Economia

I confini della qualità

Si fa un gran parlare di cultura dell’olio e, di conseguenza, anche della qualità degli extra vergini, insieme alla raggiunta consapevolezza nel percepire e valutare tale qualità in maniera oggettiva. E’ proprio così? In parte certamente sì, anche perché una cultura di prodotto oggi esiste, ma sembra tuttavia che la qualità di un olio venga ristretta solo nell’ambito di alcuni confini. E se rivoluzionassimo tale griglia mentale, aprendoci agli oli esteri attraverso una prospettiva diversa?

Luigi Caricato

I confini della qualità

Un tempo per riconoscere la qualità bastava esaltare alcune aree prestigiose: Toscana, Umbria, Liguria, Garda, per esempio. L’olio del resto dei territori, nell’immaginazione comune, non era considerato qualità nel senso pieno del termine. Si giudicavano male,a nche tra gli operatori commerciali. Gli oli pugliesi venivano impropriamente definiti “pesanti”, per dnigrarli. E anche tutti gli oli del sud, isole comprese, erano giudicati in qualche modo scadenti, o comunque meno nobili di altri ottenuti altrove.

Abbiamo poi scoperto, con il passare del tempo, dopo anni e anni, che non è affatto vero, che in tutte le regioni d’Italia la qualità la si produce ed è una qualità indiscutibile. Poi, certo, si sa, tutto dipende da come si lavora.
L’olio di oliva vergine lampante lo si continua a produrrre, e così l’olio vergine di oliva. Occorre prendere atto che non tutto l’olio ricavato dalle olive sia olio extra vergine di oliva. L’abitudine a giudicare male alcuni oli di alcuni specifici territori ancora resiste, tuttavia. C’è sempre chi si sente più bravo di altri. Le regioni che si sono contraddistinte per aver guadagnato consensi commerciali con il prodotto confezionato, soprattutto là dove c’erano, nel tessuto locale, aziende confezionatrici ben strutturate, hanno avuto vita facile, anche perché si è imposto, attraverso le varie aziende, il buon nome del territorio. Voi forse pensate che senza l’impegno di alcune storiche grandi aziende operanti in Liguria (ma anche in Toscana, in Umbria…) l’olio prodotto in loco sarebbe stato altrettanto conosciuto nell’universo mondo così come lo è oggi?

Lo scenario attuale di fatto è cambiato, anche se resistono ancora alcuni pregiudizi, non del tutto risolti. Si continua infatti a percepire l’olio del sud come meno buono, anche se non è così, e lo sappiamo tutti. Basti pensare a quanto olio del sud sia diventato nel corso dei decenni olio di altri territori. Per anni alcune regioni hanno confezionato olio pugliese spacciandolo per proprio, quando sappiamo tutti che non era così, non è così.

Ora è diverso. Si è scoperto che la qualità non conosce confini. Ovunque è possibile ottenere un buon prodotto, e ovunque è possibile conseguire eccellenze indiscusse. Ciò che conta è la professionalità di chi produce, non il comune, la provincia, la regione o il paese in cui si produce.

Viene meno il valore del territorio, con ciò? Non direi proprio, anche perché il territorio connota e contraddistingue le peculiarità un prodotto, così come accade in tutta Italia (come in ogni altro Paese) nell’ambito delle varie regioni. Lo stesso vale, appunto, in tutti i paesi produttori. La qualità abita ovunque, non conosce confini.

Ci vuole più cultura dell’olio, per capire le differenze, e accettarle, accoglierle. Ecco, in una simile prospettiva, manca ancora, in Italia, una visione così aperta. Anche tra i produttori. Anzi, forse soprattutto tra i produttori. Quante volte ho letto sui social giudizi estremamente negativi nei confronti degli oli stranieri. Per pregiudizio. Per ignoranza. Per ideologia. Per stupidità (soprattutto per stupidità).

La cultura dell’olio, se uno l’ha acquisita, non consente di dare sfogo a inutili e sterili campanilismi. La qualità abita ovunque, e chiunque può produrla: basta esserne capaci e applicare le buone regole. Poi, la differenza sta tutta nelle peculiarità sensoriali.

Ci vuole apertura mentale. La cultura della differenza ci permette di capire e apprezzare al meglio la reale bontà di un prodotto, quella corrispondente alla zona specifica di produzione, al di là di ogni possibile pregiudizio. Senza distinzione di Paesi, perché tutti siamo uniti dall’olivo.

Per una rivista per la quale collaboro, ho segnalato in una mia recensione, un olio tunisino di qualità. C’è stato uno scambio di battute, con il mio collega che lavora nella redazione del giornale, circa la difficoltà nel reperire in commercio oli di produzione estera, con un proprio marchio. Sarebbe un bel passo da fare. Iniziare a valorizzare gli oli esteri aiuta tra l’altro a creare un nuovo mercato, che già esiste con i vini esteri, per esempio, e che non sarebbe male che si affacciasse anche con gli oli.

Oltretutto l’Italia non ha olio a sufficienza. Deve importarlo necessariamente. Farlo (anche) tramite aziende produttrici (e/o confezionatrici) estere, non è affatto una cattiva idea, rappresenta invece una bella occasione per distinguersi, mettendo in gioco la curiosità di quanti hanno piacere di confrontarsi con gli oli nostrani.

Ci vorrebbe un importatore, che agevoli l’introduzione, nel nostro Paese, di tali oli, ma le aziende italiane sono sempre timorose. Se io fossi un operatore commerciale, curerei la distribuzione di oli di ogni paese del mondo, in Italia. Aprire una oleoteca che accogliesse tutti gli oli del mondo, che gran bella idea. Purtroppo non c’è una visione così lungimirante, da noi, per lo meno non in materia di olio, ed è un gran peccato. E’ solo un vizio culturale, quel maledetto campanilismo che ci affossa.

Nel mondo del vino questo limite culturale non esiste, o per lo meno se c’è è limitato. Vi sono infatti aziende vinicole che ragionano con uno sguardo diverso, assumendo un approccio di grande apertura al mercato, importando vini esteri di cui diventare importatori e distributori.

Con il settore degli oli, troppo tradizionalista, ciò non accade, ed è un grande peccato. E’ un settore troppo ancorato a valori desueti, chiuso nei confini strettamente localistici, chiuso in una sottocultura da Km 0: zero pensieri, zero idee, zero attività cerebrale.

Sarebbe invece una grande conquista se al consumatore italiano si proponessero accanto a oli nostrani, magari con attestazioni di origine Dop o Igp, o monovarietali, anche i blend ricavati da oli di più regioni o di Paesi diversi, e perfino oli di ogni singolo Paese, in modo da far conoscere, e far apprezzare, al consumatore la poliedricità degli oli, la loro straordinaria forza espressiva.

La qualità, va ribadito ancora una volta, abita ovunque. Le frontiere aperte, sono segno di grande intelligenza e possono apportare solo vantaggi per tutti.

L’illustrazione di apertura è di Valerio Marini

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