Il primo maggio è associato alla festa del lavoro. Per molti giovani è la festa di qualcosa che ancora non c’è. Per tanti è la festa di qualcosa che si è perduto e non si è ancora ritrovato.
Non aver mai lavorato o non lavorare per lunghi periodi comporta gravi sofferenze sotto il profilo psicologico. Una sofferenza che nulla ha a che vedere con il minor reddito, ma con la perdita dell’autostima e del rispetto di sé. Restare a lungo disoccupati significa erodere sensibilmente le proprie capacità effettive di conseguire gli obiettivi di vita.
Queste semplici considerazioni dovrebbero spingere verso l’adozione di misure capaci di incidere sui meccanismi di crescita.
Una di queste misure è sicuramente l’eliminazione degli ostacoli che impediscono l’espansione dell’economia civile.
Bisogna innanzitutto abbattere il pregiudizio negativo nei confronti dell’economia civile e convincersi che si può fare impresa – e dunque essere parte della sfera economica – anche quando si perseguono fini di interesse generale. Le politiche pubbliche ancora non riconoscono questa realtà.
Occorre, poi, rottamare il pensiero unico della concorrenza, quello che considera ogni scambio economico come arena in cui ci sono necessariamente vincitori e perdenti, e recuperare invece il significato etimologico della parola “competere” (cum-petere = crescere insieme).
L’economia civile si potrà espandere non già combattendo le imprese capitalistiche ma affermando un’idea pluralistica degli ethos del mercato, cosa che le politiche ancora non fanno a causa del conflitto imperante tra il pensiero unico del modello imprenditoriale capitalistico e il pensiero unico del modello sociale anticapitalistico.
L’economia civile potrà prosperare solo se si abbandoneranno i pensieri unici e si affermerà un’idea laica dell’economia: pluralistica, collaborativa, reciprocante.
L’economia civile potrà contribuire a creare lavoro se si avvieranno progetti territoriali al fine di promuovere partecipazione, coesione, inclusione, sviluppo locale, legalità e interazione tra le diverse culture. Si tratta di far crescere le persone, la qualità umana dei singoli mediante l’aumento della buona occupazione e della relazionalità.
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