Il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, ha approfittato di un convegno a Bruxelles per tratteggiare i principi della prossima proposta sui finanziamenti pluriennali comunitari 2021-2027. È cominciato così, nei fatti, il negoziato europeo più divisivo dei due anni che stanno dinanzi a noi: quello sul bilancio. Ma la notizia è stata ignorata dal mondo agricolo come se la cosa non avesse alcuna rilevanza per il settore.
Eppure, dovrebbe ormai essere chiaro che, senza un assetto istituzionale nuovo, l’Europa è destinata ad implodere insieme alle sue vecchie politiche, compresa la Pac. Ma dotarsi di istituzioni democratiche di governo significa necessariamente una diversa distribuzione dei finanziamenti pluriennali del suo bilancio e, conseguentemente, una Pac completamente nuova rispetto a quella che abbiamo conosciuto finora. Il tema non riguarda solo il fatto che il nuovo bilancio si troverà con un buco di 12-13 miliardi l’anno dopo il 31 dicembre 2020, quando il Regno unito sarà uscito dal club e avrà esaurito il periodo transitorio post Brexit. Il problema principale è che il nuovo bilancio dovrà fare i conti con le necessarie modifiche da apportare agli assetti istituzionali europei. E dunque, in ogni caso, per l’agricoltura si aprirà una pagina da scrivere con un approccio completamente diverso da quello del passato. Ma questa consapevolezza pare non esserci.
Le proposte in campo
Il presidente Juncker, tra le altre cose, ha detto che le politiche a favore della coesione e dell’agricoltura andranno modernizzate, ma non ridotte “oltre misura”. Una posizione coerente con la sua impostazione volta a difendere il più possibile lo status quo sul piano degli assetti istituzionali. Ma con la chiara coscienza che qualcosa nel profondo bisognerà comunque ritoccare. Del resto, basta guardare la ripartizione dei finanziamenti pluriennali 2014-2020 per rendersi conto del distacco profondo tra l’Europa esistente e quella che dovrebbe essere per fronteggiare le nuove sfide. L’attuale bilancio prevede finanziamenti pluriennali che ammontano a 1.087 miliardi di euro. Essi sono così ripartiti: 420 alla politica agricola e alla pesca (39%), 371,4 alla politica di coesione (34%), 142,1 al sostegno della competitività per la crescita e il lavoro (13%), 69,6 all’amministrazione (6%), 66,3 alla politica globale e alla cooperazione internazionale (6%).
La Francia di Emmanuel Macron, in una nota riservata pubblicata dal sito Contexte, ha fatto sapere che proporrà altre priorità finanziarie: la difesa, le frontiere, l’integrazione dei rifugiati, la ricerca e l’innovazione, la mobilità dei giovani. Dice la nota francese che “la messa in opera di queste nuove priorità dovrà essere accompagnata da una riforma delle politiche più vecchie (PAC e Coesione)”.
Per la Pac post 2020, la Commissione europea ha già annunciato con la Comunicazione Il futuro dell’alimentazione e dell’agricoltura una posizione estremamente difensiva e immobilistica. Come ha commentato l’economista agrario Franco Sotte, il cuore del documento rimane all’interno di una logica di sussidi basati sul possesso della terra a conferma, nella sostanza, dell’attuale impianto della PAC. La lista di ambiziosi e condivisibili obiettivi orientati al lungo termine stride con la modestia dei mezzi mobilitati per perseguirli. Si perpetua e si difende la logica degli interventi di breve termine, riguardo ai quali peraltro si riconosce come l’efficacia sia modesta e la distribuzione sia squilibrata a beneficio di percettori niente affatto prioritari. Si afferma, è vero, l’intenzione di smussare le punte di questa distribuzione e di favorire gli agricoltori più meritevoli di sostegno ma, come si è già sperimentato con la convergenza interna e con il greening (commisurato in Italia così come in tanti altri Stati membri al pagamento base), potenti lobby sono pronte ad attivarsi per difendere, assieme ai pagamenti diretti, anche la loro squilibrata ed iniqua distribuzione.
Per battere il conservatorismo di tali posizioni, le componenti più innovative dell’agricoltura europea dovrebbero legare strettamente il dibattito sui nuovi assetti istituzionali europei a quello sulle politiche. Le recenti posizioni maturate in Francia (su cui discutono animatamente Angela Merkel e Martin Schulz in Germania) favoriscono tali connessioni. Quando Macron mette in questione la sovranità nazionale per poter rafforzare quella europea e, nello stesso tempo, pone l’esigenza di individuare nuove priorità finanziare, sollecitando una profonda riforma della PAC e della Politica di Coesione, apre il varco per un confronto a tutto campo a cui le forze riformiste ed europeiste dovrebbero partecipare con una chiara visione rivolta al cambiamento.
Prime idee per una politica agricola degli Stati Uniti d’Europa
Gli Stati Uniti d’Europa avrebbero bisogno di un nucleo di politiche comuni che, per rimanere tali e funzionare in modo efficace, dovrebbero essere fondate su una chiara delimitazione delle competenze europee e su pochi obiettivi ben individuati e verificabili. Tutto il resto, in termini di competenze e obiettivi, andrebbe lasciato, in modo esplicito, alle politiche degli Stati membri: nazionali, regionali e locali. È in tale prospettiva che andrebbe pensato il futuro dell’alimentazione e dell’agricoltura.
