ad equilibrare la situazione con la Germania nelle decisioni riguardanti l’Eurozona. Un test di questa tesi è il differente peso del voto sovranista in Francia (40%) e in Italia ((49%) rispetto alla Germania (13%) dovuto proprio al differente grado di insoddisfazione verso le politiche europee.

C’è infine una terza questione che è emersa con forza in questa crisi politica: la divisione è tra chi vuole tornare alla lira e chi no, tra chi vuole recuperare la sovranità nazionale sulle politiche monetarie e chi pensa di creare maggiore integrazione europea con nuove regole.

Il fronte sovranista si presenta con contraddizioni interne che spesso vengono camuffate nella comunicazione politica introducendo forti elementi di ambiguità. Di qui l’esigenza di sfidare i sovranisti sul loro terreno per far emergere le loro contraddizioni. Evitando di addomesticare le loro posizioni, magari prendendo solo quelle che potrebbero apparire “di sinistra” e tacendo le altre che invece sono del tutto in linea con le posizioni della destra estrema.

Il M5S non si preoccupa di proporre soluzioni per rinnovare la governance europea: esso pone nel dibattito pubblico una serie di esigenze materiali che, a suo dire, potrebbero essere soddisfatte solo recuperando la sovranità in materia monetaria. Nel suo programma è scritto chiaramente come uscire dall’Euro. Ma dopo l’esperienza della Brexit, i sovranisti non vogliono più uscire dall’Europa: vogliono recuperare la sovranità monetaria, rimanendo però in Europa per avvantaggiarsi delle altre politiche. Anche nel gruppo di Visegrad la divisione non è più tra chi vuole restare in Europa e chi vuole uscire, ma tra chi vuole che il processo di integrazione si fermi al punto in cui è arrivato e chi vuole che si prosegua in tale direzione. La parola secessione non esiste più nel dibattito delle classi dirigenti dei Paesi dell’Est che ogni giorno sparano contro Bruxelles. E questo vale anche per l’Italia e per la Francia, dove la Le Pen sta trasformando il suo movimento da Front national a Rassemblement national e tenta di entrare nel Partito popolare europeo, in cui si sta formando un’alleanza tra sovranisti ed euroscettici.

I sovranisti in Italia agiscono convulsamente in questa situazione in movimento con l’intento – in queste ore – di contribuire a produrre una disarticolazione e riarticolazione delle forze in campo, in diretto collegamento con soggetti politici in Europa e fuori dall’Europa. Il contratto di stretta collaborazione tra la Lega di Salvini e “Russia Unita” di Putin lo dimostra.

Dinanzi a questi processi molto veloci, vi è bisogno di costruire un patto politico tra gli europeisti dell’Eurozona. Sul tappeto ci sono attualmente solo le proposte di Macron su cui finora nessuno ha mostrato un vero interesse: mettere in comune poche ma efficaci politiche e lasciare alla sovranità nazionale tutto il resto senza più sovrapposizioni che impediscano di distinguere con nettezza le responsabilità politiche tra le due sovranità. Ci vuole però un bilancio comune alimentato dalla fiscalità generale. Non esiste, infatti, rappresentatività senza sovranità sul piano fiscale. Il Parlamento europeo è l’unico parlamento al mondo a non approvare un bilancio, ma solo una nota spesa sulla base di un budget deciso dal Consiglio degli Stati membri.

Dobbiamo prendere coscienza che su questi elementi strutturali si è creata ed alimentata la disaffezione dei cittadini europei verso l’Unione. Ed è su questi temi che va costruito un “Patto politico repubblicano” con forti alleanze con soggetti politici europei che vogliono realmente uscire dallo stallo in cui l’Unione oggi si è cacciata per inerzia e pigrizia delle leadership dei maggiori Paesi.

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