Visioni

Quel che ho capito del settore oleario

Chiara Di Modugno

Se avessi dovuto formulare una risposta a questa riflessione qualche tempo fa, probabilmente mi sarei trovata senza parole e aggettivi sufficienti per poterlo fare. Ancora oggi mi viene difficile dare sentenze e giudicare qualcosa che ho iniziato a conoscere da poco, d’altronde Olio Officina mi ha accolta a settembre dello scorso anno, ma sicuramente in questi mesi mi ha insegnato a guardare questo mondo attraverso un occhio inevitabilmente più critico.

Il settore olivicolo è caratterizzato da una forte frammentazione, e non solo perché esistono aziende di grandi dimensioni conosciute anche oltreoceano e altre limitate a un territorio specifico, questo è comune a ogni categoria merceologica, ma perché il modo di approcciare al mercato, alla comunicazione e alle iniziative crea una forte disomogeneità che impedisce una crescita generale: ho percepito in prima persona l’astio che circola tra gli attori, la gelosia senza fondamenta che porta a una mancanza di relazioni. Pur non amando i paragoni come mezzo per descrivere, diventa inevitabile considerare come il settore vinicolo si sia mosso negli anni, non tanto a livello nazionale, non è questa la sede per soffermarsi su questioni già affermate, quanto locale. Perché le realtà apparentemente minori possono offrire dei nuovi metodi di approccio e nuove visioni, applicabili non solo a un contesto specifico. Abito in Piemonte, in un paese vicino a Gavi, e non occorre essere per forza sommelier per conoscere il Gavi e altri vini di questa zona. Le aziende produttrici collaborano e organizzano da diversi anni un evento, distribuito su più giornate, per far conoscere i propri vini e per incentivare, di conseguenza, l’acquisto di altre tipicità e il turismo nel territorio. Perché lo stesso sentimento di appartenenza non è possibile per il settore oleario, perlomeno a livello locale?

La rivalità esiste, e risulta banale affermare che muove il mercato e le strategie di marketing, ma ci sono situazioni tali per cui occorre accantonarla per guardare al giovamento che questo tipo di iniziative porterebbero a una lunga serie di aspetti.

Certo, eventi di questa natura si trovano anche nel mondo olivicolo, ma la mia esperienza mi porta a dire, e non nel momento stesso in cui mi ci trovavo, ma oggi, dopo essermi avvicinata a queste dinamiche, che circola un’atmosfera molto distaccata e le motivazioni per cui vi sia una assenza di stima sono rintracciabili in più cause.

Insomma, se una azienda sceglie un tipo di tecnologia in campo, se ha la possibilità in termini di spazio e superficie di adottare un sistema colturale ad altissima intensità, ce ne sarà un’altra che vedrà in questo gesto un tradimento di quelli che sono i metodi tradizionali.

Si tratta di un qualcosa di nuovo che non viene accettato, e quindi non si può stimare chi ha deciso di intraprendere una scelta distante da quello che ha mosso il settore fino ad oggi.

Eppure, io stessa ho compreso i benefici di questo determinato metodo colturale; quindi, mi domando perché si resti cechi davanti allo sviluppo e al miglioramento di una serie di aspetti che l’altissima densità, ad esempio, porta con sé.

Questo atteggiamento, inevitabilmente, confluisce nel non accettare il lavoro altrui e si traduce in una chiusura mentale delineata dalla rivalità più assoluta, non quella che, come dicevamo, muove le strategie del mercato, ma quella che lo rende immobile e incapace di aprirsi a nuove visioni.

Però, al contempo, la quasi totalità delle case olearie possiede un frantoio di ultima generazione, con nuovi impianti di estrazione, totalmente rivoluzionati fino a quelli adottati in passato, ma quindi come è possibile che ci sia questa incoerenza? Perché si dovrebbe modernizzare solo a metà il proprio lavoro? Ma soprattutto, perché bisogna giudicare chi ha deciso di intraprendere la strada del progresso?

Ovviamente non voglio generalizzare, non credo che si ritrovi questo atteggiamento in ogni realtà che compone il settore, ma purtroppo è la mentalità predominante, ed è quella che dà forma a questo mondo.

Ed è proprio questa assenza di aggregazione e di appartenenza che impedisce al comparto oleario di compiere un salto decisivo, lasciandolo così limitato a un confine mentalmente, ma non solo, distante, incapace di migliorare nella sua totalità.

Infatti, ad avere risalto, sono quelle aziende che hanno deciso di investire in termini di tecnologia e che hanno visto nella comunicazione e nel design delle bottiglie degli elementi decisivi su cui lavorare per modellare la propria voce, capace di contraddistinguere la visione del mondo e il modo che si ha di raccontarlo.

L’aspetto comunicativo è migliorato progressivamente, e con questo intendo sia il lavoro che avviene sui canali tradizionali, sia attraverso la scelta di nuove bottiglie, quando si è compreso che non si poteva più tralasciare, ma anche questo significa tradire la cultura olearia? Forse per alcune aziende sì, e quindi restano ancorate a etichette e bottiglie anonime. Altre, magari, vedono nella comunicazione qualcosa di trascurabile perché l’olio è un prodotto di valore che non necessita di altro per essere raccontato.

Forse, ma non sono sinceramente di questa idea.

L’adozione di questo approccio non ha portato a nulla di positivo, e si continua ad accantonare l’olio alla sola categoria dei condimenti, quando invece una narrazione di un certo tipo lo porterebbe a essere considerato come parte determinante di un piatto. Ma il consumatore non impara da solo, deve essere accompagnato, e le aziende, in questo processo, ricoprono un ruolo chiave.

Quindi, quello che ho capito di questo mondo è che ha bisogno di una rivoluzione, già silenziosamente cominciata, ma sono ancora poche le case olearie che hanno una certa idea del futuro e, visto il numero ridotto, non riescono a trainare le migliaia che hanno deciso di restare indietro.

Sì, per me è una decisione quella di non voler provare ad andare oltre quello che si è costruito, e se resterò ancora per tanto in questa realtà potrò, forse, assistere a una progressiva crescita.

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