Visioni

Su quali basi avvengono le scelte degli acquisti alimentari

Alberto Guidorzi

In Germania gli studenti dell’Università di Osnabrück hanno fatto un sondaggio privato. Si sono messi davanti ad un supermercato ed hanno chiesto su quali basi facevano le loro scelte di acquisti alimentari gli avventori. Le risposte più comuni sono state che acquistavano di preferenza: biologico, regionale e stagionale. Diremmo che tutti si sono adeguati a non scostarsi troppo dal “pensare correttamente” che oggi impera. Solo che i sondaggisti, senza avvisare gli intervistati, hanno poi visionato i carrelli della spesa all’uscita ed hanno constatato che nell’85% dei carrelli gli acquisti non rispettavano per nulla le intenzioni iniziali. Gli acquisti fatti erano dettati unicamente dal minor prezzo possibile. Insomma l’indottrinamento ricevuto da social e media li induceva addirittura a mentire a sé stessi.

Di fronte a questi comportamenti si pone il problema di come la realtà produttiva agricola si deve orientare. La situazione della Germania è la seguente: Il 90% della superficie agricola è adibita alla produzione di cibo convenzionale, e solo il 10% è produzione certificata biologica. Questo 10% però dobbiamo analizzarlo perché molta di questa superficie (almeno la metà) è solo certificata biologica, ma non produce cibo perché o si tratta di coltivazioni dismesse o di superfici non coltivate come lo è un prato-pascolo; su queste superfici, sia nell’uno che nell’altro caso, non si distribuiscono concimi di sintesi e tanto meno si proteggono dai parassiti irrorandoli con fitofarmaci.

Si certificano biologiche perché si lucra solo sui contributi supplementari concessi al biologico. In Italia è la stessa identica cosa: abbiamo un 15% di superficie a biologico, ma il 60% di questa non produce cibo. Se poi analizziamo le produzioni di carne (suina) il biologico scende al 2%. Inoltre, a causa dell’attuale inflazione e conseguenti rincari, la percentuale di alimenti biologici che viene acquistata è in netta diminuzione. Il biologico ora viene acquistato quasi esclusivamente dai discount che in questo modo si rifanno l’immagine, ma qui, visti i prezzi, vi è da chiedersi da dove viene la merce?

Insomma il consumatore pretende molto dall’agricoltura e poi, tramite la scelta del prezzo basso, fa sì che la grande distribuzione voglia comprare ciò che vende a prezzi sempre più stracciati.

Insomma non vuole carne da allevamenti intensivi ed esige carne a poco prezzo, vuole frutta e verdura perfetta e non vuole che si faccia difesa chimica, non vuole l’uso di concimi chimici e denuncia gli agricoltori che distribuiscono letame vicino alle loro case. Il colmo dei colmi lo si raggiunge presso i coltivatori biologici che non potendo concimare con concimi di sintesi, e pur di non detenere una stalla da cui ricavare letame, o lo comprano da agricoltori convenzionali che concimano e distribuiscono fitosanitari oppure preferisce buttare nei terreni i più strani compost.

Non vi pare che coloro che sbandierano che concimano organico e non inorganico sarebbe bene che si autoproducessero il letame? Il letame che usano invece proviene da allevamenti intensivi, ma nel contempo si dice che dovrebbero essere banditi perché le vacche ivi contenute eruttano metano durante la digestione. Vogliono che le vacche stiano al pascolo, ma non sanno che mangiando di preferenza erba producono molto più metano che non mangiando mangimi concentrati. Ma si sono mai chiesti da dove viene il metano zootecnico? Esso viene dai batteri presenti negli stomaci dei ruminanti che operano la distruzione della cellulosa e della lignina per ricavare elementi che permette loro di produrre amminoacidi nobili che nei vegetali non si trovano.

Non sanno pure che il metano è sì un gas ad effetto serra peggiore dell’anidride carbonica, ma nell’aria ci rimane solo 10 anni, perché è man mano trasformato in anidride carbonica che non è altro che il costituente base della fotosintesi vegetale, cioè capace di captare carbonio dall’aria e fissarlo nei vegetali.

Non sanno pure che il metano è prodotto anche dalla fermentazione della vegetazione morta delle zone umide e paludose, solo che queste non si devono toccare perché conservano la biodiversità. Prima ho citato i ruminanti, però, il consumatore non riflette che tra questi oltre alle vacche, alle pecore e alle capre vi sono anche gazzelle, bisonti, antilopi, alci, giraffe, renne ecc. che pure emettono metano, ma che, però, non devono essere toccate perché facenti parte di quella biodiversità quasi sacra. Insomma al consumatore è stato fatto credere che il metano che esce dagli stomaci di questo mondo e dagli intestini umani è dannoso per il clima e che la vacca è un killer del clima! Il che non è assolutamente vero! Per contro si esulta perché sembra che il turismo abbia un boom e non si fa notare che aerei, automobili e treni bruciando combustibili fossili liberano anidride carbonica della quale i vegetali non ne avrebbero bisogno. Solo che tutti sono concordi nel dire: riduciamo gli animali che ci danne latte, formaggio e carne, ma non accettano che si dica; basta turismo in spiagge lontane per non emettere anidride carbonica inutilmente.

Sopra ho sostenuto che si vorrebbero eliminare almeno il 50% dei fitofarmaci usati in agricoltura e questo fa parte di un piano dell’UE noto come “Farm to fork”, traducibile in “dai campi alla tavola”. Chiedo, ma perché non il 100% visto che eliminando il 50% vedremmo già scomparire dai nostri campi un buon numero di coltivazioni che ci danno attualmente cibo e che ci permetto di fare rotazioni più lunghe? Ad esempio scomparirebbero sicuramente barbabietola da zucchero e il colza, cioè ci toccherebbe comprare olio e zucchero all’estero, che però sarà prodotto usando fitofarmaci molto peggiori di quelli che vorremmo abolire noi in quanto appunto loro non devono sottostare al piano demenziale del “farm to fork” e a decisioni solo ideologiche. Ricordatevelo questo quando andrete a votare per eleggere i nostri rappresentanti in Europa.

Certo nel piano suddetto vi è anche la pretesa che il 25% dell’agricoltura europea diventi biologica entro il 2030, solo che è assodato che la produttività dei campi coltivati con metodo biologico, rispetto a quelli coltivati con metodo convenzionale, è inferiore di un 30-50%. Anche in questo caso il cibo che ci mancherà lo dovremo importare da paesi che, non essendo abitato da fessi, saranno indotti a produrlo nel modo più intensivo possibile. Ma vi è di più da far rimarcare a chi è affascinato dall’ideologia ecologica: una domanda aumentata sui mercati mondiali fa automaticamente aumentare i prezzi e quindi il nostro cibo diventerà più caro (in barba poi ai consumi energetici per trasporti transcontinentali), senza dimenticare che il prezzo ha sempre selezionato i compratori e quindi i prezzi elevati elimineranno dal mercato proprio i popoli di quei paesi che dipendono massivamente dalle importazioni per sfamare la loro gente, ma che lo possono fare solo entro certi limiti di prezzo. Le conseguenze sono molto facili da trarre: più fame, più sconvolgimenti sociali, più emigrazione.

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