Non c’è olio senza frode
A leggere i tanti comunicati stampa diffusi da una nota organizzazione agricola, oltre che dalle stesse istituzioni compiacenti per sudditanza politica, sembrerebbe che l’Italia sia una Repubblica fondata sulle frodi alimentari. È davvero così? O è solo un bluff pensato per alimentare un sentimento populistico e creare un clima da resa dei conti? Il grido “c'è frode, c’è frode” assomiglia tanto al grido "al lupo, al lupo”, con le conseguenze che ben conosciamo
L’Italia è una Repubblica fondata sulle frodi alimentari. Così almeno sembrerebbe, a dar retta ai tanti comunicati stampa elaborati e diffusi dai principali organismi di controllo, su ispirazione di una boa organizzazione agricola che condiziona le sorti dell’economia italiana.
In questi ultimi mesi, tuttavia, il fenomeno si è significativamente ridimensionato. Per ragioni di mera opportunità, soprattutto da quando, in particolare alcuni degli agitatori più incalliti, si sono visti costretti giocoforza al dialogo tra le parti, con una serie di armistizi dettati dalla pura convenienza. In gioco, ci sono tanti soldi pubblici in palio, e così, pur di ottenere il beneficio di cospicui finanziamenti statali, è sempre bene non alimentare le spinte populistiche, preferendo non gettare ombre sinistre sul comparto che nuocciano a tutti.
Sì, perché la verità la conoscono in fondo tutti, giacché, al netto delle chiacchiere, non è affatto vero che le frodi siano una minaccia così dilagante come si vuol far credere. È solo procurato allarme. Un allarme che non è un gioco a chi urla di più “al lupo, al lupo”, ma un assalto alla diligenza pur di guadagnare facile consenso, ma che nei fatti sta devastando la reputazione di un settore che ha sì tante colpe e ombre, ma non può certo essere etichettato come un settore di frodatori.
Il comparto dell’olio ha tante gravi responsabilità, soprattutto nella perdita di valore dell’olio extra vergine di oliva ma resta di fatto tra i più tranquilli e sicuri tra i settori del campo alimentare. Le frodi di cui tanto si è scritto sono solo nell’immaginario di chi le prende come argomento valido per mettere in atto una resa dei conti tra i vari attori della filiera, illudendosi di impossessarsi in tal modo di una fetta di mercato ai danni dei malcapitati indebitamente accusati.
La storia delle frodi – al di là di quanto c’è di vero e di concreto, perché le frodi esistono, certo che esistono, come per ogni altro settore dell’economia, del resto, ma non costituiscono un fenomeno preoccupante, quanto invece un fenomeno sotto controllo e ben contrastato.
L’allarme di chi grida “c’è frode, c’è frode”, si fonda espressamente sulla necessità di lamentare uno stato di crisi perpetuo, necessario per ottenere fondi pubblici, ma quando le acque devono restare tranquille, tutto tace.
L’aspetto più curioso, è che a generare tale smania nel comunicare all’universo mondo che gli operatori italiani del settore agroalimentare siano da ritenersi un popolo di frodatori e sofisticatori, resta ogni volta la carta vincente più battuta, da giocare nell’ambito delle trattative tra i vari attori della filiera produttiva e commerciale. Il grido d’allarme è un’arma con cui si minaccia qualcuno quando si tratta di gestire un potere. L’atto di denunciare frodi è, tra tutte, l’arma più efficace e convincente, utilizzata proprio al fine di ottenere da una parte consenso e visibilità. Così, generare una continua situazione di precarietà del settore agroalimentare, se ben gestita, può giovare a molti, lasciando che tutto permanga così com’è.
Il ricorrente fenomeno delle frodi alimentari viene usato con grande maestria ed efficacia esclusivamente da parte di una associazione di categoria che ha fondato la propria mission proprio sul pupulismo, gettando ombre sinistre su tutto ed auto eleggendosi a paladina della onestà. Da qui le manifestazioni folcloristiche di piazza, che a volte sfiorano il ridicolo, sempre paventando, a ogni piè sospinto, i rischi di introduzioni selvagge e incontrollate di prodotti fraudolenti provenienti dall’estero e subdolamente immessi sul mercato nazionale.