Nei trattati, l’unione doganale, la politica commerciale comune e la conclusione di accordi internazionali sono chiaramente individuate come competenze esclusive dell’Unione. In materia di sicurezza degli alimenti, gli Stati membri hanno, nel tempo, attribuito all’Unione Europea una serie di competenze delimitate in modo abbastanza lindo, le quali rispondono a due obiettivi ben specificati: 1) proteggere la salute umana e gli interessi dei consumatori; 2) favorire il corretto funzionamento del mercato unico europeo. In tale quadro, l’Unione Europea provvede affinché siano definite (e rispettate) norme di controllo nei settori dell’igiene dei prodotti alimentari e dei mangimi, della salute animale e vegetale e della prevenzione della contaminazione degli alimenti da sostanze esterne. L’Unione Europea disciplina altresì l’etichettatura dei generi alimentari e dei mangimi. Tali competenze è bene che continuino ad essere attribuite al livello istituzionale europeo.
Per la materia agricoltura occorre, invece, uno sdoppiamento. Andrebbero estrapolate dall’attuale PAC quelle competenze che si legano effettivamente ad obiettivi raggiungibili esclusivamente mediante una politica comune. Tutte le altre competenze andrebbero attribuite esplicitamente agli Stati membri per il semplice motivo che solo questi possono effettivamente governare la convivenza virtuosa e non conflittuale della pluralità delle agricolture europee.
La PAC andrebbe, pertanto, fortemente semplificata e ridotta ad alcuni interventi essenziali e configurabili come effettiva politica comune: 1) sostegno e coordinamento del sistema della conoscenza e dell’innovazione nelle molteplici agricolture europee; 2) sostegno del sistema assicurativo per gestire i rischi degli agricoltori derivanti dalla volatilità dei prezzi e dai cambiamenti climatici; 3) coordinamento tra i primi due interventi e le altre politiche comuni.
Una scelta incentrata sulla conoscenza, sul capitale umano e sull’innovazione comporta inevitabilmente l’eliminazione dell’attuale meccanismo dei pagamenti diretti, mantenuto in piedi dal coagularsi nel tempo di forti corporativismi e conservatorismi, sia nelle amministrazioni pubbliche che nei corpi intermedi. Tale meccanismo permette una distribuzione sperequata di risorse pubbliche tra soggetti e territori. Impedisce l’accesso dei giovani. Discrimina le zone svantaggiate e, principalmente, la montagna. Si configura come una forma di rendita quando i prezzi di mercato sono alti, mentre è del tutto incapace di assicurare un reddito accettabile quando i prezzi calano.
L’altra conseguenza del nuovo approccio alla politica comune in agricoltura è quella di ricondurre lo sviluppo rurale alla politica regionale. Lo sviluppo rurale ha svolto finora la funzione di trattenere nell’ambito della PAC i sostegni agli investimenti. Ma questi, per essere efficaci, dovrebbero essere destinati non più agli agricoltori ma ai sistemi territoriali, in cui le molteplici agricolture s’intrecciano con gli altri settori produttivi e coi sistemi di welfare.
Anche la politica regionale andrebbe fortemente semplificata e ridotta essenzialmente alle grandi opere infrastrutturali. Mentre la politica di sviluppo locale – nel quadro di un sostegno finanziario per la coesione – dovrebbe più coerentemente rientrare tra le competenze nazionali, regionali e locali.
L’agricoltura che reinventa la propria anima politica
Le molteplici agricolture europee avrebbero tutto l’interesse ad una riorganizzazione delle istituzioni, delle competenze e degli obiettivi in agricoltura che vada in tale direzione, per poter esprimere nei sistemi locali pienamente le proprie potenzialità e peculiarità. Ma non devono immaginare che la politica non abbia più spazio nella globalizzazione e che sia sufficiente esprimere consapevolezza e senso di responsabilità solo nei comportamenti individuali senza tentare di incidere negli assetti istituzionali sovranazionali. Gli attori delle agricolture europee dovranno sempre più reinventare la funzione primaria dell’agricoltura che è stata, fin dalle origini, quella di generare comunità e istituzioni con cui le comunità umane hanno agito per il «ben vivere» nel mondo.
L’agricoltura ha da sempre posseduto un’anima politica e oggi è il tempo di reinventarla, esporla in pubblico e darle forma. Essa può svolgere un ruolo di laboratorio fondamentale del processo di costruzione europea, così come egregiamente lo svolse, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, quando l’obiettivo comune dei sei Paesi fondatori era l’autosufficienza alimentare. Ma, una volta conseguito il traguardo già alla fine degli anni Settanta, la PAC dismise quella funzione e incominciò a perseguire, in modo contraddittorio e confuso, interessi particolaristici, legati ad una molteplicità di modelli e sistemi agricoli. Una varietà difficilmente riconducibile ad una convivenza armonica mediante una politica comune, caratterizzata dal principio di unicità. Se si prende finalmente coscienza che da sempre la peculiarità dell’agricoltura europea è nella varietà dei suoi modelli e che sta qui la sua forza originaria anche nel confronto con le altre agricolture del pianeta, si potrà dare effettivamente impulso alla costruzione degli Stati Uniti d’Europa.
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