Visioni

Palmiro, un libero contadino

Alfonso Pascale

Al di là delle ideologie, propongo quale “incursione” di questa settimana una breve nota di Alfonso Pascale dedicata ai cinquant’anni dalla morte di Palmiro Togliatti. Nella rivista “l’albatros” – numero 3/2014 – è stato pubblicato, proprio a firma di Pascale, il saggio “Un libero contadino che coltiva la Repubblica. Togliatti e le campagne”. Molto ricco l’indice dei paragrafi, e su facebook è stata appositamente creata una pagina che si può consultare QUI. Mentre, per chi non conosce l’attento lavoro di Pascale, consigliamo di curiosare nel suo sito web: QUI. (Luigi Caricato)

A cinquanta anni dalla morte di Palmiro Togliatti e a settanta dal suo rientro in Italia, dopo diciotto anni di esilio in Unione Sovietica, è utile tornare a riflettere sul lascito politico e intellettuale di questa straordinaria personalità del novecento. La crisi di senso che da tempo viviamo dipende anche dal fatto che protagonisti del recente passato, i quali sono stati artefici di tradizioni politico-culturali che hanno contribuito fattivamente alla costruzione delle istituzioni repubblicane, ma anche delle culture e delle mentalità oggi più diffuse nel nostro paese, siano stati del tutto dimenticati. Eppure sono convinto che tali tradizioni rappresentano, nel bene e nel male, le radici del nostro presente e continuano comunque a influenzarlo perché, volenti o nolenti, fanno parte del nostro DNA.

Le radici di noi italiani sono anche radici comuniste, socialiste e democristiane. È per questo che faremmo bene a rielaborarle, criticamente e consapevolmente, senza pietosi occultamenti o struggimenti nostalgici. Per quanto riguarda le radici comuniste, dovremmo imparare a distinguere gli errori del PCI (il più tragico dei quali è stato quello di non dissociarsi per tempo dal dispotismo di Stalin e dei suoi eredi e di non liberare del tutto l’idea di eguaglianza dal mito industrialista della socializzazione operaia) e gli aspetti ormai non più servibili o incompatibili di quella cultura con le nostre odierne sensibilità da tutto ciò che, invece, ancora oggi può costituire linfa vitale a cui attingere per guardare con ragionevoli speranze al futuro.

Togliatti era nato a Genova in una famiglia tipica della piccola borghesia piemontese. I genitori erano maestri elementari e lui era terzo di quattro fratelli. Nel retro della casa di Sondrio, dove si erano trasferiti quando lui era ancora bambino, c’era un orto, a cui la mamma Teresa accudiva per integrare il bilancio familiare. Lì Palmiro e i suoi fratelli avevano imparato ad allevare ogni sorta di animali e a coltivare fiori e ortaggi. Per due mesi dell’estate andavano a vivere a duemila metri in un fienile affittato per poche lire e si nutrivano del cibo dei pastori. Nei pochi giorni di riposo concessigli dal lavoro, il padre Antonio faceva da guida ai ragazzi in lunghissime gite.

L’amore per la terra e la passione per le escursioni in montagna non lo abbandoneranno mai più. I nonni paterni vivevano a Coassolo Torinese ed erano proprietari di poco più di un ettaro di terreno, coltivato a prato e a pascolo e con qualche albero da frutta; qualche pecora e pochi animali da cortile completavano il loro magro patrimonio.

Col suo puntiglio storico e filologico, il futuro capo del PCI andrà alla ricerca delle origini della sua famiglia e scoprirà che fin dal 1300 i suoi antenati erano “liberi contadini”. “Come vede – scrive a Carlo Trabucco – non mi mancano i titoli di nobiltà, e quella vera”.

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