Colpevoli dell’inquinamento del mercato con atti fraudolenti sarebbero – secondo tali logiche – tutti coloro che non fondano la propria attività commerciale sul km 0, ma che si approvvigionano appunto dall’estero, e poco importa se l’Italia abbia una agricoltura senza ormai più peso, visto che le materie prime è costretta a importarle proprio perché non si producono a sufficienza e a costi di produzione competitivi senza venir meno alla qualità.
L’aspetto che molti non mettono in evidenza è, invece, che l’Italia non disponendo più delle quantità necessarie per soddisfare il mercato interno di beni di prima necessità sono costrette a importare. Basterebbe in fondo investire di più in agricoltura e soddisfare così le esigenze di mercato, ma per farlo è necessario avere una agricoltura gestita in maniera moderna e manageriale, cosa che non accade.
Accade invece che molti cedano alle lusinghe del populismo senza nemmeno fare i conti con la realtà e le conseguenze che ne derivano. Il fatto che molti rappresentanti della politica, e perfino ministri di vari dicasteri, si siano prestati più volte al gioco del sensazionalismo, indossando addirittura gli “abiti sociali” con i simboli dell’organizzazione di categoria, la dice lunga su chi condiziona le politiche agroalimentari del Paese, e anche su chi ingenera inutili allarmismi al grido di “frode, frode”, con i conseguenti disastri che ne derivano.
Il fatto che in tanti decenni si sia male amministrata l’agricoltura, in maniera il più delle volte indecente, senza che nessuno rispondesse del disastro che ha combinato, la dice lunga sulle condizioni di un Paese che non sa reagire alle proprie responsabilità ma si affida sul populismo, pensando di farla franca dando la colpa alle frodi e ai presunti frodatori.
Tutto è in disfacimento, non solo il comparto dell’olio. Di conseguenza, assistere a ministri della Repubblica che mungono mucche in piazza solo perché l’Italia non riesce a essere competitiva con i prodotti lattiero-caseari, può capitare solo da noi. La credibilità delle Istituzioni è al minimo storico, ma non è questa una notizia eclatante. Ciò che stupisce, semmai, è che le Istituzioni restino condizionate nelle loro scelte operative e decisionali da quanto suggeriscono di volta in volta i rappresentanti della nota organizzazione di categoria che tiene min ostaggio il Paese.
Tornando alla questione frodi, c’è da osservare tuttavia che accanto a chi grida irresponsabilmente “c’è frode, c’è frode” vi è pure chi con troppa leggerezza sta la gioco e contribuisce ad affossare l’economia italiana. Veniamo dunque ai tanti, troppi, organismi di controllo. Sono ben nove quelli più significativi, volendo trascurare gli altri che pure non si lasciano perdere d’animo, al punto che fin quando è possibile, qualsiasi ente pubblico cerca in tutti i modi di effettuare controlli, anche perché, sia ben chiaro, comminare sanzioni ha sempre la sua convenienza.
I controlli sono massicci, e, per molti versi, anche ingombranti. C’è infatti da disciplinare un gran traffico di controllori. Tanto che non infrequentemente si verifica che una azienda possa essere ispezionata da più soggetti il medesimo giorno, creando così competizioni e attriti tra gli stessi organismi in missione, oltre a determinare un sicuro nocumento per le imprese, asfissiate da una irrefrenabile smania di controlli che sta contraddistinguendo ormai le istituzioni da qualche anno a questa parte.
I consumatori dal canto loro possono essere più che tranquilli, anche se in verità le continue comunicazioni di presunte frodi li mettano nondimeno in grande confusione e disagio. Mai d’altra parte si è registrata una tale intensità e quantità di controlli.
