Visioni

Occorre che qualcuno tolga la pietra

Sante Ambrosi

Gesù si trova davanti alla tomba dove è stato deposto il suo amico Lazzaro.

Come narra molto bene l’evangelista Giovanni al capitolo 11 del suo Vangelo, quando Lazzaro è colpito da una malattia che lo porterà alla morte, Gesù è lontano. Venuto a conoscenza delle condizioni dell’amico, Gesù non si muove, anzi, all’inizio sembra non preoccuparsi per niente.

Una volta saputo della sua morte, Gesù parte dai luoghi dove si era rifugiato per evitare le ire dei Giudei che lo volevano uccidere. Arrivato nei pressi della grotta dove era stato sepolto l’amico, incontra le sorelle del defunto, prima Marta e, subito dopo, Maria, due donne che Gesù conosceva molto bene, che amava e dalle quali era amato. Sono felici di vederlo, ma hanno anche il coraggio di esprimere un garbato rimprovero: “Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto”.

Gesù tenta di convincerle che niente era finito con la morte di Lazzaro, anzi. Egli pensa che sia giunto il momento di rivelare la cosa che più gli interessa: “Chi crede in me avrà la vita che non conosce morte”.

Il suo annuncio non prefigurava la risurrezione di un corpo, cosa che poi avverrà, ma solo per dimostrare la verità del messaggio.

Egli voleva aprire un orizzonte completamente nuovo sulla vita, un orizzonte che non era nelle corde di quelle donne, vere amiche di Gesù, ma profondamente legate ad una vita che coincideva con quel corpo e con quell’esistenza di un fratello che non c’era più. Ed ecco il punto della questione posta da Gesù e dal miracolo che compie: Gesù vorrebbe liberare le sorelle e, con loro, gli uomini di ogni tempo, dalle strettoie di un’esistenza che si chiude comunque con la morte. Come sappiamo, tale strettoia ha coinvolto da sempre gli uomini con fasi diverse nella sostanza, ma sempre caratterizzate da sofferenza e tristezza.

Oggi, anche noi abbiamo più di un fratello Lazzaro morto. Lo apprendiamo ogni giorno dai notiziari che ascoltiamo alla televisione, lo leggiamo sui giornali. Siamo dominati da una tristezza che non dipende solo dalle morti che ci sono e che ci saranno, ma più ancora dal fatto che non intravediamo un futuro dove splenda il sole, un mondo nuovo che non sia la ripetizione del passato, ma pieno di vita e di gioia per tutti. Siamo tutti accaniti difensori del corpo destinato alla morte.

Mentre riflettevo su tali concetti, una mattina molto presto, mentre facevo un po’ di colazione, ascoltavo alla radio un dialogo tra un giornalista e un astronauta, il quale aveva già realizzato viaggi nei cieli e voleva ritornare ad esplorarli spingendosi possibilmente oltre le mete già raggiunte in precedenti esperienze. Il giornalista gli chiedeva: come mai ti accingi a solcare gli spazi infiniti dei cieli inesplorati in un momento come quello che stiamo vivendo, con un virus insidioso e pericoloso che ci tiene tutti dentro una specie di tomba e che causa ogni giorno tante morti?

Non so, spiegava l’astronauta, se questa mia nuova impresa potrà aiutare la nostra società a risolvere questa pandemia, ma io, personalmente, sento che sia necessario esplorare l’immensità dei cieli alla ricerca di altri mondi, non tanto per risolvere i problemi attuali e legati al nostro corpo, ma perché sono convinto che incontrare altri mondi ci aiuti a comprendere che non esiste solo il nostro e il nostro presente. Forse, questo nostro mondo ha bisogno di aprirsi a qualcosa che lo oltrepassi.

Solo così potrebbe diventare più bello e vivibile e renderebbe tutti noi certamente più umani. Voglio navigare tra i cieli infiniti alla scoperta di un mondo nuovo, per vedere se sia possibile vederlo come meta anche del nostro.

A Pasqua occorre che qualcuno tolga la pietra.

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