Economia

La nuova vita del vergine

La competizione globale che si misura sui grandi numeri crea non poche difficoltà. Al fine di ristabilire i giusti valori degli oli, occorre pensare a una riformulazione secondo una nuova logica, almeno a livello europeo. Un esempio? L’olio di oliva vergine potrebbe diventare l’equivalente del vino da tavola. L’extra vergine al pari dei migliori vini

Massimo Occhinegro

La nuova vita del vergine

La campagna olearia 2013/2014 è stata caratterizzata da prezzi molto bassi in Spagna, a fronte di un ritorno a una produzione record, mentre da una campagna deludente dell’Italia, segnata da dati produttivi ufficiali sempre inattendibili, che hanno di fatto spiazzato molti operatori.
A tali dati produttivi ridotti italiani, ha fatto seguito un continuo aumento delle quotazioni dell’olio extra vergine di oliva italiano, con quantità disponibili nel mercato, risibili.

Il differenziale tra olio spagnolo e olio italiano, sia pure con alcuni distinguo in merito alle differenze qualitative, è notevole e tocca livelli mai raggiunti prima, pari a un massimo di 1,60 Euro per chilogrammo di prodotto.

Il problema di fondo è che il consumatore globale non comprende però come ci possa essere una differenza di prezzo così alta, trattandosi in etichetta, della stessa categoria merceologica di olio.
In conseguenza di ciò la competizione globale, che si misura sui grandi numeri, mette l’Italia in grave difficoltà.

Al fine di ristabilire i giusti valori dei prodotti in campo, Il settore dell’olio di oliva avrebbe bisogno di essere ripensato almeno a livello europeo, secondo una nuova logica.
Il vergine potrebbe diventare l’equivalente del vino da tavola, mentre l’extra vergine lo si potrebbe innalzare al pari dei migliori vini.

La “riapparizione” dell’olio vergine sugli scaffali, pur riferendosi ad un prodotto che per gli addetti ai lavori è “difettato” e per gli assaggiatori una sorta di “bestemmia”, potrebbe avere i seguenti vantaggi:

1) “Non tutte le ciambelle riescono col buco”. Problemi climatici con conseguenti attacchi della mosca, ulivi secolari con olive difficilmente raccoglibili, se non a fronte di altissimi costi di manodopera, sono tra le ragioni per cui non tutti gli oli possono essere classificati extra vergini. La possibilità di vendere il “vergine” tal quale, aiuterebbe pertanto l’olivicoltura italiana ed in particolare le aree di maggiore produzione del sud Italia , segnatamente da Monopoli fino al Salento in Puglia e altre aree di olivi secolari della Calabria.

2) La situazione attuale conta infatti su tre prodotti in commercio: Olio Extra Vergine di oliva, Olio di Oliva e Olio di Sansa di oliva.
Non avendo valorizzato gli ultimi due prodotti, che al contrario potrebbero essere molto utili per fritture e salse, sdoganandoli dall’idea per cui in generale, “l’olio da olive” è inadatto perché “pesante”, la concorrenza si è concentrata solo su un prodotto, che è rappresentato dall’Olio Extra Vergine di Oliva.
Con la riaffermazione dell’Olio Vergine di oliva, la concorrenza potrebbe essere distribuita meglio tra le due categorie di prodotto, avvantaggiando quella dell’Extravergine sul fronte qualitativo, giacché sarebbe più rispondente ad un concetto di qualità, utile per il consumatore;

3) La categoria del Vergine, potrebbe inoltre accogliere quegli oli che attualmente sono venduti come Extra vergine , perché analiticamente rientrano in tale classificazione, ma che alcuni panel potrebbero declassare a vergine in ipotesi di controllo, anche non sussistendone motivi oggettivi.

4) La reintroduzione del Vergine potrebbe aiutare anche le aziende ad evitare aggravi amministrativi, burocratici e sanzionatori in caso di accertamenti sempre maggiori nel comparto italiano. In tal caso potrebbero essere classificati come vergini, anche oli con prevalenza di fruttato di olive mature spesso classificati dai panel come oli difettati.