I soggetti controllori comprendono l’Icqrf, acronimo di Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari, quindi il Corpo Forestale dello Stato, un tempo soggetto autonomo e ora collocato (con gran fastidio e opposizione da parte dei Forestali) nell’ambito dell’Arma dei Carabinieri, i quali a loro volta già agiscono attraverso i Nas (il Nucleo anti sofisticazioni) e i Nac (il Nucleo antifrodi), senza trascurare nemmeno il ruolo di Guardia di Finanza, Agenzia delle Dogane, Asl, nonché le stesse Agenzie regionali per la protezione ambientale (ovvero l’Arpa) e, nondimeno, i Laboratori di sanità pubblica (conosciuti con la sigla Lsp). Insomma, si tratta di un pletorico esercito di controllori che sistematicamente contribuisce di volta in volta da un lato a vigilare sul settore alimentare, ed è certamente un bene, ma, dall’altro, tale situazione provvede anche a ingarbugliare, e annichilire sempre più, un settore reso meno competitivo proprio dall’eccesso di burocrazia e da una irrefrenabile e mal gestita bulimia legislativa. Di fatto, questo stato della realtà è un vero colpo basso alle imprese italiane, rispetto agli operatori esteri che non conoscono situazioni analoghe nei loro rispettivi paesi, anche perché con tale disorganizzazione (ed eccesso) nell’esercizio dei controlli, si impedisce di fatto una operatività serena e proficua per le aziende.
La sola idea di ridurre a un solo organismo di controllo tale sovrabbondanza di soggetti pubblicamente incaricati allo scopo, sembra impossibile, anche perché nessuno è disposto a rinunciare all’esercizio di un potere con tutto ciò che ne deriva. Nel frattempo, le aziende sono soffocate da controlli fotocopia, perché tutti controllano le stesse cose. E c’è inoltre da evidenziare una anomalia, tutta italiana, che va opportunamente registrata, ovvero la tendenza a far ricorso a metodi di verifica sui prodotti alimentari scientificamente non ancora validati, e pertanto inefficaci, soprattutto sul piano giuridico.
In quest’ottica, la tendenza a indagare ritenendo le aziende ontologicamente colpevoli di malefatte è un atteggiamento mentale discutibile che, oltre a penalizzare le imprese, rovinando la loro buona reputazione costruita nel lungo periodo, le mette anche in una situazione di precarietà che certamente non giova in alcun modo alla loro stessa operatività, soprattutto ora, in un mercato globale altamente competitivo e a volte spietato.
Il paradosso, in tutta questa storia in cui il refrain ricorrente è il grido “c’è frode, c’è frode”, è che elementi dello Stato aderiscano a una visione ideologica, suggerita da coloro che non essendo in grado di gestire una economia in continuo arretramento e crisi, addossano molto volentieri la responsabilità della propria inefficienza ultradecennale alle imprese, soprattutto se grandi, ritenendole responsabili, proprio in quanto grandi, di presunti atteggiamenti illeciti, o comunque insinuando il dubbio sulla loro rettitudine.
Secondo tale atteggiamento ideologico, le aziende non rappresenterebbero più un valore da preservare, ma agli occhi delle stese istituzioni diventano soggetti giuridici che possono delinquere e che pertanto vanno tenuti sotto stretto controllo, come fossero gruppi criminali. Tant’è che non è infrequente che si effettuino controlli alle aziende in stile retata, con armi bene in vista, seppure chiuse nelle loro custodie, e con manette tintinnanti pur incutere timore.
Se questa è l’Italia, non c’è molto da scommettere sul futuro. Non è un caso che molte imprese decidono di delocalizzare trasferendo parte delle proprie attività all’estero o che in alterativa cedano, per sfinimento, la proprietà dei propri marchi a imprese estere o a fondi di investimento.
Il grido “c’è frode, c’è frode” assomiglia tanto al grido “al lupo, al lupo”, con le conseguenze che ben conosciamo. Il settore agroalimentare italiano è il più garantito al mondo, ma il continuo ciarlare senza senso di frodi e sofisticazioni, a dispetto della verità, sta inquinando una economia che un tempo aveva di che essere orgogliosa, ma che oggi, con sommo dispiacere, sta perdendo il fiato ed è a rischio di sopravvivenza.
La foto di apertura è di Lorenzo Cerretani
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