Visioni

Uscita di sicurezza

Alfonso Pascale

Lessi la prima volta Uscita di sicurezza di Ignazio Silone quando giovanissimo mi iscrissi al Pci. Da una chiesa che contestavo perché tradiva lo spirito innovatore del concilio passavo ad un’altra. Trovai l’edizione tascabile dell’opera, edita nel 1971 da Longanesi nella collana economica Pocket.

Un amico mi suggerì questa lettura da affrontare come una sorta di vaccino per la scelta politica che avevo compiuto. E in quel clima di rivolgimenti socio-culturali, riscoprii nel libro la medesima ansia che aveva animato mezzo secolo prima l’adolescenza irrequieta di Secondino Tranquilli, che è il nome originario dell’autore.

Si tratta di otto saggi pubblicati originariamente tra il 1949 e il 1961, raccolti in volume nel 1965: episodi e personaggi della sua esistenza raccontati in forma autobiografica per trarne delle interpretazioni e delle riflessioni più che per ricostruire fedelmente le vicende.

Nel primo gruppo si parla dell’infanzia e dell’adolescenza: Il paese, la terra, i contadini, il padre, il convitto, don Orione. Poi segue il saggio che dà il nome alla raccolta e che costituisce una sorta di memoriale per testimoniare due fuoriuscite: la prima è quella dalla vita paesana e la seconda è quella dal partito comunista. È insieme confessione, manifesto ideale e nota difensiva. In queste pagine e in quelle del blocco successivo si comprende l’essenza dello stalinismo, del partito-chiesa che è, al tempo stesso, “caserma” come tutte le istituzioni che privano le persone delle loro libertà individuali. E in questa vivida e cruda requisitoria emerge chiara e affascinante la visione cristiana ed esistenziale del socialismo che rimane al fondo della riflessione come un distillato venuto a maturazione a seguito di errori e ripensamenti.

L’ultima parte è formata da La pena del ritorno e Ripensare il progresso. Sono entrambi dei ritorni.

Il primo nella terra d’origine dell’autore, l’Abruzzo, subito dopo la guerra e l’esilio. Ma l’esito è negativo perché, nel confronto con le proprie radici, Silone non riesce a ricomporre i diversi pezzi della sua esistenza.

Il secondo è il ritorno alla vita che normalmente vivono le persone dopo la fase dell’impegno socialista postbellico. È un confronto problematico, aperto con la società dei consumi e dei mass-media, incuriosito dalle novità ma senza perdere il senso critico.

La lettura dell’ultimo saggio della raccolta – pubblicato originariamente sulla rivista Tempo presente in quattro riprese tra il dicembre 1960 e il marzo 1961 – è a mio avviso obbligata per chiunque voglia capire a fondo le trasformazioni, avvenute in Italia negli anni Cinquanta, che hanno riguardato non solo le condizioni socio-economiche ma soprattutto la mentalità, i costumi, le relazioni tra le persone.

Sono pagine che restano tuttora le più efficaci nel descrivere il cambiamento di quegli anni rispetto anche a tanti studi sociologici e antropologici che non esprimono mai la capacità di sintesi di questo saggio e non colgono mai con nettezza le contraddizioni, le differenze, le cesure e le continuità con la società precedente, cioè con la civiltà contadina che Silone aveva conosciuto in profondità, da protagonista e non da semplice spettatore.

Ripensare il progresso è un bilancio critico della nuova società affrontato con ostinata diffidenza verso gli stereotipi, l’unilateralità di giudizio, le mode. È qui il suo fascino.

Questo bellissimo libro ha significato per me non tanto un vaccino contro il conformismo comunista com’era nei desideri dell’amico che me lo aveva consigliato. Ho infatti tentato di conservare sempre, per quanto mi è stato possibile, gli anticorpi verso ogni forma di autoritarismo e di dipendenza, accumulati precedentemente negli ambienti del dissenso cattolico. Quanto invece ha rappresentato una guida sicura, un metodo per leggere le trasformazioni avvenute a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, al riparo da visioni classiste, schematismi ideologici, slittamenti antiscientifici e ripieghi nostalgici.

Silone mi ha aiutato a coltivare l’amore per la storia e la memorialistica non come semplice raccolta di dati ed elementi folklorici, ma piuttosto come continuo ripensamento di vicende, persone, gruppi, idee, modi di vivere e di pensare in rapporto con il tempo presente per comprenderlo meglio e così comprendere meglio noi stessi.

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