5) In altri casi la reintroduzione commerciale del vergine, ristabilirebbe la verità sulla qualità degli oli oggi in commercio siano essi italiani o europei, attraverso una più corretta classificazione merceologica. Consideriamo infatti che l’Italia è importatrice netta di prodotto, giacché insufficiente anche per il solo mercato interno ed il nostro maggiore partner commerciale per l’approvvigionamento è la Spagna, Paese in cui la produzione prevalente al momento è quella derivante da olive raccolte mature.

E’ indispensabile tuttavia in prospettiva una armonizzazione tra Paesi Europei in merito a:

a) Panel giudicanti che dovrebbero essere a mio parere composti da esperti provenienti dai vari Paesi europei;

b) Controlli, in termini di numero ed enti a ciò preposti.

Oltre al vergine, questa volta al fine di migliorare la diffusione nonché l’utilizzo di tutti gli oli da olive, sarebbero da valorizzare altri due prodotti quali l’olio di oliva e l’olio di sansa di oliva.
Per fare ciò non si può lasciare un settore abbandonato all’improvvisazione. Occorrono quindi strategie specifiche e mirate ed in alcuni casi, concertate. Gli obiettivi di conseguenza dovrebbero essere ben chiari.

1) Garantire al consumatore la possibilità di fare una scelta di prodotto in maniera consapevole e per questo occorre insistere sulla divulgazione della conoscenza intorno alle migliori qualità, magari con corsi di assaggio che non si concentrino sui difetti bensì sui pregi, sulle caratteristiche positive dei migliori oli. Andrebbe da sé che gli oli che non corrispondono a quei requisiti sarebbero da classificare come vergini.

2) Garantire che emerga e si valorizzi la migliore produzione italiana, nonché europea , ossia l’eccellenza attraverso la categoria olio extra vergine di oliva;

3) Tenere conto delle peculiarità del sistema produttivo agricolo italiano e garantire la salvaguardia dei produttori attraverso lo sviluppo degli oli di oliva qualitativamente “inferiori”, molto spesso non dipendenti da loro specifiche colpe, come già spiegato.

Di fronte all’attuale situazione di mancanza di collaborazione da parte della grande distribuzione, che continua a fare leva sul suo potere finanziario e contrattuale, causando un’accesa e forte competizione tra i concorrenti del comparto, l’offerta commerciale di olio vergine così come la diffusione nell’utilizzo delle altre categorie, potrebbe costringere la stessa GDO a modificare la sua strategia di prodotto, spostando la competizione sul prezzo sugli oli vergini, piuttosto che sugli extra vergini, facendo diventare il vergine l’equivalente del vino da tavola.

A bocce ferme, il prodotto vergine continuerà ad essere utilizzato nel blend degli extravergini, per via del suo più basso costo, “peggiorando” tanto il valore nutrizionale del prodotto, espresso come quantità di polifenoli, quanto il suo gusto, continuando a creare confusione nel consumatore, e questo al di là dell’origine del prodotto.

Ci possono infatti essere oli organoletticamente non perfetti, dal basso prezzo, di assoluta origine italiana.

Riepilogando:

Olio extra vergine di oliva, necessariamente di alta qualità per l’uso a crudo e per la cucina, avendo cura di pensare all’abbinamento con i diversi piatti, in virtù delle caratteristiche precipue di ciascun olio;

Olio vergine di oliva per l’uso quotidiano in cucina, per le famiglie e per chi comunque non ama le caratteristiche positive degli extravergini;

Olio di oliva per la frittura di qualità e preparazione e di salse delicate;

Olio di sansa di oliva come concorrente diretto degli oli di semi, per la frittura o per salse.

Per commentare gli articoli è necessario essere registrati
Se sei un utente registrato puoi accedere al tuo account cliccando qui
oppure puoi creare un nuovo account cliccando qui

Commenta la notizia